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Il sindaco di Bibbiano Andrea Carletti è tornato in stato di libertà e gli sono state revocate dalla Cassazione le misure cautelari inflittegli (in primo luogo l’arresto, poi la detenzione domiciliare e l’obbligo di dimora). Resta indagato per abuso d’ufficio, ma, questo sì, non doveva essere arrestato. Può aspettare da libero l’esito del processo a suo carico.
Anche Lara Comi è libera. Il 14 novembre scorso era stata posta agli arresti domiciliari nell’ambito della seconda parte dell’inchiesta denominata “mensa dei poveri”. Il tribunale del riesame ha annullato la misura cautelare che l’affliggeva. Resta indagata anche lei per corruzione e truffa ma non per finanziamento illecito. Le è stato disposto il divieto di esercitare l’attività di impresa o di assumere cariche direttive o di ricoprire uffici direttivi per sei mesi.
Ora, di fronte a casi così eclatanti di ingiusta detenzione viene spontaneo chiedersi “e pensarci prima no??” Voglio dire, non è che un sistema può funzionare secondo la logica del “intanto comminiamo una misura cautelare, poi l’indagato avrà tutto il tempo e il modo di dimostrare nelle sedi opportune che quella misura era ingiustificata”. Siamo nel 2020 e viviamo in uno stato di diritto. Mi si dirà che nei casi in questione lo stato di diritto ha funzionato, perché sia la Cassazione che il Tribunale del Riesame hanno ripristinato l’equilibrio della bilancia della giustizia rispetto alle persone indagate. Che però si sono fatte rispettivamente 6 mesi e 15 giorni di detenzione non dovuta. Innocenti o colpevoli che siano. E il fatto che siano innocenti o colpevoli lo stabilisce un processo in cui avranno il diritto di difendersi dalle accuse.
Vale per loro. Vale per tutti.