Radio Radicale rappresenta certamente un “unicum” nel panorama dell’informazione italiana. Da decenni ritrasmette in diretta le sedute del Parlamento, in modo che i cittadini possano avere una informazione diretta e trasparente su ciò che accade nel Palazzo. Senza filtri e senza complesse rielaborazioni. Radio Radicale è l’archivio vocale, sterminato, della storia della Repubblica. Le trasmissioni delle ultime tre settimane sono disponibili sul sito www.radioradicale.it in streaming e per il download con una licenza Creative Commons. Sono inoltre trasmesse tutte le udienze dei processi principali, tra cui il Processo bis per la morte di Stefano Cucchi, a Mario Bo ed altri per il depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio e il processo d’appello per il disastro ambientale avvenuto nella discarica Resit di Giugliano (Napoli).
E a Radio Radicale il governicchio degli intolleranti e degli incompetenti ha tagliato del 50% il contributo pubblico.
Radio Radicale è, senza se senza ma, servizio pubblico a tutti gli effetti. Non ho altre possibilità di assistere alle sedute del Parlamento se non quella di accendere la radio. Sul satellite le dirette della Camera non ci sono più, se voglio i canali della Camera e del Senato devo pagare Sky (col cavolo!), il canale di GR Parlamento non trasmette TUTTO in versione integrale, e io mi perdo in questa offerta formativa frammentaria. Sicché mi collego al sito, clicco sulla diretta radiofonica e me la ascolto in streaming. O sull’FM nazionale, che però da me non prende neanche troppo bene.
Al servizio pubblico non si tagliano i viveri. Giù le mani da Radio Radicale!
Alla fine la brutta norma con un bel nome è passata anche alla Camera dei Deputati e si accinge (speriamo con un po’ di disgusto) a diventare legge dello Stato.
Hanno aspettato l’estate, quando in piazza poteva esserci tutt’al più un manipolo di insegnanti agguerriti e col dente avvelenato, ma poca, pochissima roba rispetto allo sciopero unitario del maggio scorso.
Al Senato, se possibile, era andata perfino peggio: avevano messo la fiducia, strumento di prevaricazione sul Parlamento, di per far passare la figura del preside plenipotenziario e onnipotente e per cancellare dalla faccia della terra le graduatorie, che erano l’unico mezzo di garanzia di trasparenza che potesse esistere. Certo, perfettibile ma efficiente.
PAsseranno ancora molti, moltissimi anni, prima che un governo onesto si renda conto della dannosità che i suoi predecessori hanno reso legge e corra ai ripari.
Per ora, mutande di bandone e faccia di ghisa, perché non farà mai troppo male.
Indubbiamente il governo sta facendo una buona cosa nell’intraprendere la desecretazione degli atti che riguardano l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Indubbiamente il Presidente della Camera Laura Boldrini ha avuto un’ottima iniziativa personale nel sollecitare questa operazione.
Ma non pretendano, Lorsignori, di ricevere gli applausi che, in fondo, ritengono di meritare. O, peggio ancora, di essere considerati diversi da chi li ha preceduti nelle stesse funzioni.
Perché vent’anni sono vent’anni. Vent’anni erano il periodo in cui una donna partoriva un figlio e lo vedeva tornare dal servizio militare. O quello in cui un dittatore saliva al potere, partecipava a una guerra mondiale e veniva appeso per i piedi a Piazzale Loreto. Vent’anni sono quelli di Dumas dopo “I tre moschettieri”.
Hanno mai detto qualcosa i suddetti Lorsignori prima d’ora? No. C’è voluta la ricorrenza, come se la storia di facesse a suon di compleanni. E’ stata necessaria la lucidità della madre di Ilaria Alpi che in un’intervista ha declinato serenamente l’innocenza di Hashi Omar Hassan e che sugli 8000 documenti secretati ha affermato “Aspettiamo le decisioni della Camera e del Copasir. Ma il problema è capire, alla fine, cosa effettivamente ci lasceranno leggere. Troppi pezzi di questa storia sono scomparsi”.
Lo sanno anche gli alti vertici che sono scomparsi e che l’accesso a quei documenti non sarà favorevole a un approccio di trasparenza storica, ma di verità di comodo. Si aprono gli archivi per insabbiare la memoria.
Laura Boldrini è stata oggetto di un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma da parte del Codacons.
Oggetto dell’esposto è la circostanza per cui il compagno della Presidente della Camera ha usufruito per il proprio compagno di un volo di Stato in Sud Africa (per le celebrazioni in occasione della morte di Nelson Mandela). Si tratta di vedere se ci sono elementi di danno allo Stato per causa civile o penale. E per questo c’è la magistratura.
A noi spetta solo il compito di valutare se questo atteggiamento è etico e umanamente inaccettabile, e la risposta è, no, nemmeno un pochino. A prescindere da quello che diranno i giudici, che possono anche archiviare l’esposto e non procedere. Come spesso dico, non è che bisogna aspettare che ci sia una qualche rilevanza penale in un gesto per condannarlo.
Il volo è un volo di Stato. Quindi pagato dai cittadini. E non è che un aereo arriva in Sud Africa senza carburante.
Per cui amore mio, vado in Sud Africa, ti farebbe piacere venire con me? Così ce ne andiamo da qualche parte, vediamo un po’ di mondo, io partecipo alle cerimonie, stiamo un po’ insieme che ci vediamo così poco. Dài, vieni anche tu, amore mio, mi faresti felice. Però tu vieni e riparti con un volo di linea e non con un volo di Stato. Il biglietto te lo paghi tu, oppure, guarda un po’, visto che guadagno una pacca di denari, te lo pago io, ma su una risorsa che hanno pagato i cittadini per me mi dispiace ma non ci sali. Perché non vuol dire niente, amore mio, che ci siano dei posti liberi sull’aereo e che, quindi, non costeresti una solo lira bucata in più alla collettività, sono cose che non si fanno, semplicemente perché io ricopro una funzione statale in quel momento e non posso mescolare gli affetti e i biglietti aerei con il mio compito istituzionale.
Ci voleva tanto??
E pensare che mia moglie non ha mai usufruito nemmeno di una gita scolastica!
Alla fine se la sono cavata con cinque giorni di sospensione.
Chissà se ci sarà l’obbligo di frequenza per i parlamentari del Movimento 5 Stelle che si sono resi responsabili di aver dormito una notte sul tetto di Montecitorio e di aver affisso uno striscione che riportava la scritta “La Costituzione è di tutti”.
Sono cose gravi, anzi, come diceva la Preside, di “eccezionale gravità”. In effetti non si può che darle ragione. Dire che la Costituzione è di tutti è una affermazione inconcepibile e dormire è una attività altamente eversiva.
Cinque giorni, dunque, e nemmeno con la possibilità di convertire, a scelta dell’alunno, la sospensione dalle lezioni in una attività di utilità sociale per l’aula.
La grave azione influirà pesantemente sul voto di condotta finale. Gli alunni dovranno impegnarsi di più e per ottenere la sospirata promozione dovranno scrivere cento volte sulla lavagna la frase “La Costituzione non è più di nessuno“.
