Casapound: Facebook dovrà riattivare gli account. Il rapporto tra l’utente e il social “non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati”

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Il 9 settembre scorso Facebook disponeva la sospensione degli account relativi alla pagina principale di Casapound e Forza Nuova per violazione della policy del social network. Stessa sorte per quelle ospitate da Instagram, articolazione di Facebook. E’ singolare che questo oscuramento sia avvenuto proprio nei giorni del dibattito sulla fiducia al Governo Conte bis. Oltre alle pagine ufficiali dei due partiti di estrema destra sono stati sospesi gli account afferenti a responsabili nazionali, locali e provinciali. La motivazione principale era quella relativa all’incitamento all’odio:

“Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram”

Con sorprendente tempismo (dovuto alla richiesta da parte di CasaPound di una procedura d’urgenza) il giudice civile del Tribunale di Roma Stefania Garrisi ha accolto nella sua totalità il ricorso presentato e ha condannato Facebook al pagamento di 800 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordinanza, e al pagamento delle spese di lite che sono state fissate in 15000 euro.

Le motivazioni sono particolarmente interessanti:

“È infatti evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento. Ne deriva che il rapporto tra Facebook e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto Facebook, ricopre una speciale posizione: tale speciale posizione comporta che Facebook, nella contrattazione con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente. Il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto Facebook ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al proprio servizio”.

Facebook, dunque, non sarebbe un qualsiasi soggetto privato, ma un’entità che deve strettamente attenersi al rispetto della Costituzione Italiana proprio per la sua funzione di facilitatore di rapporti umani e di conoscenza. E, attenzione, la condizione fondamentale perché una pagina di un partito politico possa venire oscurata dal social è la “violazione dei principii costituzionali e ordinamentali”. Quindi le regole interne di Facebook passano in secondo piano rispetto all’interesse prevalente e preminente del principio costituzionale che si asserisce violato. E qui Facebook avrebbe commesso una grave violazione dell’articolo 49 della Costituzione italiana:

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale

Da parte di Facebook nessun commento all’ordinanza. Solo un laconico:

“Siamo a conoscenza della decisione del Tribunale Civile di Roma e la stiamo esaminando con attenzione”

Lavinia Flavia Cassaro: oltraggio a pubblico ufficiale

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lavinia

Qualcuno mi ha chiesto che cosa io ne pensi del caso di Lavinia Flavia Cassaro, l’insegnante di Torino che ha insultato i poliziotti posti a guardia della manifestazione di Casapound. Cosa volete che vi dica? Che credo nello stato di diritto, per cui se ci sono reati deve essere indagata (e lo è già), i fatti accertati e perseguiti, condannata se colpevole, assolta se i fatti non costituiscono reato. Quanto al licenziamento ci sono leggi e regole precise, se il caso ci ricade va allontanata, se no deve essere mantenuta, anche se non ci piace quello che ha detto.

E’ talmente lampante che mi vergogno persino a scriverlo. Eppure si dà il caso che ieri, sul periodico online torinotoday.it sia apparsa la notizia dell’esistenza di una petizione a favore del licenziamento della Cassaro, lanciata su Facebook.

Non ho voglia di andare su Facebook a vedere cosa sia successo (“non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade”, diceva il poeta) ma mi preoccupa non poco questo linciaggio telematico, questa voglia di darle addosso a tutti i costi e di decidere al posto di chi deve decidere. Leggo sigle di partitini (la cui esistenza mi sconvolge un po’ l’animo) a sostegno di questa iniziativa e no, non si viene licenziati perché lo vuole la gente, altrimenti il web sarebbe pieno di petizioni. E una volta che uno ha “firmato”, lasciando un segno digitale sulla home page dell’iniziativa, a chi vanno consegnate le firme? Ai magistrati?? Una strategia che fa acqua da tutte le parti. Eppure è così, si viene giudicati prima ancora di essere giudicati. E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.