“L’affare Vivaldi” di Federico Maria Sardelli

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Leggere libri gialli è una delle esperienze più belle della vita, perché il giallo non ha mai un finale aperto, e i finali aperti mettono angoscia. Invece nei gialli c’è sempre un mistero (solitamente, ma non necessariamente associato a un ammazzamento), qualcuno che lo deve risolvere e la risoluzione finale (appunto). Se va bene si viene condotti per mano da un investigatore (professionista o improvvisato) simpatico che ha il pregio di essere sempre lo stesso di episodio in episodio, così si è certi di ritrovare le stesse paranoie (perché l’investigatore un po’ paranoico lo è!) di libro in libro, finché all’autore non viene voglia di accopparlo, come è successo con Poirot, con Miss Marple e come succederà con Montalbano, prima o poi. Potere dell’invenzione!
Ma quando il giallo riguarda i manoscritti e, conseguentemente, la memoria di Antonio Vivaldi, nonché il suo culto tra le persone che lo hanno amato, lì non c’è invenzione che tenga. Anzi, è proprio tutto vero. Il narratore interviene poco (anzi, pochissimo) tra i fatti e i personaggi di cui fa una lista lunga quattro pagine (altro che quegli elenchini di quella buontempona della Christie!) e il recupero di Vivaldi da un oblio durato due secoli è il finale anch’esso obbligato di una storia che si è fatta romanzo ne “L’affare Vivaldi” di Federico Maria “Astio” Sardelli, pubblicato da Sellerio che se non ce l’avete fate solo bene a comprarlo (io l’ho preso su Amazon e mi ci son trovato dimolto bene).