La rete, questa sconosciuta. Questo mezzo di comunicazione che produce paura, come tutto quello che non si può fermare, come tutto quello che vorremmo non ci fosse, come tutto quello che permette alla gente di sfuggire ai controlli tradizionalmente intesi. E se la rete è sconosciuta, la rete diventa, automaticamente (e non potenzialmente) dannosa.
Non esiste ancora, soprattutto ai più alti vertici dello Stato e, più in generale, nella visione del legislatore, l’immagine della rete come società, per cui le leggi che valgono nella società sono trasferibili perfettamente anche nella rete, no, la rete è diventata, nell’immaginario politico prima ancora che in quello dell’opinione pubblica, luogo privilegiato di interesse per i comportamenti del singolo. Tutto ciò che è fatto in rete assume una valenza amplificata, come se fosse più grave di ciò che succede nella vita quotidiana.
Una precisazione: io non ce l’ho affatto con la presidente della Camera Boldrini, come la frequenza di post su di lei potrebbe far credere. Molto semplicemente non condiviso una virgola di quel che dice, fa, pensa. Lei ha tanti mezzi per diffondere il suo pensiero, io ho solo il mio blog. Abbiate pazienza.
Laura Boldrini, dunque, ha scritto sulla sua pagina Facebook queste osservazioni che riporto, integralmente, evidenziandole in grassetto.
La violenza contro le donne continua a mietere vittime. In questi giorni altri due casi di femminicidio: Cristina Biagi uccisa il 28 luglio, Erika Ciurlia il giorno dopo. Una violenza che non ha confine e che passa anche attraverso la rete, non solo in Italia.
La violenza a cui si riferisce la Boldrini, probabilmente, è da cercare in alcuni interventi pubblicati prima dei delitti dai presunti assassini su Facebook. Interventi che facevano chiaramente presagire quello che sarebbe avvenuto di lì a poco e che nessuno è stato in grado di scongiurare (ci sarà ben stato qualcuno che avrà visto quei post tre ore prima dell’omicidio, no? Macché, tutti zitti, tutti facebookianamente omertosi). Ma il punto non è la rete, evidentemente, quanto, piuttosto, tutte le modalità di comunicazione possibili tra un assassino e la sua vittima designata. Quante telefonate, quanti SMS avrà ricevuto la donna prima di morire? Ma, ecco, del telefonino non parla più nessuno, quello non fa paura. Eppure è lo strumento preferito dagli stalker. Una volta si usavano le lettere anonime di minaccia. Si usano ancora, non so quante ne riceveranno i deputati della Camera, ma se ne parla pochissimo. Facebook, dunque, come quintessenza del pericolo in internet, ma non solo.
In Inghilterra, ben 60mila persone hanno firmato una petizione on line perché su Twitter venga inserito un ‘tasto’ per segnalare abusi …e violenze verbali. Dopo la mobilitazione di massa, il social network si è impegnato a provvedere. A portare avanti questa battaglia è stata Caroline Criado- Perez, una nota attivista per i diritti delle donne, vittima di pesantissime minacce sul suo profilo.
La rete fa quello che l’Italia non riesce nemmeno a recepire. Sono bastate 60.000 persone perché Twitter facesse suo uno slancio di indignazione fortissimo, e tutto questo in pochissimi giorni.
In Italia “Il fatto quotidiano” sta portando avanti una raccolta di firme contro lo sfregio della Costituzione perpetrato da parte dei partiti di Governo. Le firme raccolte ad oggi sono 160.000. Eppure non c’è stata nessuna risposta a livello istituzionale. Che cosa avrebbe da dire la presidente Boldrini su questo?
Per quale motivo non viene inserito un “tasto” legislativo che permetta di mantenere inalterato il senso della nostra carta?
Sono 160.000 persone, dicevo, e il loro numero è destinato ad aumentare. Eppure è come se non ci fossero. La rete, attraverso la quale hanno manifestato la loro adesione, è “virtuale”. E’ come se non esistessero. E il problema è Twitter??
Anche nel nostro Paese, molti, specialmente donne, subiscono minacce on line e alcuni giovani sono arrivati a togliersi la vita a causa del dileggio in rete. La mobilitazione collettiva, in Inghilterra, ha aiutato ad ottenere risultati per aumentare la tutela sul web. In Italia questo tema viene percepito, da alcuni, come un tentativo di censura. Cosa ne pensate dell’esperienza inglese?
Sarebbe stato confortante avere i dati che riguardano le persecuzioni di reati come l’istigazione al suicidio (che mi pare ancora perfettamente contemplato nel nostro codice penale), sapere cioè quante persone, dopo un giusto e regolare processo, sono stati riconosciuti colpevoli di crimini come quelli richiamati dalla Presidente Boldrini.
Ma questi dati non ci vengono proposti. Come mai?
E perché la cosiddetta “tutela del web” viene vista come un tentativo di censura? Perché diventerà troppo facile per chi usa Twitter segnalare qualcuno per una parola fuori posto o, ancor meno, per una opinione non gradita. Si premerà il bottoncino e quello sparirà, non avrà più la possibilità di esprimersi su quella piattaforma. Non è uno strumento di tutela, è uno strumento di delazione e di giustizia sommaria. Ecco cosa penso dell’esperienza inglese.
Abbiamo leggi per tutelarci e magistrati per applicarle. Adesso.
Sul richiamo al deputato Colletti (M5S) che ho riportato alcuni giorni fa, registro questo intervento del Presidente della Camera Boldrini, pubblicato sulla sua pagina Facebook:
Ai tanti che in queste ore chiedono conto del mio richiamo al parlamentare che oggi, nel suo intervento, ha usato un tono sarcastico e irrispettoso nei confronti del Presidente della Repubblica, rispondo che, nella mia funzione, devo far rispettare la Costituzione. Intendo dire che l’operato del Capo dello Stato non può essere oggetto di valutazione nel dibattito parlamentare.
Questo stabilisce un principio più volte richiamato in aula (nelle sedute del 2 luglio 1998, del 9 febbraio 2000 e del 20 marzo 2007) legato ai rapporti tra gli organi costituzionali del nostro ordinamento.
L’articolo 90 della Costituzione, infatti, esclude la responsabilità del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che nei casi e nelle forme espressamente stabiliti dalla Costituzione stessa.
Per questo la Presidenza della Camera ha sempre richiamato i deputati che nei loro interventi non si siano attenuti al rispetto di questo principio.
Apprendo solo adesso che la valutazione dell’operato del Capo dello Stato sia un “principio”. Nel richiamo (“Sì, però lei sa che non può chiamare in ballo il Presidente della Repubblica e anche questo fa parte del Regolamento”) si faceva cenno al Regolamento, non a una comune prassi o a un più generico principio.
Non è chiaro il richiamo all’articolo 90 della Costituzione. Certamente il Capo dello Stato non è responsabile di quello che fa nell’esercizio delle sue funzioni. Ma questo non vuol dire che non possa o debba essere anch’egli oggetto di critica non tanto mentre esercita la pubblica funzione, ma proprio per quello che in tale esercizio compie. E cosa c’entra questo con il dibattito parlamentare?
