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Su “Il Fatto Quotidiano” (oggi vi parlerò due volte di questo giornale) è iniziata ieri la pubblicazione giornaliera di una serie di classici (“stranieri”? Finora par di sì…) del racconto dell’800. Si è iniziato con Cechov e si prosegue con Maupassant.
Per carità, nulla da dire. O, meglio, sì.
E’ certamente bello e perfino un po’ romantico pubblicare un racconto dell’800 al giorno. In fondo in Europa ce ne sono a centinaia, l’arte della narrazione breve si è perfezionata via via e in maniera sempre nuova e uniforme, dai racconti di Balzac a quelli di Verga, dal favolistico al verismo, naturalismo e realismo più spinti. C’è di tutto, insomma.
La collana “I grandi racconti”, curata da Silvia Truzzi si è avvalsa, fino ad oggi (non so se sia una semplice coincidenza) delle traduzioni tratte da alcuni volumi pubblicati dalla Garzanti.
Ora, probabilmente, quindi, ci sarà un accordo con la Garzanti che non credo permetta a chiunque di accedere ai propri diritti d’autore (o, come in questo caso, di traduzione) solo per gli occhi belli color del mare e perché a qualcuno piace far filtrare un po’ di cultura sotto gli ombrelloni dei bagnanti che leggono il “Fatto”, voglio dire, un minimo di soldini questi signori li vorranno, per poter consentire la ripubblicazione e la diffusione di ciò che è di loro proprietà.
Fosse anche solo con la pubblicizzazione della pubblicità al volume (che si trova in fondo ad ogni racconto pubblicato) da cui è tratta la short story in questione, il ritorno d’immagine per la Garzanti è evidente.
Ora, quale sia l’effettivo valore dell’accordo tra Garzanti e “Fatto Quotidiano” non lo sappiamo.
Sappiamo, però, che con il corrispettivo di quel valore, il “Fatto” avrebbe potuto commissionare a traduttori professionisti una nuova traduzione di quegli scritti (oltretutto brevi, non ci vuole molto tempo a tradurre una novella di Maupassant, a meno che non presenti delle peculiarità specifiche, e se dovesse presentare delle peculiarità specifiche, molto semplicemente, non la si pubblica e si passa ad altro), acquisendo per sé i diritti di traduzione. A quel punto avrebbe potuto:
a) pubblicarli liberamente;
b) metterli sotto una licenza Creative Commons e permetterne la circolazione e la riproducibilità sul web, purché non a scopo di lucro; così anche chi non legge “il Fatto” avrebbe avuto modo di leggerli o di averli e di passarli a qualcuno;
c) trarne degli e-book da vendere anche a prezzo simbolico (voglio dire, qualcuno a un euro l’uno se li compra);
d) (ri)pubblicarli in una antologia cartacea da vendere assieme al giornale (come si fa per altri tipi di opere, DVD, libri d’inchiesta, enciclopedie);
e) riempire secondo sensibilità, credo filosofico, religioso o politico.
Che dire? Una bella occasione mancata per fare della cultura libera qualcosa di più e di più durevole rispetto al semplice usare il giornale del giorno prima per incartare il pesce o vedersi spedire Cechov e Maupassant nel bidone della carta.
Tanto poi si ricicla tutto.