Mentre stavo scrivendo il post sui miti consigli di Michela Murgia è arrivata una risposta via Twitter alle mie obiezioni da parte della stessa Concita De Gregorio. Siccome mi è sembrato un intervento pacato e dai toni austeri lo ripubblico per dovere di cronaca, critica e correttezza nei confronti della controparte.
Il 1° febbraio scorso su Twitter è apparso questo sfogo di Concita De Gregorio che recita “Voi, fascisti, mi potete anche sequestrare i conti correnti, impedirmi di pagare l’acqua e la luce, ma non è così che avrete la mia testa e mia voce, poveri illusi. Che ne sapete voi della libertà ” Che cosa è successo? E, soprattutto, chi sono i “fascisti” che starebbero impedendo (probabilmente schierandosi stile plotone di esecuzione sui gradini dei prefabbricati delle Poste Italiane) alla De Gregorio di recarsi all’ufficio postale (come fanno molti) con le bollette in mano per pagare le utenze di acqua e luce? La soluzione dell’enigma è semplice. I “fascisti” non sono i giudici che l’hanno condannata a pagare un totale piuttosto astronomico di 5 milioni di euro per le cause di risarcimento per diffamazione che la De Gregorio, come direttore responsabile in solido, ha perso contro Dell’Utri, Miccicché, La Russa, Taormina, Previti, Angelucci oltre a Paolo, Silvio e Piersilvio Berlusconi e altri», rosaria la De Gregorio.
Tra questi “altri” c’è anche un certo Stefano Andrini:
«Gentili signori. Chi mi ha sequestrato il conto corrente si chiama Stefano Andrini. Cercate bio. Non è diffamazione, non è penale. Sono cause civili. Pago per l’editore che non c’è. il mio debito personale è saldato. Non lamento per me, denuncio per tutti ».
Non è penale? Indubbiamente no, si tratta di risarcimenti in sede civile. Non è diffamazione? Difficile da dimostrare. Visto che nel 2008 con sentenza immediatamente esecutiva la Corte d’Appello condannava l’Unità a risarcire a Stefano Andrini la somma di 37.000 euro. Sono bastate grossolane sviste (o consapevoli omissioni) quali l’aver riportato su L’Unità di “una condanna a 4 anni e otto mesi per tentato omicidio, una militanza ventennale tra i naziskin romani” per dare ragione a Stefano Andrini dell’evento diffamatorio. E poco importa che Stefano Andrini sia un esponente della destra con un passato specifico e precedenti di natura penale, è stato riabilitato, si tratta di eventi di 20 anni fa e ha diritto ad essere dimenticato per quello che era e ad essere considerato attualmente per quello che è. E se ha ragione ha ragione.
145 azioni legali, dunque. Tutte sulla testa di Concita De Gregorio che ha vinto in primo grado solo otto processi, per un totale di circa un milione e mezzo di euro. Meno di un terzo del valore intero delle cause, per cui le è stata pignorata la casa e, adesso, pare anche il conto corrente. Immagino che un pignoramento debba essere disposto da un giudice. Cosa vuol dire che “Chi mi ha sequestrato il conto corrente si chiama Stefano Andrini?” Se devi pagare devi pagare, le sentenze si rispettano e si rispettano ottemperandovi o impugnandole in appello. Se ci sono almeno tre milioni e mezzo di euro da corrispondere è segno che in quei casi c’è stato chi ha superato la continenza del linguaggio o ha scritto cose false sul conto di terzi. E l’opposizione non si fa così. Non su L’Unità, che è un giornale storico per il quale con ogni probabilità le ceneri di Gramsci si staranno rivoltando nella tomba ammesso e non concesso che sappiano di che morte è morto il quotidiano.
Se vinci 8 processi su 145 azioni legali vuol dire che in linea di massima, quello della diffamazione ha funzionato come un vero e proprio sistema di informazione e, voglio dire, guadagni 2000 euro al mese per fare il direttore di un quotidiano (che non sono molti, ma sono sempre di più di quello che guadagna tanta gente, me compreso), il minimo che tu possa fare è evitare che il tuo sacrosanto e legittimo diritto di critica vada a finire nell’opinabile diritto a diffamare e a trattare sommariamente i fatti e le opinioni. E qui la colpa è senza dubbio di Concita De Gregorio. Che, però, è stata lasciata sola quando è venuto meno l’editore del giornale e la responsabilità è passata ad un altro gruppo (più o meno con le stesse persone). Ma soprattutto è stata lasciata sola dal PD.
Molti le hanno espresso piena solidarietà. Io qualche dubbio me lo conservo ancora.