Quel “tono sarcastico e irrispettoso” del deputato Colletti, chi lo stabilisce con quella aggettivazione? La Boldrini, e va bene. Ma chissà che sia sarcastico (e fin qui nulla di male, il sarcasmo fa parte della satira, che è parte fondamentale del diritto di critica, le vignette dei giornali sono piene del personaggio di Re Giorgio, che è la stessa immagine ripresa da Colletti nel suo intervento) o irriguardoso solo per il sentire della Boldrini. Bisognerebbe vedere cosa ne penserebbe un giudice che fosse chiamato a decidere nel merito.
Il limite tra citazione, critica e satira, come si vede, è estremamente sottile. La cosa sinceramente angosciante è che nel dubbio si richiamano i deputati a un “regolamento” che è solo un principio.
Alla Camera, in Commissione Affari costituzionali e Bilancio, visto le la notte porta consiglio è stato approvato un emendamento che si occupa dei sindaci.
In buona sostanza, chiunque sia stato eletto parlamentare potrà continuare a tenere la doppia poltrona, nel caso sia anche sindaco di un comune italiano.
Doppia poltrona vuol dire doppio stipendio.
Si “salveranno” tutti quei sindaci che sono stati eletti fino al 2009.
L’emendamento è stato inserto con l’appoggio di PDL (Ignazio Abrignani), del PD (Enrico Stumpo) e di SEL (Martina Nardi).
Dopo l’approvazione del disgraziatissimo decreto svuota-carceri, SEL ha ancora una volta appoggiato la maggioranza in un pasticcio salva-casta di proporzioni inimmaginabili.
Chi dovevano salvare non si sa, ma certamente diranno che era un provvedimento giusto e opportuno.
Sono andato a visitare la pagina Twitter del Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini.
Viene aggiornato con cadenza irregolare, comunque non quotidianamente.
Vi si trovano comunicazioni sulle sue attività in giro per l’Italia e sugli eventi che ritiene più importanti alla Camera.
Naturalmente il fatto che i lavori della Camera siano stati sospesi non è minimamente riportato
(vedete qualcosa voi? Io no)
L’8 luglio scorso, però, la Boldrini utilizza ben tre tweet per parlare del Papa in occasione della sua visita a Lampedusa. Non lo fa per nessun altro evento istituzionale. Le piace il Papa, d’accordo, i fatti di fede attengono alla sfera personale e privata dell’individuo, ma la Boldrini è la terza carica dello Stato e di uno Stato Laico.
Non pretendo che la Boldrini rinunci alle sue opinioni personali (che può esprimere quando non esercita le sue funzioni), mi basta solo che quando scrive sul suo profilo ufficiale (che conta oltre 122.000 “follower”) incarni sì il ringraziamento a un Capo di Stato straniero che viene a farci visita, ma anche e soprattutto quella laicità di cui abbiamo tanto bisogno.
Come diceva Cesare Pavese? Ah, sì, ecco, “Scenderemo nel gorgo muti.”
Nel gorgo ci stiamo precipitando con scippi di democrazia, colpi di mano, sgambetti, sotterfugi, dichiarazioni eclatanti. Stanno uccidendo lo stato di diritto e noi siamo qui a riempire secchiellini di sabbia, a mangiare come maiali, a spalmarci l’olio al cocco e a sfoderare le infradito.
E’ una bella morte, in fondo. Uno non se ne accorge nemmeno. O, quanto meno, è talmente convinto di essere vivo che quando crepa di asfissia democratica non sa se dare la colpa al palombo coi piselli che gli è andato di traverso.
Il parlamento (il minuscolo non è voluto, ma ormai ce lo lascio) si ferma perché un processo a Berlusconi sta arrivando in Cassazione. E la Suprema Corte cerca di evitare il rischio che alcune accuse cadano in prescrizione.
E’ una cosa spaventosa non solo per la richiesta, di per sé abnorme, che si è trasformata in una sospensiva di 24 ore dell’attività parlamentare, ma soprattutto per l’appoggio del Partito Democratico incapace di difendere la attività parlamentare ordinaria per fare un favore (o renderlo, non si è capito bene) al gruppo dell’amico Silvio (hanno bisogno di fare un’assemblea? Non c’è problema, la fanno fuori dagli orari dei lavori di aula e di commissione!), per il comportamento inqualificabile di Pierdomenico Martino, che si è scagliato contro alcuni dei suoi colleghi, per Renato Schifani che ha annunciato che se Berlusconi viene condannato e interdetto dai pubblici uffici in via definitiva il PDL se ne va (da dove se ne vada lo sanno tutti, dove vada è un po’ più difficile da stabilire), per il potere giudiziario, separato da quello politico e da quello esecutivo, per il fatto che il “cittadino Silvio Berlusconi” deve essere esattamente quello che è, cioè un cittadino, e per il fatto che per NESSUN cittadino (neanche parlamentare) sono mai state richieste 24 ore di sospensione dell’attività parlamentare.
Grillo scrive sul suo blog che “La scatola di tonno è vuota” e che “Il Parlamento, luogo centrale della nostra democrazia, è stato spossessato dal suo ruolo di voce dei cittadini” che “Il Parlamento è incostituzionale in quanto il Porcellum è incostituzionale e ora pretende di cambiare la Costituzione su dettatura del PDL e del PDmenoelle”. E ancora “E’ un simulacro, un monumento ai caduti, la tomba maleodorante della Seconda Repubblica”.
Cose che, voglio dire, ricondotte al linguaggio di Grillo, ed estrapolate dai suoi stilemi linguistici (Grillo ormai ci ha assuefatti col “PDL e il PDmenoelle”) sono anche vere. Peccato che con la legge del Porcellum anche il Movimento 5 Stelle abbia nominato i suoi specifici candidati in parlamento.
Ma quelle di Grillo sono opinioni. La metafora del Parlamento come sepolcro imbiancato di una politica che non trova più il dialogo con i cittadini ne è un esempio chiarissimo.
Laura Boldrini, Presidente della Camera dei Deputati ha definito il discorso di Grillo “offensivo, un attacco alla democrazia e all’immagine dell’Italia”.
Ma il vero attacco alla democrazia non è tanto il discorso di Grillo, quanto l’etichetta di “offesa”.
Se la Boldrini pensa che il Parlamento sia stato offeso, visto che è il presidente di uno dei due rami che lo compongono, può tranquillamente querelare Grillo.
Viceversa, se taccia di “offesa” il discorso di Grillo, senza che questo lo sia, genera nella persona comune in sospetto che in quel linguaggio, in quelle parole, in quegli accostamenti, in quella intenzione comunicativa, siano insiti tutti gli elementi che costituiscono un reato propriamente detto.
Il Parlamento, i suoi presidenti, lo stesso residente della Repubblica non sono esenti da critiche al loro operato.
Se quello che Grillo dice è reato, la Boldrini ce lo dica subito.
Se non lo è, che glielo si lasci dire.
Dunque la Boldrini, da quando è stata eletta Presidente della Camera, avrebbe ricevuto un numero significativo di messaggi telematici di minaccia e/o a sfondo sessuale.
Ha buttato lì una considerazione sull’opportunità di nuove regole, ma non si è capito bene se queste nuove regole devono essere studiate espressamente per la rete o per il reato di stalking.
In ogni caso è un flop, perché parte dal concetto (tragicamente sbagliato) che la rete non sia regolamentata. Per la rete valgono le stesse regole già presenti nei codici della società civile. I reati di minacce e diffamazione, nonché quello di molestie (anche sessuali) si possono commettere (anche) tramite la rete.
