Tim e Vodafone: ora gli “avvisi” si pagano

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La mi’ nonna Angiolina, requiescat in pace, le chiamava “chiapparelle”.

Il mi’ nonno Armando, bonànima anche lui, che usava un toscano arcaico, forte e gentile come una roncolata su’ ‘ piedi, li chiamava “miràoli” (miracoli).

Si trattava, in entrambi i casi, non già di fregature vere e proprie, ma piuttosto di trucchetti, di escamotages, di piccoli espedienti per sbarcare il lunario, per concludere la giornata con non dico tanto, ma almeno qualche centesimino in più (ai tempi del mi’ nonno Armando e della mi’ nonna Angiolina i centesimi c’erano, ma della lira, quella con l’effigie di quell’altro de cuius di Vittorio Emanuele III).

Da oggi (o era ieri? Mah, non importa) se avete Tim o Vodafone pagate gli avvisi che prima non pagavate.

Gli “avvisi” sono quei messaggi (solitamente sotto forma di SMS ma non necessariamente) che vi informano se un numero che avete trovato occupato o spento (perché la gente giustamente un po’ di cazzi suoi ogni tanto se li fa) è tornato raggiungibile e, soprattutto, chi vi ha chiamato quando eravate voi occupati o spenti.

Ci sono diverse modalità di pagamento e di prezzi, si va dal costo infinitesimale per ogni singolo messaggio a un costo a forfait per tutti i messaggi ricevuti in una giornata (però pagate dopo il ricevimento del primo messaggio, non dopo l’ultimo, e che diàmine!).

Bellino, eh? Per cui, se avete Tim o Vodafone sbrigatevi a disattivare queste opzioni (si può farlo, sissignori) perché se tenete il telefono spento un giorno, appena lo riaccendete, se solo vi ha cercato qualcuno, pagate.

Ora, io, voi, chi ci legge di sottecchi, siamo tutti personcine intelligentine che si rendono conto di quello che succede e, soprattutto, siamo in grado di fare qualcosa per prevenire lo sgocciolamento salassale. Se non altro siamo in grado di chiedere informazioni ed indignarci.
Ma penso alla mi’ mamma, per esempio, alla Pieranna, la figliòla più piccina dei suddetti Angiolina e Armando, piccina sì, ma cià 72 anni. Il cellulare è un suo nemico dichiarato, non lo può vedere, se squilla va in tilt, proprio “non ci se la dice”. Però ce l’ha. Ed ha un numero TIM. Finora riceveva i messaggi di chi l’aveva chiamata anche a telefono spento, ma tanto era come se non li ricevesse, perché non li sa nemmen guardare. Però da oggi li paga.

E come lei ci sono fior di anziani che usano il cellulare per necessità o comodità, ma sanno accedere solo alle funzioni di base, adolescenti disinformati che navigano, navigano, navigano, cazzo navigano, andassero un po’ a studiare, almeno. E viandare.

Per l’amor del cielo, son cifre irrisorie, che non buttano sul lastrico nessuno, ma stanno meglio in tasca a noi che in tasca a loro. E in tasca ce lo buttano, che poi ci si lamenta che la gente si tuffa su Uozzàpp!!

Il mi’ nonno l’ombrello lo portava qui

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Diego Maradona at 2012 GCC Champions League final - Dieses Foto wurde von Benutzer Neogeolegend erstellt - Questo file è sotto la licenza Creative Commons Attribuzione 2.0 Generico

Il mi’ nonno Armando, in pace sia, quando voleva dimostrare a qualcuno particolarmente insistente, il suo totale e spregioso disaccordo, faceva partire la mano destra e il gomito sinistro e li faceva incontrare con uno schiocco sordo e diceva “Il mi’ nonno l’ombrello lo portava qui!”

Ora, chi fosse il nonno del mi’ nonno Armando non l’ho mai saputo, mi sono sempre fermato al su’ babbo, che poi sarebbe il mi’ bisnonno Napoleone, famoso perché faceva tre chilometri e mezzo con un litro di vino, o te agguantalo!

