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Siamo arrivati alla frutta. Se il 1 gennaio 2020 entrerà in vigore la disposizione secondo cui una volta emessa la sentenza di primo grado in un procedimento penale scatta sine die il blocco della prescrizione, non ci saranno più garanzie di uno stato di diritto per il cittadino che, colpevole o innocente che sia, si ritrova a dover subire un processo. I procedimenti d’appello e di cassazione potrebbero intervenire con ritardi clamorosi e il sistema della giustizia potrebbe ritrovarsi di fatto paralizzato nella confortevole certezza di avere a disposizione tutto il tempo necessario per processare un cittadino. Che, nel frattempo che aspetta che qualcuno sblocchi il suo fascicolo, potrebbe vedersi negate alcune possibilità fondamentali: lavoro, accesso a concorsi pubblici, accesso a gare d’appalto e chi più ne ha più ne metta.
La durata ragionevole del processo è un principio costituzionale irrinunciabile, fermo restando il fatto che dove interviene la prescrizione del reato si verifica un vero e proprio vulnus dello stato che dichiara la sua incapacità a perseguire un crimine.
Ma non si può stare sulla graticola a tempo indeterminato. Ognuno ha il diritto di sapere quanto durerà il proprio processo e quali sono le prospettive temporali dell’azione penale contro di lui. Se queste prospettive temporali vengono superate, l’imputato ha diritto alla prescrizione, che, tra l’altro, può accettare (dichiarandosi in un certo qual modo colpevole) o rifiutare (chiedendo, quindi, di proseguire il processo e di essere assolto nel merito).
C’è solo da sperare che il 1 gennaio 2020 non entri in vigore un bel niente, perché le prospettive, viste da qui, fanno paura.