Quindi si va dal magistrato e si presenta una querela (viceversa questi reati non possono essere perseguiti).
Se poi si ritiene che le leggi attualmente in vigore non siano adeguate per tutelarci c’è il Parlamento in cui si può discutere in maniera democratica se inasprire le pene o meno o se inserire nuove fattispecie di reato. E la Boldrini è, si veda il caso, la Presidente di uno dei due rami del Parlamento.
E chissà in quale àlveo dorato hanno vissuto i nostri parlamentari, che hanno così tanta paura della rete da voler intervenire sui reati commessi suo tramite. L’odore di censura comunque c’è. E si sa che ciò che non si conosce ci sfugge e allora bisogna pure ingabbiarlo in qualche modo, perché ciò che non si conosce ci fa paura.
E allora si può concepire tranquillamente una critica come un’ingiuria perché il solo fatto che venga diffusa con un mezzo a noi sconosciuto ce la fa ingigantire e vivere in modo abnorne.
Oggi, tra l’altro, è la giornata mondiale della libertà di stampa. Ma ce ne siamo tranquillamente dimenticati (già, come sarà???).
E’ risaputo che l’elezione alla presidenza della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica di Laura Boldrini e Piero Grasso mi lascia piuttosto perplesso. Ma soprattutto insoddisfatto.
C’è da sognare, dunque. Sognare che, a questo punto, Stefano Rodotà venga eletto Presidente della Repubblica. Uomo retto, preparato, di grande cultura giuridica ed estremamente sensibile ai diritti di ciascuno. Chi meglio di lui?
Nessuno, certo. E sarà per questo che non sarà eletto. Gli verrà preferito un uomo del sistema, un vecchio notaio costituzionale brontolone e ringobbito. E’ la diciassettsima legislatura, bellezze…
“Il carcere è un penitenziario… non è un villaggio di vacanza… si deve scontare la sua pena perscritta… che gli aspetta… lo sapeva prima fare il reato… io ritengo come Lega… di non uscire prima della sua pena erogata, grazie”
(Eraldo Isidori, Lega Nord, Camera dei Deputati, 28 novembre 2012)
I giornali on line aprono tutti (tranne "Il Fatto Quotidiano") con la notizia di una strage familiare avvenuta a Trapani. Tra meno di un’ora comincerà alla Camera dei Deputati il dibattito, cui seguirà il voto, sulla richiesta di autorizzazione all’arresto del deputato Nicola Cosentino.
E’ sempre così. Quando sta per succedere qualcosa di importante per le istituzioni, i giornali (soprattutto quelli che percepiscono denaro pubblico) nicchiano, temporeggiano, parlano d’altro. "La Stampa" ha perfino allestito una pagina in cui un inviato a Montecitorio aggiorna via SMS la situazione del dibattito. Per ora è riuscito solo a commentare gli "ammàppela!" di D’Alema. Un po’ pochino come introduzione a un dibattito così importante.
Il "Corriere" mette la notizia in quinta posizione, dopo il rincaro della benzina e la messa in rilievo di un video del team della Gabanelli che intervista un tassista che confessa di evadere il 40% delle tasse (ci voleva la Gabanelli, evidentemente, per renderci edotti del fatto che in Italia esistono categorie e ordini professionali in cui largheggia l’evasione fiscale…).
I soli commenti di Palazzo sono le posizioni contrapposte di Bossi e Di Pietro. Bibì e Bibò si fronteggiano dicendo l’uno che contro Cosentino le carte non dicono nulla, e l’altro ribattendogli che non le ha lette.
Leggiamole noi per primi, e facciamoci, a prescindere da come andrà, una opinione personale basata sulla conoscenza. Il resto lasciamolo al teatrino della politica, o a quello che ne resta.
"Pensare di applicare al web una legge sulla rettifica risalente al 1948 conferma la visione archeologica che Pdl ha della realtà e della società. Ostili ad ogni forma di aggiornamento dei diritti, nemici di ogni innovazione che modifichi l’esistente, dalla banda larga alle unioni civili, credono di poter intervenire sulla rete con modalità ideate da classi dirigenti migliori di loro, quando non esisteva neanche la tv. Credo che sarebbe ragionevole, ed eviterebbe ulteriori figuracce alla maggioranza, limitare il dovere di rettifica alle sole testate giornalistiche online registrate in Tribunale, e rinviare ogni iniziativa sul resto ad un dibattito serio che coinvolga tutti i soggetti che operano sulla rete. Abbiamo depositato oggi stesso due emendamenti a riguardo. Parteciperò alla manifestazione di oggi al Pantheon dalle 15, per ascoltare e confrontarmi su un tema che non può essere lasciato all’improvvisazione o alle tentazioni censorie della maggioranza."
Ringrazio Pina M. che ogni tanto segue questo blog, che, come molti altri blog, avrà vita breve. Non so bene cosa abbia capito di quello che pubblico (perché ultimamente quello che pubblico non lo capisco nemmeno io) e che ulteriore pessima impressione si sia fatta di me, ma è bello sapere che, di tanto in tanto, qualcuno si incuriosisce ancora per questa iniziativa. Le dedico volentieri l’articolo che segue.
— Allora, tanto per cambiare parliamo di norma cosiddetta “ammazzablog” sull’obbligatorietà della pubblicazione delle rettifiche in Internet. Dovrebbe trattarsi, per essere più precisi, del comma 29 dell’articolo 3 del testo sulle intercettazioni che approda alla Camera dei Deputati proprio il 29 settembre, data del compleanno del Presidente del Consiglio e che fino a qualche anno fa era il titolo di una canzone di Mogol-Battisti, vedi giuditio human come spess’erra…
Il testo “incriminato”, come ho già scritto, recita testualmente: “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”.
E’ chiaro che con la nozione “siti informatici” si intende esattamente qualunque sito informatico. E’ una notazione generica, che viene rafforzata dal successivo “ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”. La nozione di “legge ammazzablog” è, dunque, impropria. E’ una legge ammazza internet tout-court, perché un blog è solo un modo per realizzare un “sito informatico”. In teoria (e anche in pratica) basterebbe che un articolo fosse pubblicato su un file disponibile solo con protocollo FTP.
Ma non scendiamo in tecnicismi. Quello che mi basta è chiarire che la normativa fa di tutta internet un calderone, senza distinguere tra iniziative periodiche di informazione con obbligo di registrazione in Tribunale, con tanto di direttore responsabile, e iniziative non periodiche che questo obbligo non lo prevedono.
Il che non significa affatto che il blogger non debba rispondere delle sue azioni per il solo fatto che si sta occupando di una iniziativa personale in cui, si veda il caso, oltre a fornire informazione, esprime anche delle opinioni critiche (che in genere vengono scambiate per diffamazioni creando già un clima preventivo -ma ancora controllabile- di caccia alle streghe e di dàgli all’untore), significa, semplicemente, che il blogger non ha dalla sua i fondi di ammortizzamento che in genere sono riservati alla stampa (che è finanziata, nel 99% dei casi dal denaro pubblico), e che il fargli rischiare una multa di un massimo di 12000 euro, ovvero la stessa sanzione prevista per l’informazione periodica, è oggettivamente uno squilibrio giuridico.
