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Lui è andato in vacanza con la fidanzata. Si fa qualche foto con lei poi rientra.
Al rientro scopre che gli hanno sterminato la famiglia. Madre, padre e nonnina.
Naturalmente viene ascoltato come “persona informata sui fatti” dalle forze dell’ordine. Che poi non si sa su quali fatti debba essere informato. Su quelli che si sono svolti quando lui non c’era?
Lo interrogano per sette ore. Poi lo rilasciano. Senza che la sua posizione giuridica cambi. Per rilassarsi un po’ porta i cani a fare una passeggiata. In un campo trova alcune tazzine di un servizio appartenuto ai genitori. Dice “Perbacco, ma questo è un elemento nuovo! Devo subito andare a parlare con gli inquirenti perché questo è un ulteriore elemento di indagine.”
Lo trattengono altre cinque ore. Lo rilasciano senza che la sua posizione cambi minimamente. Ma intanto il sospetto serpeggia. Perché se l’hanno interrogato, e per dodici ore in totale in due giorni, “qualche ragione ci sarà”.
Si fa assistere da un legale. Non è tenuto a farlo, anzi, proprio non deve, esssendo un testimone. Però il suo avvocato va lo stesso. Non può entrare nella stanza dell’interogatorio, quindi si ferma a parlare coi giornalisti che gli chiedono se non gli sembri inusuale la sua presenza in quel luogo.
Il ragionamento sotteso, in realtà, è semplice: il suo assistito potrebbe passare dallo stato di persona informata sui fatti a quello di indagato di triplice omicidio. In quel caso, sì che avrebbe bisogno di un difensore. E se il difensore è qui è segno che questa circostanza sta per avverarsi. Stiamo per avere il mostro di Caselle.
Vero. Stavano per averlo. Solo che il mostro di Caselle non era lui. Era un altro. Che il giorno dopo ha confessato.
Il figlio e nipote delle vittime ha commesso un reato ben più orrendo ed esecrabile di quello di cui si sentiva sentore: lui non era responsabile. Era innocente.
E l’innocenza si paga almeno con la greve moneta del sospetto.