Wikipedia come casellario giudiziale

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Immagine tratta da paginebianche.it
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Riporto qui di seguito il testo dell’articolo “Wikipedia come casellario giudiziale” che avevo scritto per il libro “Il giardino incantato di Wikipedia” che, molto probabilmente non vedrà mai la luce, e non è detto che sia necessariamente un male. In quella occasione mi riferivo al caso giudiziario del giornalista Carlo Ruta che ha vissuto una delle esperienze più allucinanti che potessero capitare a un blogger. E a come una informazione sbagliata da parte di un sito consultato quotidianamente da milioni di persone possa fare molto ma molto male.

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Carlo Ruta è stato costretto a subire una delle vicende più dolorose della giustizia italiana connessa al mondo dell’informazione via web.

L’8 maggio 2008 venne condannato in primo grado dal Giudice Penale monocratico del Tribunale di Modica, dottoressa Patricia di Marco, in quanto imputato “del reato p. e p. dagli artt. 5 e 16 della L. 08.02.1948 n. 47, per avere intrapreso la pubblicazione del giornale di informazione civile denominato “Accade in Sicilia” e diffuso sul sito internet www.accadeinsicilia.net senza che fosse stata eseguita la registrazione presso la cancelleria del Tribunale di Modica, competente per territorio per avere il Ruta comunicato al provider Tiscali il proprio indirizzo di posta elettronica in Pozzallo via Ungaretti n.46, con registrazione avvenuta in data 16 dicembre 2003. In Pozzallo il 16.12.2003 e fino al 07.12.2004.”

La pena comminata è stata di 150 euro di multa (e non di ammenda, come erroneamente riportato da alcuni organi di informazione).

Nel maggio 2011 la condanna è stata confermata dalla Corte d’Appello di Catania.

Nel 2012 la terza sezione della Corte di Cassazione, presieduta dal Dott. Saverio Felice Mannino ha assolto Carlo Ruta perché il fatto non sussiste, senza alcun rinvio ad altro grado di giudizio. La sua vicenda giudiziaria, dunque, in quel momento, finiva per sempre.

Ma ha certamente lasciato degli strascichi orribili, sia nell’opinione pubblica che nel cosiddetto “popolo della rete”, per non parlare della sofferenza personale dell’interessato, che ha dovuto attendere quasi otto anni per vedere riconosciuta la propria estraneità ai fatti per un presunto reato per il quale nessuno veniva più condannato da lustri.

Dal 2004, dunque, un giornalista è stato ingiustamente privato di un indispensabile strumento di comunicazione a sua disposizione, e che costituiva una fonte di informazione, neanche periodicamente aggiornata per chi ne faceva uso, per non parlare della possibilità di esprimere il proprio pensiero attraverso quella risorsa informatica di cui era titolare, stata sequestrata e resa inaccessibile per tutto il periodo del procedimento.

E’ stato dichiarato colpevole in due giudizi di merito, ed è stato, finalmente, assolto con la formula più ampia.

La sua iniziativa editoriale, dunque NON era “stampa clandestina”, così come previsto dall’articolato di legge (“Chiunque intraprenda la pubblicazione di un giornale o altro periodico senza che sia stata eseguita la registrazione prescritta dall’art. 5, è punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a lire 500.000. La stessa pena si applica a chiunque pubblica uno stampato non periodico, dal quale non risulti il nome dell’editore né quello dello stampatore o nel quale questi siano indicati in modo non conforme al vero” – Legge n. 47 del 1948-).

Le indagini, con il conseguente sequestro del blog, erano partite con particolare riferimento alla pubblicazione di documenti inerenti l’uccisione del giovane giornalista Giovanni Spampinato, nel 1972

Oltre al danno, la beffa. All’indomani della sentenza della Cassazione, Wikipedia non aveva ancora aggiornato la pagina dedicata a Carlo Ruta. Per cui, Carlo Ruta, per quasi 24 ore è risultato ancora condannato in base alla sentenza di secondo grado.

Ritenevo e ritengo ancora che il coraggio di Carlo Ruta, e la sua determinazione nel difendersi fino all’ultimo grado di giudizio avessero meritato un po’ più di rispetto, anche e soprattutto dai paladini della cultura libera.

