“Bella ciao” è il canto unificante e di libertà di ogni italiano. Non confondiamo le carte in tavola.

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bellaciao

Viviamo certamente in un’epoca di depravazione e crollo dei valori e dei punti di riferimento se nell’opinione pubblica si insinua il dubbio che il canto partigiano “Bella Ciao” non rappresenti più valore unificante, ma costituisca, al contrario, una rappresentazione “di parte” dei valori della Liberazione. Certo che “Bella ciao” è un canto di parte. E la parte di cui è espressione è quella vincente e vincitrice, quella buona, quella che ha sterminato il fascismo, la parte di chi ha lottato e ha vinto, il partigiano morto per la libertà, il fiore che è sbocciato la mattina in cui ci siamo svegliati tutti e abbiamo trovato l’invasor e ci siamo sentiti di morir. Sono parole che riguardano tutti, sia chi l’invasione l’ha vissuta sul serio e ha visto la Liberazione quella vera, sia chi è nato dopo e la Libertà se l’è ritrovata in mano bell’e fatta. Anche la libertà di andare a Cremona -come è successo recentemente- e fare una commemorazione del duce a braccio destro teso è frutto di quella libertà per cui sono morti i partigiani. Anche la libertà di un lettore di scrivere a un giornale e delegittimare il canto partigiano per eccellenza. E se “Bella ciao” non ha valore unificante mi chiedo allora che cosa lo abbia, “Faccetta nera”? Quando si cominciano a negare i punti fermi tutto il pensiero conseguente crolla miseramente, e se abbiamo ancora la possibilità di dire qualcosa lo dobbiamo al partigiano che ci ha portato via, non al fascista vile e traditor. La storia non si inverte. E “Bella ciao” resta.