Dunque, se un qualsiasi soggetto riterrà ingiuste o ingiustificate alcune affermazioni o alcune opinioni espresse, e dovesse chiedere a un blogger di pubblicare una rettifica, il blogger deve ottemperare entro 48 ore (pena la multa succitata, non si sa se comminata dal giudice penale o meno). Qualcuno dice che per far scattare il count-down delle 48 ore basta una mail. Non credo proprio. Una e-mail tradizionale non ha nessun valore legale, ci vorrebbero come minimo una mail certificata o la classica raccomandata con ricevuta di ritorno. Ma non ne sarei tanto sicuro, perché la norma parla di “48 ore dalla richiesta”.
Ma c’è di più:
la pubblicazione oltre a essere obbligatoria, non deve necessariamente prevedere che la rettifica sia veritiera (è sufficiente che chi chiede la rettifica contesti un comportamento che ritiene ingiusto);
non è possibile, per il blogger, rispondere a propria volta ai contenuti della rettifica;
la rettifica potrebbe contenere testi offensivi o diffamatori nei confronti di terzi: il blogger dovrà comunque pubblicarla.
Come ho già scritto, è assai probabile che, se il comma dovesse passare così com’è, io chiuda definitivamente il blog. E non è perché mi facciano paura le richieste di rettifica (per la verità, in otto anni non ne ho mai ricevuta neanche una) o perché non abbia 12000 euro per pagare le caramelle allo stato o all’ennesimo bambino di turno che pesta i piedi perché non ha i soldini o perché mamma non gli compra lo zucchero filato, ma per il semplice fatto che il non poter rispondere a mia volta crea un corto circuito intollerabile. E perché non conta più cosa si dica, se sia vero o meno, ma il come un terzo percepisce quello che si dice.
Si va a creare uno stallo di ricatti personali a cui sento il dovere di non sottostare, con tutto il dolore che mi darebbe il cancellare il lavoro di otto anni.
Come ripeto, in otto anni di blog, nessuno mi ha mai chiesto una rettifica. Anzi, in verità, adesso che ci penso, qualcuno che mi ha chiesto di rettificare un articolo c’è stato, solo che non mi ha detto che cosa avrei dovuto rettificare, segno evidente che la gente ha le idee chiare.
Inoltre, questo blog non ha mai diffamato nessuno.
Ma non è possibile, proprio per questo, soggiacere alla logica per cui si debba pubblicare una rettifica ad ogni pie’ sospinto, solo perché c’è qualcuno chepensadi avere avuto un dannoe, senza ricorrere al tribunale civile (men che meno penale, perché dovrebbe sottoporsi all’interrogatorio delle parti e questo è imbarazzante), ti scrive una mail a Ferragosto quando sei fuori casa (perché non hai una redazione)
ho seguito in diretta i lavori della Camera dei Deputati in relazione alla mozione di sfifucia (Franceschini ed altri) nei confronti del Ministro Romano, e ho ascoltato, non senza una punta di stupore e dispiacere, la Sua dichiarazione di non voler partecipare al voto, espressa a titolo personale.
Proprio perché condivido la Sua battaglia a favore dell’apertura di una via verso un provvedimento di amnistia, via preclusa proprio in questi giorni al Senato, mi è sembrato suicida astenersi dal partecipare a un voto che avrebbe potuto dare un segnale di fiducia nello Stato di diritto, ponendo il Ministro Romano alla pari di qualunque altro cittadino, nell’affrontare un procedimento di cui non può certamente essere considerato colpevole fino a sentenza definitiva passata in giudicato, ma che non può parimenti usufruire di salvacondotti facilitati dal non voto, sia pure espresso a titolo personale e di protesta, di singoli deputati.
Certamente i numeri non sarebbero cambiati, ma la percezione dell’opinione pubblica nei confronti di una posizione trasparente e responsabile non sarebbe passata inosservata. Almeno per quello che mi riguarda.
Apprezzo la Sua posizionecirca il testo del comma "ammazzablog" del DLL in discussione alla Camera, La prego vivamente di non astenersi anche in quella occasione.
Chissà se riceverò una Sua risposta. Nel caso mi piacerebbe poterla pubblicare sul mio blog. Almeno finché potrò avere ancora un blog. Cioè pochissimo tempo.
Cordialmente
Valerio Di Stefano Roseto degli Abruzzi Cittadino Italiano
"Sono esausto. Questo sputtanamento quotidiano è esasperante. Se dovrò andar dentro, andrò dentro. Ma si sappia che quello che dovevo dire l’ho detto. La verità l’ho raccontata. Ed è devastante pensare che oggi il voto avrà implicazioni politiche che con me non hanno nulla a che vedere".
Allora, dunque, vediamo un po’, c’è uno che ha aperto un account su Facebook (luogo noto per il fatto che i suoi frequentatori, notoriamente, non vogliono affatto mettersi in mostra) e l’ha chiamato “I segreti della casta di Montecitorio”, dicendo di essere un ex precario della Camera dei Deputati e promettendo di denunciare privilegi e agevolazioni degli inquilini per i quali aveva lavorato per 15 anni.
117000 fan in una giornata. Del resto, si sa, in estate la gente ha ben poche cose da fare e può permettersi il lusso di cliccare su “Mi piace!” Quanto al resto, ci sono anche un blog e un account Twitter. La cosa che sembra interessare di più, tuttavia, è il fatto che il titolare del blog e dell’account sia anonimo o, meglio, che non sia ancora stato identificato. Non quello che scrive, naturalmente, perché così la moda dell’estate e la caccia al precario può andare avanti ancora per un po’. Perché dev’essere difficile andare a vedere l’elenco delle persone che hanno lavorato per la Camera dei Depuatti e che sono state licenziate. Perché certamente Facebook non ha uno straccio di indirizzo di posta elettronica su cui il canale si è aperto. Perché certamentente non ce l’ha nemmeno Twitter. Perché il blog, notoriamente, si apre su “Blogspot”, una piattaforma di Google non proprio dotata del dono della garanzia dell’anonimato. L’ignoto autore della bravata poteva anche dire “Guardatemi, sono qui!” O firmare tutto con nome e cognome.
Del resto, che questa sia una bravata destinata al pubblico di Facebook è evidente dalle dichiarazioni dello stesso autore: “Per sicurezza ho aperto un blog. Finchè non mi chiudono questa pagina, non credo di aggiornarlo, ma nel caso in cui la pagina scompaia da un momento all
“(…) il docente dovrà astenersi in ogni caso da qualunque atto di propaganda politica o ideologica nell’esercizio delle attività di insegnamento anche di carattere integrativo, facoltativo od opzionale”.
Proposta di inserimento dell’art. 490 bis, decreto legislativo del 16 aprile ’94 n. 297 Fabio Garagnani, componente della Commissione Cultura di Montecitorio.
E così è stata espressa la fiducia alle prostitute, alla politica che si compra a buon prezzo, alla nipotina del Presidente Moubarak, al fondo che non è stato raggiunto perché non basta ancora, all’Italia che se ne va alle suddette prostitute, all’Italia che si compra a buon prezzo, all’italia nipotina di qualche zietto presidente, all’Italia che non ha ancora raggiunto il fondo.