Poche ore dopo la segnalazione del fatto sul mio blog (e non necessariamente in conseguenza di essa) la voce è stata modificata, riportando la notizia dell’assoluzione in Cassazione e supplendo a una imbarazzante e spiacevole latitanza di aggiornamento durata diverse ore.
Ma, come dicono i veneti, xé stà’ pegio el tacón del buso [il rammendo è stato peggiore del buco]: se da un lato Wikipedia ha aggiunto la frase “ma il 10 maggio 2012 viene assolto in Cassazione”, dall’altro la notizia è stata ancora ospitata sotto il paragrafo originario: “La condanna per stampa clandestina”.

Ma il punto è che non esiste nessuna condanna per stampa clandestina a carico di Carlo Ruta. Le due condanne inflitte in primo e in secondo grado, non essendo definitive non solo non hanno avuto nessun effetto, ma sono state spazzate via dalla sentenza definitiva di assoluzione della Corte di Cassazione. Non esistono. O, se sono esistite, hanno avuto carattere assolutamente transitorio. Sono state pronunciate, sì, ma hanno avuto lo stesso valore che hanno tutte le condanne di primo e secondo grado non definitive: zero.

Wikipedia non ha titolato, come sarebbe stato corretto, “L’assoluzione dall’accusa di stampa clandestina” (perché di questo si tratta), ma ha “inchiodato”, con un titolo, una persona a una circostanza che non aveva alcuna rilevanza di tipo penale.

Il lettore che dovesse cercare notizie su Carlo Ruta avrebbe potuto essere tratto in inganno da quel titolo. Che avrebbe potuto suggerire letture “successive” più che pericolose.

Sempre successivamente alle mie segnalazioni (e, come ripeto, non necessariamente per effetto di esse), il titolo è stato cambiato in “La vicenda giudiziaria della stampa clandestina”.
Anche da questa lettura emerge che quanto è occorso a Carlo Ruta è, comunque, una “vicenda giudiziaria”, un dato di cui serbare memoria e da trasmettere, nel tempo, anche a chi, a distanza di anni, dovesse cercare notizie sul giornalista.

Meglio se taci è meglio se lo leggi

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E’ uscito un (bel) libriccino, denso e corposo, ad opera di Guido Scorza (che, assieme a Paolo Attivissimo, è una di quelle persone per cui mi chiedo dove trovino il tempo di scrivere tutto quello che scrivono) che si intitola “Meglio se taci” e Alessandro Gilioli.

E’ una serie di dissertazioni e casi reali che riguardano tutto ciò che grava sulla libertà di espresssione in Italia, dall’essere al 49.o posto nella classifica mondiale alle censure travestite da tutela dei diritti di copyright, passando attraverso i privilegi dell’AGCOM, le incongruenze delle leggi sulla stampa, le proposte di censura della rete in Parlamento, dalla prefigurazione di un Medioevo prossimo venturo al diritto all’oblio. 160 pagine agili ma pesanti come un macigno.

Ci si ritrova di tutto: la vicenda di Carlo Ruta, condannato in primo e secondo grado e assolto in Cassazione per non aver registrato il suo blog come testata giornalistica, quella di Francesco Vanin cui era stato contestato l’esercizio abusivo della professione giornalistica per aver organizzato una “YouTube” veneta.

Sono storie chepensavamo di aver relegato nel dimenticatoio. Invece hanno avuto luogo proprio in Italia. Beh, del resto dove altro avrebbero potuto?

Un bel libro, dicevo, con una pecca (e siccome so che Scorza accetta volentieri le critiche gliene rifilo subito una): non tratta del potere intimidatorio che hanno le querele per diffamazione via web. Si badi bene, non delle querele legittimamente sporte, ma di quelle che hanno come scusa una presunta (e non ancora accertata) diffamazione per esercitare il potere di censura sul blogger di turno: oscurare tutti i contenuti, anche quelli che non c’entrano niente con la materia del contendere, e non permettere più a chi scrive di poterlo fare in attesa del giudizio, lento, noioso e farraginoso. Ci hanno provato con me, senza riuscirci. A Piero Ricca è andata peggio. Io non ho mai sostenuto che chi è stato veramente diffamato non debba veder riconosciuti i propri diritti. Ma almeno si sequestrino QUEI contenuti diffamatori una volta ottenuta una sentenza definitiva passata in giudicato e si lascino intoccati gli altri. Vox clamans in deserto.

A parte questo, Guido Scorza ha fatto un gran bel lavoro, accidenti, e guardate un po’ se lo leggete anche voi, così smuovete il culo da quella sèggiola.