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La signora Silvia Avallone ha annunciato oggi sul Corriere della Sera la sua volontà di rinunciare all’insegnamento perché, a suo dire, l’Italia non sarebbe più un paese per insegnanti.
Ci sarebbe da eccepire, di rimando, che vorremmo proprio sapere quando mai lo è stato. Ma questa è una domanda retorica, evidentemente.
La signora Avallone, dunque, lascia la scuola. Bene, ne prendiamo atto.
Così come prendiamo atto che la signora Avallone, in quanto autrice di un romanzo di successo (che a me non è piaciuto, personalmente non lo consiglierei, ma si tratta di una opinione squisitamente personale), ha tutte le risorse economiche per poter prendere in piena libertà una decisione di questo genere.
Si dà il caso, però, che la maggior parte della classe insegnante di ruolo o precaria che sia, non faccia la romanziera. Forse perché troppo impegnata a gestire il romanzo più grande che è la propria vita personale e familiare. O quella Comédie Humaine che è la scuola pubblica, narrazione quotidiana di ben più ampio respiro.
La signora Avallone si goda, dunque, i proventi delle vendite dei suoi scritti.
A scuola restano i precari da pochi euro al mese. O gli insegnanti di ruolo che non è che vengano trattati poi tanto meglio sul piano economico e della considerazione sociale.
A scuola restano quelli che rischiano la galera ogni giorno.
A scuola restano quelli che ci credono.