E’ inutile, non c’è niente da fare, stiamo aspettando il 14 dicembre (dopodomani, ormai) come se si trattasse della data oltre la quale tutto non sarà più come prima.
Attendiamo il voto di fiducia o di sfiducia alla Camera dei Deputati come se fosse una finale di Coppa del Mondo di calcio o l’ora X dell’impatto di un meteorite sulla terra.
E ci chiediamo chi vincerà il match o se il sassolino dallo spazio andrà a colpire qualche zona abitata del pianeta piuttosto che andare a scaraventarsi nell’Oceano. Si comincia già a guardare gli altri in cagnesco, a tirare dritti, a fare gesti scaramantici e a grattarsi le parti intime, a evitare di parlare dell’argomento perché si fa finta di rispettare le opinioni altrui, quando, invece, non ce ne importa un fico secco.
Il previsionismo la fa da padrone, dunque.
E alle Camere prevedono già che ci saranno manifestazioni di protesta. E siccome hanno la sfera di cristallo, deputati e senatori hanno ricevuto una mail preventiva in cui si scrive testualmente:
“Si comunica che il giorno 14 dicembre prossimo, in concomitanza con la discussione presso le Camere delle mozioni sulla fiducia al Governo, sono previste manifestazioni di protesta che potrebbero interessare le zone circostanti le sedi del Parlamento.
Allo scopo di tutelare l’ordine pubblico, la Questura di Roma ha predisposto una serie di servizi, comprendenti anche posti di blocco volti ad impedire l’avvicinamento dei manifestanti ai palazzi del Senato e della Camera dei Deputati, in modo da evitare il ripetersi di episodi come quello del 24 novembre scorso, allorché alcuni manifestanti tentarono di accedere dall’ingresso principale di palazzo Madama.
In considerazione delle difficoltà che il dispositivo di sicurezza potrebbe comportare nell’accesso al Senato, l’Amministrazione ha richiesto alla Questura di garantire il transito dei Senatori e dei dipendenti, previa esibizione del tesserino di riconoscimento personale e del contrassegno di transito dell’autovettura; eventuali difficoltà che dovessero essere frapposte al transito dal personale di polizia presente sul territorio potranno essere segnalate telefonicamente alla Centrale operativa del Senato (tel. 06 xxxxxxxx), che provvederà – compatibilmente con la situazione – ad esperire ogni azione utile alla soluzione del problema. Si suggerisce, tuttavia, di anticipare l’arrivo in Senato alle prime ore della mattinata, in quanto successivamente l’eventuale concentrazione dei manifestanti in corrispondenza dei posti di blocco potrebbe rendere fisicamente impossibile il transito”.
Così nessuno potrà più avvicinarsi per tirare le uova alle sedi del Parlamento impegnate a contare i voti pro o contro Berlusconi, ivi compresi quelli dei trànsfughi dell’Italia dei Valori che hanno il mutuo da pagare.
C’è un’aria strana in giro, come quella della quiete prima della tempesta, come di una tromba d’aria che si annuncia con un soffio di vento appena appena percettibile, ma guarda te che razza di metàfore che trovo di prim a mattina…
Tutto è sospeso, rimandato, aggiornato al 14 dicembre. Il B-Day. Il giorno in cui sapremo se quest’omino umile, dai modi garbati e sensibile ai cambiamenti, disposto a rendere giustizia, omaggio e rispetto ai diversi poteri dello Stato, cadrà sotto il peso dei traditori finiani o sarà salvato dai voti dei radicali schierati a difesa unica e immarcescibile di Pannella, ormai diventato l’ombra di se stesso (non lo votavo nemmeno quando votavo radicale, figuratevi…).
Nel frattempo tutto è chiuso, la Camera dei Deputati, per esempio, giusto per dimostrare al paese che quello che, con un’ipèrbole, viene chiamato il "disbrigo degli affari correnti" viene trasformato in un fancazzismo pròno alla questione di fondo, che, per inciso, dovrebbe essere quella di rappresentare gli italiani nella funzione legislativa e non certo quella di starsene a casa (pagati, eh, s’intende, chè in Italia ci sono solo due categorie di persone pagate per non fare nulla dalla mattina alla sera, i politici e gli insegnanti…).
Siamo tutti lì come degli imbecilli ad aspettare. Come se da questa decisione della Camera dei Deputati di salvare o meno un omino di bassa statura coi capelli incatramati dipendesse non solo l’esito del governo del paese, ma addirittura la sorte di tutti noi, delle istituzioni, dei servizi, delle libertà individuali. Qualcuno sta attribuendo a questo evento poteri sinistramente divinatòri, sempre per la tradizione tutta italiana di cedere alle lusinghe del pensiero determinista e raziocinante, per cui "Se Berlusconi si salva supero un esame", "Se Berlusconi va giù mi ubriaco di champagne…" e quant’altro.
Ci riempiranno di pronostici e dibattiti: "Ballarò", "Anno Zero", i telegiornali, le testate giornalistiche sul web e non. Per fortuna che la trasmissione di Fazio e Saviano è finita se no ci saremmo dovuti sorbire l’insostenibile litania degli elenchi di chi aspetta senza sapere che cosa.
Il 14 dicembre saremo liberi non tanto da Berlusconi (che ha ottime probabilità di sfangarla anche stavolta) ma dell’immobilismo che in suo nome ci viene imposto. E staremo tutti peggio.
"A condurre questa campagna è un network composto da un gruppo editoriale Repubblica-espresso, quel mattinale delle procure che è Il Fatto, da una trasmissione condotta da Santoro e da un terrorista mediatico di nome Travaglio. Da alcuni pubblici ministeri che hanno nelle mani alcuni processi fra i più delicati sul terreno mafia-politica, che nel contempo vanno nei talk-show a demonizzare il Presidente il Consiglio. Da un partito, l’Italia dei Valori, il cui leader Di Pietro sta in questi giorni evocando la violenza, quasi voglia tramutare lo scontro politico durissimo in atto in guerra civile fredda e poi questa in qualcosa di più drammatico".
Fabrizio Cicchitto, intervento alla Camera dei Deputati del 15 dicembre 2009
Gianfranco Fini è andato a visitare un gruppo di bambini (e sottolineo bambini) di origine straniera dell’Associazione "Nessun luogo è lontano".
Gesto nobile, soprattutto da parte di un Presidente della Camera che ha dalla sua la firma di una delle leggi più repressive sull’immigrazione, vergata di pugno assieme al suo degno compare Bossi.
Ha detto che chi li prende in giro per la loro provenienza, cultura, religione o colore della pelle è uno "stronzo".
Ha detto proprio così, "stronzo", facendo assurgere la parolaccia alla dignità del palazzo che lui rappresenta, volgarità parlamentare allo stato puro.
Ora, io insegno in una scuola pubblica che ha fatto una fatica boia per organizzare i corsi di italiano per gli alunni stranieri, a frequenza obbligatoria, per dare loro degli strumenti ulteriori di inserimento linguistico e culturale nel famoso e famigerato "tessuto sociale", che, poveretto, non è che sia poi questo gran che, diciamocelo apertamente. Sono corsi che vengono pagati con i soldi pubblici.