Aggiornamento del 7/2/2019
Su open.online è apparsa oggi una intervista a Concita De Gregorio sul caso di cui vi ho parlato. La giornalista dichiara, tra l’altro:
“In questi anni ho dovuto pagare per chiunque, ma che mi venga sequestrato il conto per Stefano Andrini è una cosa che non posso tollerare: non voglio dare i miei soldi a uno che ha quasi ammazzato una persona a sprangate. La ricreazione è finita, dobbiamo tutti tornare ai nostri posti di lavoro.”
Come sarebbe a dire che non vuole dare i suoi soldi a una persona che ha diffamato? Solo perché ha dei precedenti penali?? Non lo decide lei, evidentemente, a chi dare i soldi o no, ma i giudici che le hanno dato torto in appello (la De Gregorio faccia valere la propria ragione in Cassazione, vedremo se qualcuno gliela darà). Non si può dire “io non pago un danno perché la controparte mi sta antipatica”. O, meglio, si può dire. Si può anche fare, ma poi non ci si lamenta che l’ufficiale giudiziario venga a pignorarci la casa, il conto corrente, che si debba andare in giro con i mezzi pubblici anziché con la macchina, che tutto quello che si guadagna venga trattenuto per pagare i debiti di diffamazione.
“Ci tengo a dire che – da direttrice – non ho mai perso una causa penale per diffamazione. Qui parliamo di cause civili, in cui l’eventuale danno di immagine causato dall’articolo prescinde dall’accertamento della responsabilità penale.”
Nella causa civile si accerta un danno. E se si viene dichiarati colpevoli in sede civile è segno che quel danno è stato provocato da un atto ingiusto. In questo caso la diffamazione. Si accerta un fatto. Non lo si punisce perché quella non è la sede. La giustizia penale è stracolma di querele per diffamazione, il 90% delle quali o va in prescrizione o viene archiviata con le motivazioni più assurde e fantasiose. Probabilmente chi ha citato in giudizio la De Gregorio sapeva che il penale dà poca soddisfazione, mentre in sede civile si va dritti al punto: o un evento si è prodotto o non si è prodotto. Ed è compito di chi cita dimostrare di aver subito un danno (cosa non facile) e convincere il giudice di avere ragione. Quello che importa è che ci sia una “responsabilità”. Penale o non penale non importa. Non siamo qui ad additare la De Gregorio al pubblico ludibrio perché è stata condannata da qualche giudice, ma a dire che ci sono delle sentenze a seguito di procedimenti che dichiarano una chiara responsabilità. Aspettiamo che queste sentenze passino in giudicato e che diventino definitive? Benissimo. Però intanto la controparte si cautela.
Resta la questione della legge n. 47 del 1948 e successive modifiche:
“Stabilisce che in caso di richiesta danni per diffamazione il giornalista, il direttore e l’editore sono responsabili “in solido” per il risarcimento del danno causato, cioè tutti e tre insieme. Significa che ognuno dei tre deve pagare una specifica parte del danno (un terzo a testa, se non specificate diverse percentuali), ma il danneggiato si può rivalere per l’intera cifra su ognuno di loro (per esempio perché solo uno dei tre ha risorse sufficienti a ripagare il danno). Chi paga può a sua volta può rivalersi sugli altri tre per la parte che compete loro.”
“Per esempio, se un tribunale stabilisce che un danneggiato ha diritto a 90 mila euro di rimborsi per un articolo diffamatorio nei suoi confronti, giornalista, editore e direttore sono ciascuno tenuti a pagare 30 mila euro. Ma il danneggiato può chiedere tutti i 90 mila euro al solo direttore del giornale (per esempio perché l’editore nel frattempo è fallito mentre l’autore dell’articolo non è più rintracciabile oppure è nullatenente). Sta poi al direttore del giornale, se ne è in grado, rivalersi sugli altri due affinché paghino “la loro parte”. È questo quello che dal 2015 sta accadendo a De Gregorio. L’editore non esiste più (per colpa del concordato del 2014 e poi del fallimento della nuova società nel 2017), i giornalisti sono spesso irrintracciabili o nullatenenti, e quindi l’unica su cui i querelanti possono rivalersi è rimasta lei. ” (virgolettato tratto da https://www.ilpost.it/2019/02/07/concita-de-gregorio-unita/)
Ma, Dio mio, è legge dello stato dal 1948, non ce la siamo inventata ieri. Va abolita, modificata, censurata, rimodernata? Benissimo, la De Gregorio, a cui certo le conoscenze non mancano, chieda ai suoi colleghi di partito di fare qualcosa per superare questo vulnus. Però intanto paghi, perché siamo tutti sotto lo stesso tetto e le regole o ci sono o non ci sono.