Però quel gesto mi faceva ridere. Sì, ridevo, mi divertivo. Certo, non applaudivo, va beh, il mi’ nonno Armando con Maradona aveva in comune solo il secondo nome. E quando gli arrivava la cartella delle tasse, o lo chiamava il suo commercialista per andare a pagare qualche “foglio” che aveva il valore di sentenza passata in giudicato andava e pagava. Certo, magari quando usciva di casa cominciava a rosariare “La majala della schifa ‘nfame di quella sudiciona…”

Poi si metteva la giacca di velluto marrone, il cappello, i pantaloni stirati ammodino e andava a pagare come se dovesse recarsi alla messa della domenica delle palme.

Perché il mi’ nonno Armando le tasse le pagava.

E’ arrivato Frate Indovino!!

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L’altro giorno è arrivato “Frate Indovino” a mia moglie.

Una volta il mi’ nonno Armando diceva: “E’ arrivato Frate Indovino!!”, “E’ arrivato Selezione!!” (intendendo “Selezione dal Reader’s Digest”), “E’ arrivata la bolletta della luce, natidancani!!!”.

Frate Indovino faceva parte della posta di ogni giorno, sia che arrivasse il calendario o che si trattasse di più opportune richieste di denaro, sotto forma di donazione liberale o acquisto di qualche ninnolo recapitato “comodamente” a casa per posta.

Quindi non solo Frate Indovino esiste ancora, ma ha addirittura un sito web su cui vende on line tutto ciò che è possibile vendere per posta. A volte mi stupisco ancora di quanto la tecnologia si sia ramificata.

L’avessero mandata a me la paccottiglia cartacea inviata a mia moglie avrei fatto una  richiesta di accesso ai dati per vedere chi glieli ha dati il mio nome e indirizzo. Ma mia  moglie dice che in fondo Frate Indovino le sta simpatico e allora transeat.

Per la cronaca “Frate Indovino” è esistito davvero, si chiamava Padre Mariangelo, al secolo Mario Budelli, nato a Cerqueto nel 1915. Cominciò nel 1945 a regalare un almanacco come  allegato natalizio alla “Voce Serafica di Assisi” ed è quello che viene definito come il Calendario di Frate indovino”. Morì nel 2002.

Insomma, semine, consigli, trucchi, segreti, orti, orticelli, erbe officinali, erbette aromatiche, riflessioni, lune piene, lune nuove, eclissi solari, allunaggi e quant’altro.

La prima cosa che mi è saltata agli occhi è stata una nota a pie di pagina di quelle scritte pidocchine pidocchine in calce al volantino di propaganda per le preparazioni a base di erbe (sì, perché vendono anche le tisane!):

“Frate Indovino” è un marchio! Ma come si fa a fare un marchio del nome (sia pure popolare) di una persona? Sì, lo so che  è possibile, Martini è un nome che è diventato un marchio, Rana lo stesso, se ne potrebbero  fare a iosa di esempi, ma, appunto, Martini è sempre rimasto nell’alveo degli alcolici, Rana
in quello dei prodotti alimentari, Frate Indovino è passato dalla editoria parareligiosa al marketing delle tisane.

E ce ne sono di vari tipi, balsamica, digestiva, rilassante e perfino carminatica, che non sapevo che cosa volesse dire e oggi su Internet apprendo che “si compone di una miscela di piante dalle rinomate proprietà benefiche nei riguardi dell’apparato gastro-intestinale con particolare azione sull’eliminazione dei gas intestinali“. Anche a me càpita di carminare spesso, solo che non lo sapevo, pensavo solo di fare delle scorreggine, ecco tutto.

Al giornale di Frate Indovino e al volantino sulle erbe carminative è allegato un bollettino di conto corrente postale. Per cosa lo posso utilizzare? Mah, per esempio per “richiedere S.S. Messe“.

Era da quand’ero piccino che non vedo più oblazioni in danaro per le messe a suffragio dei defunti o in ricordo degli eventi. La mi’ nonna Angiolina due volte l’anno si vestiva  ammodino, andava in Chiesa, parlava col prete e tirava fuori una banconota per la messa dei  suoi genitori (che sarebbero il mi’ bisnonno Arturo e la mi’ bisnonna Armida)  nell’anniversario del loro trapasso.