Stiamo cercando di stabilire un contatto tra noi e lo "straniero", il "diverso", non stiamo cercando di attirarli verso di noi, stiamo solo cercando di offrire loro qualcosa, per creare un canale di contatto vero, autentico, un codice, magari minimale, minimalissimo, perché poi, alla fine, questi alunni devono poter leggere e scrivere in italiano.
Ed è arrivato Fini a creare questo clima al limite tra il goliardico e il compagnone, a dire che l’intollerante è, in primo luogo "Stronzo".
Ci sarebbe stato di che sprofondare davati ai bambini indiani, cinesi, sudamericani, filippini, albanesi che stavano assistendo con gli occhietti sgranati, assieme ai bambini di religione musulmana accompagnati dalle loro madri col velo.
Io che sono un insegnante, se sento un mio alunno italiano trattare male un compagno straniero, non posso dargli dello "stronzo" come magari vorrei, e come mi suggerisce il Presidente della Camera, terza carica dello Stato, come minimo subirei un provvedimento disciplinare, se non addirittura un processo penale, perché il bullo che disprezza lo straniero sarà stronzo, sì, ma deve essere protetto, integrato e rieducato almeno quanto e come lo stesso bambino straniero che è stato trattato male.
E allora vada pure per la condivisione della parolaccia, strizzata d’occhio tipica del bambino discolo verso i gli amichetti suoi.
L’Autorità Garante per la privacy esprime forte preoccupazione riguardo agli effetti negativi che potranno derivare dalle nuove norme in materia di telemarketing introdotte dal cosiddetto “decreto legge Ronchi”, appena approvato in via definitiva dalla Camera.
In particolare suscita molta perplessità l’istituzione di un registro pubblico al quale devono iscriversi quanti non vogliono essere disturbati da telefonate pubblicitarie o commerciali, caricando così i cittadini di incombenze e problemi.
Si rischia, inoltre, di causare ulteriori molestie ad abbonati e utenti, che, almeno fino a quando non sarà istituito il registro, si vedranno di nuovo massicciamente contattare da aziende, gestori telefonici, società di servizi con le offerte più diverse.
La norma prevede, peraltro, che possano essere contattati a fini promozionali anche coloro che a suo tempo avevano manifestato la volontà di non ricevere più pubblicità telefonica, provocando in questo modo ulteriori fastidi a tutti, compreso chi si era già espresso su questa questione.
Sconcertante e inspiegabile appare anche la mancata previsione del parere formale del Garante sull’istituzione del registro, sul cui funzionamento e sulla cui organizzazione l’Autorità viene tuttavia chiamata a vigilare.
Pur riservandosi di verificarne in concreto il funzionamento, l’Autorità esprime infine dubbi sull’effettiva efficacia del registro, il quale peraltro non verrà, come erroneamente riportato da notizie di stampa, gestito direttamente dal Garante, ma da un ente o organismo diverso, ancora da individuare.
Antonio Di Pietro: Signor Presidente, signor Ministro della giustizia – anche se non c’è -, vogliamo sapere da lei perché ha partecipato ad un incontro riservato e carbonaro tra lei, il Presidente del Consiglio e due giudici della Corte costituzionale Luigi Mazzella, promotore della cena galeotta, e Paolo Maria Napolitano. Lei sa bene che il Presidente del Consiglio è un plurinquisito, nei cui confronti i giudici italiani non possono procedere proprio perché lei, Ministro Alfano, ha promosso e ottenuto una legge che permette a Berlusconi l’impunità durante tutto il suo mandato. Lei dovrebbe capire che così facendo ha compromesso la credibilità della Corte, perché la Corte stessa dovrà decidere il 6 ottobre sul lodo Alfano. Per questo vogliamo sapere: se si rende conto della gravità e della scorrettezza istituzionale da lei promossa; per quale ragione avete organizzato e realizzato quella cena; se non ritenga doveroso a questo punto ed ora che la tresca è stata scoperta dimettersi dal suo incarico per restituire dignità al suo ufficio e a quello della Corte costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Elio Vito: Signor Presidente, per la correttezza e il rispetto profondo che il Governo nutre nei confronti del Parlamento, naturalmente farò riferimento al testo scritto e presentato dall’onorevole Di Pietro e dagli altri deputati del gruppo dell’Italia dei Valori e non risponderò alle affermazioni che sono state rese poco fa in Aula. Gli onorevoli interroganti, riprendendo un articolo del settimanale L’Espresso, chiedono di sapere di un incontro presso l’abitazione privata del giudice della Corte costituzionale Luigi Mazzella dove, nello scorso mese di maggio – a dire degli interroganti e dell’articolo citato – si sarebbe svolta, testualmente, «una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzati riunioni organizzate dal Governo Berlusconi». L’articolo citato, secondo quanto ripreso ed evidenziato dagli interroganti, nella parte relativa a quello che sarebbe stato il contenuto della riunione organizzata dal Governo Berlusconi, fa poi frequenti e generici riferimenti ad espressioni del tipo «più fonti concordano», «sembra» e a interlocuzioni che, nello stesso testo in esame, riportano mere congetture ed ipotesi disparate. In ordine a quello che nel testo viene indicato – come ho detto – come un fatto certo, «una delle più sconcertanti e politicamente imbarazzanti riunioni organizzate dal Governo Berlusconi» va subito chiarito, onorevole Di Pietro, che il Governo Berlusconi, che mi onoro in questa sede di rappresentare, non ha organizzato presso l’abitazione del giudice Mazzella alcuna riunione. Molte settimane prima del mese di maggio di quest’anno, il Presidente Silvio Berlusconi, unitamente al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dottor Gianni Letta, al Ministro della giustizia onorevole Angelino Alfano, al senatore Carlo Vizzini e al giudice costituzionale Paolo Maria Napolitano e alle loro rispettive consorti (molto prima, quindi, delle date da lei indicate, molte settimane prima del mese di maggio) riceveva un invito ad una cena organizzata presso la propria abitazione dal giudice costituzionale professor Luigi Mazzella. Tale incontro conviviale, che è naturale conseguenza di un rapporto di conoscenza e stima risalente nel tempo (peraltro riconosciuto nello stesso articolo citato dagli interroganti), che lega il padrone di casa e i suoi ospiti, si è svolto nella prima metà del mese di maggio. L’incontro dunque ha avuto luogo, onorevole Di Pietro, in ogni caso rispetto alle congetture e alle ipotesi disparate citate, in un’epoca antecedente al 26 giugno scorso, giorno nel quale il presidente della Corte costituzionale ha fissato per il prossimo 6 ottobre la data di inizio della discussione sul lodo Alfano ed ha indicato nel giudice Gallo il relatore della medesima discussione. Se permette, signor Presidente, vista anche la delicatezza del tema, la trattengo per pochi secondi ancora. Per quanto concerne quello che tra i «sembra» e i «si dice» sarebbe stato il contenuto della discussione della serata, è appena il caso di osservare che l’incontro non ha avuto in alcun modo ad oggetto temi che riguardassero l’agenda della Corte costituzionale, né ipotesi di riforma del Titolo IV della Costituzione, la cui iniziativa – come si spera gli onorevoli interroganti sappiano bene – appartiene esclusivamente al Parlamento, su impulso anche del Governo, organo al quale è conferito dalla legge costituzionale e al popolo, essendo invece competenza della Corte giudicare delle eventuali controversie. Concludo tranquillizzando gli onorevoli interroganti, dicendo che le iniziative del Governo sul piano legislativo in materia di giustizia saranno rispondenti al programma presentato di fronte al corpo elettorale e che da esso hanno ricevuto il pubblico consenso.