Ho avuto una discussione su Twitter con tale Nicola Lagioia.
Non sapevo nemmeno di avere la prima edizione (2001) del suo “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj (senza risparmiare se stessi), me l’ha detto mia moglie e ho pensato subito di regalarlo alla biblioteca comunale.
Detto questo, spero di riferire al meglio il pensiero del mio interlocutore che, se vuole, avrà ampio diritto di replica.
Si è cominciato con Chomsky a Roma. Lagioia comunica che i biglietti sono esauriti. Ecco come è proseguito il dialogo:
— @NicolaLagioia @andreamoro_ Biglietti esauriti? Ma perché era a pagamento??
@valeriodistefan @andreamoro_ è all’Auditorium. Ieri a pagamento (c’ero). Perché non dovrebbe esserlo? (c’era orchestra, luci ecc.) —
Si noti come nasce la polemica sterile in rete. Uno (cioè io) chiede se l’incontro di Chomsky fosse stato a pagamento. Ero memore di una conferenza di Chomsky, a Pisa, sul finire dei miei studi e del fatto che per assistervi non avevo dovuto pagare nemmeno una lira.
La risposta “Perché non dovrebbe esserlo?” innesca di per sé la volontà polemica, perché passa dall’aspetto del dato oggettivo (quell’evento era a pagamento) al dato moralistico (“e per quale motivo non avrebbe dovuto esserlo?”).
Quindi si prosegue:
— @NicolaLagioia @andreamoro_ Mah, vedi un po’ tu… Chomski… alla faccia dell’anarchismo culturale. Meno male che lo sentii a Pisa. Gratis.
@valeriodistefan @andreamoro_ c’è orchestra, la vuoi pagare? auditorium diverso da c sociale (maschere, impiegati ecc). Tu lavori gratis?
@NicolaLagioia @andreamoro_ Su, non si àlteri. Chomsky canta anche senza orchestra. Io lavoro a pagamento. Ma distribuisco cultura gratis.
—
C’è l’orchestra. Ma non è indispensabile. Io voglio sentire il conferenziere, se volevo un quartetto d’archi mi compravo un CD di musica classica. E perché devo pagare per qualcosa che non è neanche funzionale all’evento?
La polemica prosegue sul “Tu lavori gratis?” A parte il fatto che questi sono affari miei, decido di passare a dare del “lei” all’interlocutore. Non sia mai!
— @valeriodistefan @andreamoro_ mo’ passi dal tu al lei. Distribuire cultura e lavoro culturale son cose diverse. La 2a va retribuita.
@NicolaLagioia @andreamoro_ Dare del Lei non offende nessuno. Potrei farmi pagare anche per distribuire cultura ma non lo faccio. Scelte.
—
Distribuisco cultura attraverso uno dei più grandi siti di download e streaming in Italia, che oltretutto è mio. Potrei “venderli” quei file, metterli a pagamento. Potrei farlo, nessuno potrebbe impedirmelo. Ma ho deciso di non farlo. Evviva, no? Voglio dire, non è che esiste UN SOLO modo in cui vanno le cose.
E questo deriva dalla mancanza conoscenza dell’altro. L’altro, nella polemica informatica, è lo schermo da riempire. Non importa che cosa abbia fatto o che cosa abbia detto o scritto.
Il lavoro si paga, la distribuzione di cultura no. Punto. Tertium non datur. E invece qui il tertium potrebbe essere datur e come, solo che non viene proprio preso in considerazione.
Dare del “Lei” in rete è una modalità comunicativa fenomenale. Spiazza, mette K.O.. Come si permette uno che scrive in un posto come Twitter in cui tutti siamo amici, amicissimi, followers, bellissimo, bravissimo, applausi a scena aperta a non voler far parte del meraviglioso mondo di chi la pensa allo stesso modo?? Ehi amico, qui ci diamo del “tu”, è più facile, più diretto, più “in”. No, non mi piace.
— @NicolaLagioia @andreamoro_ Dare del Lei non offende nessuno. Potrei farmi pagare anche per distribuire cultura ma non lo faccio. Scelte.
@valeriodistefan @andreamoro_ Era solo perché prima mi aveva/i/vate dato del tu. Ma tu (lei/voi) non ricordi (a/ate) la cassa dei doganieri.
@NicolaLagioia I doganieri avevano una cassa? Mi ricordavo una casa, ma allora ero molto giovane.
@valeriodistefan una casa con Montale, una cassa nel suo ragionamento.
@NicolaLagioia La “cassa” si riferiva a quello che ha scritto Lei. Poi è ovvio che Montale ha scritto correttamente “casa”.