O vediamo un po’ cosa fa il marchio Frate Indovino: sul sito Internet c’è un rimando a un volantino (scaricabile in PDF o in DOC o quello che è) in cui si dice:

“in numero sempre crescente, alcuni nostri Lettori ci chiedono la celebrazione di S.S.  Messe, secondo quelle che sono le loro intenzioni. Se anche Lei crederà opportuno inviarci una Sua richiesta, Le confermo che attualmente l’offerta media da noi ricevuta si aggira tra i 15 ed i 20 euro.”

Io sapevo che le messe sono gratuite. E che uno ci può andare se vuole e pregare per chi crede. Non sapevo che per un “servizio” (tale viene considerata dal sito la celebrazione di una messa) del genere ci fosse una sorta di “media statistica” di 15-20 euro. Certo, non è  un tariffario strettamente obbligatorio, tant’è che subito dopo si legge:
“Tuttavia La pregherei di considerare che accettiamo anche offerte minori a cominciare da 10 euro, come indicato dalla Conferenza Episcopale Umbra.”

Ah, ecco. Nientemeno che accettano ANCHE offerte inferiori, a partire da 10 euro! E se io non ho i soldi e non posso pagare 10 euro e ne invio, poniamo il caso, due o tre (che per pronunciare un mome in una funzione religiosa vanno già bene)? E se io ritengo che 10 euro  siano troppi e voglio darne 5? Cosa fanno, non l’accettano? Una offerta è una offerta e deve essere lasciata  alla liberalità della persona, non dovrebbe mai essere prestabilita nel minimo.

Però se volete un ciclo di messe gregoriane, la nota spiega che “L’offerta per la celebrazione delle 30 S.S. Messe Gregoriane si aggira tra i 450 ed i 550 euro”

e la nota alla nota chiarisce che “Per il maggior onere, costituito dal celebrare le Messe Gregoriane, i fedeli sono soliti offrire al sacerdote un’oblazione un po’ più consistente  della consueta”.

Adesso che ho letto tutto corro subito a richiederne una, sì…

Il mi’ zio Piero

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Anche il mi’ povero zio Piero morì il 6 di febbraio, per l’esattezza il 6 febbraio del 1986.

La sera prima mi disse “Domattina cosa fai, vai all’Università?? Ecco, bravo, io invece son di fèsta!!”. Era in pensione.

Il mi’ zio Piero contribuì alla mia educazione musicale. Mi comprò uno stereo che mi sembrava bellissimo (era uno Schneider!), contribuì al completamento della mia raccolta de “I Grandi Musicisti” della Fratelli Fabbri Editori dedicata alla musica classica con dischi a 33 giri con incisioni davvero pregevoli (avrei raccolto volentieri anche quelli del jazz, ma di jazz non ho mai capito una venerata, e nemmeno il mi’ zio Piero, a dirla tutta).

Mi insegnò la passione per la registrazione, per la conservazione dei suoni e delle voci, passione che non mi ha mai abbandonato.

Aveva un registratore a nastro, un Philips con le bobine piccole (il mi’ zio Piero, con incredibile fantasia li chiamava “i rotolini”), di quelli col microfono esterno che ssssssstttttttttt!! non si deve parlare mentre si registra sennò viene la voce e rovina tutto.

Il suo vicino di casa si chiamava Beppe il Papi. Era un bestemmiatore di professione. Aveva fatto della bestemmia un’arte, una forma letteraria, praticamente un atto creativo demiurgico a sé. Scandiva le bestemmie come quello delle previsioni del tempo scandisce le temperature minime, anzi, di più, come la voce alla radio che legge il bollettino per i naviganti (ma c’è ancora??). Allora il mi’ zio Piero, dal terrazzo di sopra, calava il microfono in direzione della voce di Beppe il Papi che sacramentava in endecasillabi a rima baciata, lo immortalava sui “rotolini”, e ridacchiava di gusto.

Il mi’ zio Piero è lo sposo nella fotografia, quando sposò la mi’ zia Iolanda. Il mi’ nonno Armando è il primo da sinistra, dritto come un fuso e bello come tutti se lo ricordano. La mi’ nonna Angiolina nella foto non c’era (dev’essersi rotta i coglioni prima ancora del flash del fotografo). Dietro al mi’ zio Piero c’è il pòvero Eraldo, pescatore.

E quella piccina che fa da damigella, con la ghigna a tagliòla è la mi’ mamma.

(cliccate sull’immagine per vederla con una definizione maggiore)