Antonio Di Pietro: Signor Presidente, la risposta è insoddisfacente e inaccettabile, e lei consentirà anche a me qualche secondo in più, come ha consentito al rappresentante del Governo. La Corte costituzionale – ricordo a me stesso – è un organo costituzionale talmente indipendente che non dovrebbe in alcun modo essere oggetto di interferenze, né da parte del Governo, né da parte di altri organi costituzionali. A maggio dell’anno scorso già c’era il lodo Alfano e già c’erano le richieste dei giudici di Milano e di Roma di valutare la costituzionalità della legge. Un Ministro della giustizia che si fa promotore, insieme al Presidente del Consiglio – lui inquisito nei processi che riguardano proprio i fatti per cui deve giudicare il giudice della Corte costituzionale -, di un incontro, mina la credibilità della Corte stessa. Con il vostro concorso e con il concorso di quei due giudici spregiudicati, voi avete infangato la sacralità della Corte ed oggi, noi che abbiamo a cuore la sua imparzialità e la sua indipendenza, la vediamo totalmente minata. Ora non sapremo mai se qualsiasi decisione sarà presa il 6 ottobre sarà frutto di una valutazione assunta in totale indipendenza o se invece sarà il frutto di una cena carbonara e piduista realizzata quella sera (Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà). A noi non resta perciò che ribadire: primo, la sfiducia totale a questo Governo; secondo, la deplorazione di questi comportamenti; terzo, la richiesta formale di dimissioni, oltre che dei due giudici della Corte costituzionale che si sono prestati al gioco, o quantomeno la loro astensione, le dimissioni sue, Ministro della giustizia, perché lei per il ruolo e la funzione che svolge non doveva permettere, non dover accettare, non doveva farsi promotore di una riunione in cui si discute di quella legge da parte di quei giudici che mettono in discussione la legge di cui lei si è fatto promotore. A noi non rimane altro, pertanto, che ribadire l’impegno, come Italia dei Valori, del referendum e della validità di quel referendum affinché le firme già raccolte, quel milione di firme, si trasformino poi in un referendum che cancelli quella legge truffa di cui lei, Ministro Alfano, e lei, Presidente del Consiglio, vi siete fatti promotori. Oggi avete anche infangato la Corte costituzionale e le valutazioni che dovrà svolgere (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori – Commenti dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Ascolta l’intervento in Aula dell’on. Antonio Di Pietro e la risposta del governo dal lettore virtuale di MP3
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L’Italia dei Valori, dopo il voto alla Camera che dà il via a una delle leggi più orrende e vigliacche della storia della Repubblica, ha protestato in aula espondendo scritte e annunci mortuari sulla fine della libertà di informare e di essere informati.
E’ tutto vero, c’è poco da fare.
Come è vero che il Partito Democratico ha chiesto e ottenuto il ricorso al voto segreto in aula. All’inizio ho pensato che si trattasse di uno di quei rari barlumi di acume politico e trasparenza, nonché di onestà intellettuale che ogni tanto attraversano anche le menti dell’opposizione più inutile d’Europa (è un po’ quello che accade con i fulmini, cadono dove vogliono…), chiedere il voto segreto per costringere i nemici interni di Berlusconi a venire fuori e dimostrare che la maggioranza non ha i numeri in parlamento perché al suo interno c’è gente che rema contro.
Un boomerang implacabile, che ha avuto il solo effetto di evidenziare che, invece, i franchi tiratori erano proprio nel PD e, più in generale, nell’opposizione (quindi, teoricamente e non solo teoricamente, anche nella stessa Italia dei Valori). Ed erano 21, mica pizza e fichi!
21 deputati che hanno tradito il loro mandato di opposizione per votare assieme al governo il diritto di farsi i sacrosanti cazzi propri senza che nessuno possa intervenire se si sta commettendo un reato.
Non che avessimo bisogno di questo dato per capire che il principale alleato di Berlusconi è il Partito Democratico, ma se c’era ancora un minimo dubbio ora ce lo siamo tolto.
La Procura di Roma ha chiesto l’archiviazione per Antonio Di Pietro per i fatti di Piazza Farnese di qualche giorno fa.
Pare che si possa dire che il silenzio è omertoso e mafioso, soprattutto se non è riferito al Capo dello Stato, e che il diritto di critica sia ancora in vigore in Italia, anche se qualcuno storce il naso.
Particolarmente inchiappettati sono risultati coloro che hanno firmato la querela contro Di Pietro, il presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Oreste Dominioni e il vicepresidente Renato Borzone. Che hanno subito reagito dicendo “Ah, davvero? E’ uno scandalo, è una cosa incredibile….”
Forse se si fossero presi la briga di riguardare gli innumerevoli filmati che circolano in rete si sarebbero anche resi conto che non era possibile sostenere una accusa del genere.
Alla fine Di Pietro è stato inquisito per aver affermato che "il silenzio uccide, il silenzio è mafioso".
Così come è stato inquisito Marco Travaglio per aver detto in TV delle cose su Schifani che erano regolarmente pubblicate sui suoi libri.
La realtà non si può dire più. Il diritto di critica (che non è il diritto all’offesa) viene infangato dagli "atti dovuti".
Nel caso di Di Pietro l’"atto dovuto" in questione è stato firmato dal presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Oreste Dominioni e il vicepresidente Renato Borzone.
"Atto dovuto" fa ridere. Un po’ perché è pleonastico (si sa che se c’è la notizia di un reato il minimo che si possa fare è indagare, risulta che l’azione penale in Italia sia ancora obbligatoria) un po’ perché la si tra sempre in ballo quando si tratta di coprire ora questo, ora quel personaggio ("Eh, lo so, onorevole, fosse per me, ma cosa vuole, è un atto dovuto…").
La differenza è che si indaga su fatti che riguardano le opinioni, il diritto a criticare, e sono cose che non si dovrebbero fare, no, è poco di moda criticare, come si permette questo ex magistrato, oggi Parlamentare della Repubblica, a non aderire al Partito del lecchinismo, dell’applauso incondizionato, della riverenza, dell’adorazione incondizionata.
Di Pietro, come Travaglio, sarà condannato. Non scampa tra chi veste da parata chi veste una risata. Figuriamoci una verità.
Gianfranco Fini ha detto che se il Governo dovesse abusare della decretazione legislativa d’urgenza, la Camera dei Deputati che lui presiede potrebbe far sentire la sua voce.
In breve, Berlusconi la deve smettere di interferire sul Parlamento e obbligarlo a convertire in tempi rapidissimi i testi di legge, secondo il suo personale arbitrio.
Ora, però, se un Presidente della Camera che ripudia il fascismo ma che da giovane ha collezionato una militanza nell’MSI nonché il titolo di erede di Almirante, ha ripreso il suo compagnuccio di merende vuol dire che siamo veramente al collasso cardiocircolatorio delle istituzioni.