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Marco Campogiani è regista giovane ma di buon nerbo, poco verboso, estremamente chiaro, lineare, semplice e sintetico nelle sue esternazioni al pubblico che lo hanno presentato come persona compassata che sa andare al nocciolo delle cose senza girarci troppo intorno.
Campogiani ha saputo tenere a bada una presentatrice che stava per svelare troppo della trama del film e ha glissato, da "gentleman" sulla domanda finale: "Sei soddisfatto?" ("E che ne so? Lo deve dire il pubblico" -giustamente!-)
E il film è piacevole, gradevole, indubbiamente "compiuto", meditato, forse, a volergli trovare proprio un difetto, eccessivamente dialogico, ma comincia con un ritmo sincopato, quasi jazzistico (lo so, vi chiederete cosa c’entri il ritmo "sincopato" con un film, so assai io, è un flash che mi è venuto così, ho ancora sonno…) e lo porta fino alla fine.
Due poliziotti di diversa indole, esperienza e carattere si ritrovano a dare la caccia a un presunto terrorista islamico collegato ad alcune cellule di Al Qaeda. Da qui una serie di situazioni tragicomiche accompagnano i due (che, per certi versi, somigliano un po’ a Stanlio e Ollio, essendo l’uno il doppio speculare dell’altro) in un’analisi dell’amicizia al maschile, pasticciona e sincera, che si ritrova nonostante il protagonista perda in un giorno il suo matrimonio e veda sgretolarsi le "certezze" di una vita con una donna sinceramente antipatica e sospettosa.
La parte amara consiste proprio nel mostrare come la fiducia tra un uomo e una donna possa venir meno per pregiudizi.
Film decisamente papabile.