(…) non è la prima volta che Youtube mi causa problemi e perdite di tempo. I suoi controlli sul copyright sono diventati vessatori e ridicoli (…) e i suoi commenti sono una cloaca di complottisti, odiatori e imbecilli.
Il proverbiale aplomb britannico del Superlativo, oggi ha raggiunto il culmine. Siccome è stato avvisato da YouTube che “We found that a significant portion of your channel is not in line with our YouTube Partner Program policies.” si è lasciato andare a queste frasi di particolare appprezzamento contro il colosso e contro i suoi utenti (dove li vede tutti questi “odiatori, complottisti e imbecilli”? Nei commenti rivolti ai suoi contenuti, probabilmente), che non si sa cosa c’entrino con il fatto che i suoi filmati e i contenuti inseriti non siano in linea con la Policy del Partner Program che gli rende, a detta dello stesso Attivissimo, ben oltre un dollaro al mese (e pensare che questo blog con gli annunci di AdSense un dollaro lo fa al giorno!) Non si capisce come un gruppo eterogeneo di utenti (ci saranno pure commentatori tranquilli e poco inclini alla polemica) viene ridotto ai minimi termini con appellativi spregevoli e denigratori). Sia come sia, se sei su YouTube e vuoi essere suo Partner osservi le sue regole. Se non le osservi, o se i tuoi contenuti non sono compatibili con le loro richieste, quali che siano, te ne vai da un’altra parte. Cosa che Attivissimo ha già detto di voler fare passando a Vimeo. L’account su YouTube, però, lo mantiene. I risicati ma sudati e meritati guadagni pregressi fruttati “in questa macchina tritacarne senza volto” pure.
Silvia Bencivelli è una (bravissima) giornalista scientifica. E’ anche scrittrice (non so se altrettanto brava perché non ho letto il suo romanzo pubblicato per Einaudi), conduce svariate trasmissioni radiofoniche e televisive e ha, come tutti, anche qualche difetto: se la tira un po’ ed è pisana (che per un livornese come me non è esattamente un buon viatico), ma non è ancora proibito tirarsela né, purtroppo, essere pisani.
Giorni fa ha raccontato la sua storia su “Repubblica”. Dopo aver scritto e pubblicato un suo articolo in cui in quattro e quattr’otto smonta la teoria delle scie chimiche (ripeto, la ragazza è veramente brava e c’è poco da mordere, fidatevi!). Da quel momento, la sua vita è stata dominata dalla paura perché ha cominciato a ricevere messaggi di insulti e di minacce sui social (spesso a sfondo sessuale). Di parla di decine, forse centinaia di comunicazioni di questo tipo. “Troietta in calore”. “Puttanella da quattro soldi”. Facili e scontati appellativi che fanno male. Molto male. Non si può essere trattati così per qualcosa che si è scritto. Non è normale, è fuori da ogni logica etica e morale. Soprattutto se si tiene in debita considerazione il fatto che ci sia stata una sorta di capobranco a dirigere l’orchestrazione delle minacce e degli insulti alla Bencivelli. Ma si sa, “i muri vanno giù al soffio di un’idea”, come dice una vecchia canzone, e a qualcuno dovranno pur girare le palle. Da qui la decisione di Silvia Bencivelli di portare in giudizio i suoi persecutori, il cui “capo” è stato condannato l’altro giorno per diffamazione, mentre il tribunale ha anche ravvisato il reato di minaccia da discutere in separato giudizio.
E’ stata coraggiosa Silvia Bencivelli a querelare i suoi persecutori (spero TUTTI, uno per uno)? Certamente sì. Ma il coraggio non è stato solo quello. Lì si trattava del coraggio che ti dà la paura di avere a che fare con gente che potrebbe presentarsi sotto il portone di casa tua e farti del male. Ma c’è un secondo coraggio, ben più grande, quello dell’affrontare la magistratura e pretendere l’accoglimento di una querela per diffamazione e il riconoscimento del danno (ovvero lo stabilirsi giuridicamente che quel fatto si è verificato e che sì, il signor Nomen Nescio ha offeso la reputazione della signorina Tal De’ Tali). Non può avere idea la Bencivelli di quante querele per diffamazione vengono archiviate dalle procure anche se nel frattempo ci si è costituiti con un atto di formale opposizione. Rischiava di vedersi ferita dai suoi persecutori fanatici delle scie chimiche e anche da un sistema giudiziario che avrebbe potuto risponderle picche. Perché il fatto è di tenue entità (col cavolo!), perché così fan tutti (col cavolo!), perché quelle espressioni sono ormai entrate nel linguaggio comune assumendo una connotazione certamente volgare e disdicevole, ma non tanto da ledere l’onore (col cavolo!). Insomma, non è che le procure siano poi quei luoghi così accoglienti e confortevoli dove ti dicono “Ma sì, venga, venga, Lei ritiene di essere stato diffamato? Adesso ci pensiamo noi, non si preoccupi.” Tutt’al più prendono la tua querela, la sbattono in un cassetto e quando si avvicinano i tempi della prescrizione chiedono l’archiviazione. E allora sarebbe stata ferita doppiamente, triplamente, sarebbe stato un dolore immenso, ancora più grande della paura, del senso di non poter respirare, del terrore che si può provare ogni volta che si aprono i social per farsi gli affari propri e ritrovarsi sommersi di insulti.
La Bencivelli, nel citato articolo di “Repubblica”, tra le altre cose, osserva “qualcuno penserà che il mio processo è un femminile privilegio.” Sì, lo è stato. So di espressioni come “pompinara” tranquillamente derubricate a entità poco più che bagatellari, ma sempre e comunque niente per cui valga la pena di imbastire un procedimento. E non si sa più che cosa debba fare un cristiano per vedersi riconosciuta la ragione e lo status di vittima di un reato, probabilmente essere ucciso.
Ha vinto, Silvia Bencivelli, ha vinto due volte. Gli altri rimangono al palo.
AGGIORNAMENTI DEL 27/04
Silvia Bencivelli, a poche ore dalla pubblicazione del post mi ha lasciato un “like” su Twitter. La ringrazio per avere trovato il tempo di farlo.
Paolo Attivissimo, dal canto suo, da brava persona attenta ai complottisti, sempre impegnato a smascherare le scie chimiche, sensibile a gongolare quando arriva loro qualche condanna, non ha scritto una sola riga sul caso Bencivelli. C’è giornalismo e giornalismo, quello che senza urlare va a chiedere di avere giustizia nelle sedi competenti e quello che pretende di rivelare la verità a tutti i costi. Noi scegliamo il primo.