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Ho sempre avuto un po’ di timore reverenziale e di soggezione davanti a un’opera come "Il diario di Anna Frank".
ce la facevano leggere a scuola alle medie, perché esistevano quelle orrende e pericolosissime edizioni della Einaudi che comprendevano opere come "Il barone rampante" di Calvino, "Un anno sull’altipiano" di Emilio Lussu, le "Lettere dei condannati a morte della resistenza", una scelta dall’"Antologia di Spon River" di Edgar Lee Masters e, appunto, il "Diario" di Anna Frank.
La caratteristica che mi rendeva orribile e pericolosa quella collana era la faciloneria con cui queste opere, indubbiamente impegnative e non destinate ai ragazzi, venivano spacciate come letture adatte a un pubblico, sia pure di studenti, fatto soprattutto di adolescenti brufolosi e con gli ormoni che giravano a velocità supersonica.
Quindi ho sempre visto il "Diario" di Anna Frank come un’opera "gabellata" da infanzia, con la scusa che a scriverla era stata una persona più o meno della mia età.
Questa cosa non mi piaceva affatto. Non amavo quel pietismo da scuola infantile con cui mi dicevano "Ecco, vedi? Adesso Anna scrive alla sua amica immaginaria…" Tutto sembrava così favolistico, quando, invece, tutto era così spaventosamente reale.
Anche la scrittura di Anna Frank che, per quel poco che mi ricordo, mi sembrava avere un certo nerbo e una notevole forza emotiva.
Ad Amsterdam sono stati raccolti in mostra permanente tutti gli autografi di Anna Frank, che, poverina, non dovette scriverne molti in vita sua.
Oggi Anna Frank avrebbe compiuto 80 anni. Mi sembra una buona occasione per andare a omaggiare la cara vecchietta rileggendo il suo "Diario". Forse, adesso che non si è più bambini, è il momento giusto.