—
E qui arriva il corto circuito della polemica, l’effetto “boomerang”. Lo scrittore commette un errore di ortografia. Dice che non mi ricordo “la cassa dei doganieri”. Figuriamoci, me la ricordo talmente bene che so benissimo che era una “casa” non una “cassa”.
Ed è lì dove l’interlocutore fa morire il dialogo. Potrebbe semplicemente dire “E’ stato un mio errore.” In fondo chi è che non ne fa? Invece insiste. La “casa” era per Montale, la “cassa” è nel mio ragionamento. E invece lui aveva proprio scritto così.
Secondo argomento. Chomsky, sempre lui, è intervistato nella trasmissione di Concita De Gregorio.
Faccio notare che se Chomsky fosse stato informato che la De Gregorio pubblica i suoi libri per Mondadori, e che ha diretto un giornale che è tra i primi nella classifica dei percepitori di fondi pubblici, non so come l’avrebbe presa.
Anche questi sono fatti. E anche qui si insinua il giudizio.
Mi viene infatti rimproverato di assumere un atteggiamento incoerente. Infatti io scrivo su Twitter (il mio interlocutore, evidentemente, no):
— 25 gen: achtung coerenza @valeriodistefan usando twitter si arricchisce (gratis) giganti web. Non è mai così semplice…
—
Notate che con l’amplicarsi della polemica si spoglia il linguaggio. Mancanza di preposizioni (“giganti web” per “giganti del web”), di articoli (“giganti” per “i giganti”) e concordanza al grado zero del vero con il complemento a cui si riferisce (“arricchisce giganti”).
— @NicolaLagioia Stia tranquillo. Usando Twitter non uso denaro pubblico.
@valeriodistefan Ma arricchisce affamatori del mondo, stando a suo ragionamento. Buon appetito. Linguisticamente qui c’è un bug (Chom docet)
@NicolaLagioia Quindi se siamo tutti un po’ sporchi nessuno può dare del “lurido” all’altro? Craxiano e démodé.
@valeriodistefan mannò. E che Rete sembra piena di persone che si autoproclamano pure come un giglio e lì finisce il loro discorso.
@NicolaLagioia E allora qual è la Sua obiezione? Che devo star zitto perché se la Di Gregorio pubblica per B. io scrivo su Twitter?
@valeriodistefan …affermare propria purezza più che migliorare ciò che ci circonda, volevo dire. Un’inversione di priorità.
—
E’ il craxismo di ritorno. Non ci se la può prendere coi ladri perché tutti abbiamo rubato la marmellata da bambini, non si può dire che “l’Unità” riceve finanziamenti pubblici perché magari chi lo dice (cioè io) percepisce un’indennità di accompagnamento pagata coi soldi di tutti e allora siamo nella stessa barca. Tutti ladri nessun ladro, tutti intingitori nello stesso piatto e nessun affamato. Se uno è sporco bisogna tacere, perché sotto sotto uno magari si è dimenticato di lavarsi i piedi questa mattina e qualcosa di sporco ce l’ha anche lui. Si potrebbe dire che a proposito di soldi regalati ai giganti dell’informatica probabilmente lo stesso Lagioia userà un sistema operativo Windows o Mac. O un iPhone. Ed è la pallina che rimbalza sulla parete.
Percxhé guardi la trave nell’occhio del fratello e non guardi il bruscono che è nel tuo?
E allora qual è la soluzione?
— @valeriodistefan fa stesso discorso neoliberisti. Fare qualcosa per la propria comunità, intendo. Ora basta però. Ci siam spiegati.
—
“Ora basta però” racchiude un messaggio implicito: “e sono io a dire che basta!” (e francamente non si vede proprio perché). “Ci siam spiegati”. Ci SIAMO?? A me sembra che lui non si fosse spiegato per niente. Ma può darsi.
E’ il momento del finale e della richiesta del numero di telefono e dell’indirizzo e-mail per proseguire, fuori dalla costrizione dei 140 caratteri, quello che Lagioia definisce “litigio”.
— @valeriodistefan così ci si spiega meglio. E anche si litiga (meglio)
—
E’ ovvio, alla divergenza di opinioni si dà necessariamente un significato negativo. Pensarla diversamente non è democrazia. E se non è guerra è, quanto meno, “litigio”.
Comunque, il mio indirizzo e-mail è pubblico, il mio numero di telefono lo stesso, e se proprio qualcuno vuole ascoltare la mia voce ci sono le mie audioletture. Quanto a me, mi prendo il diritto di parlare con chi voglio, quando voglio e, soprattutto, SE VOGLIO.
Alcuni interventi di Nicola Lagioia sono stati cancellati. Ma è stato un intervento tardivo perché ne conservo gli screenshot.