Tunisia: arrestata Amina Tyler

Amina Tyler

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Amina Tyler

Amina Tyler è stata arrestata in Tunisia. Durante alcune proteste e scontri tra polizia e salafiti si è messa a seno nudo per essersi denudata davanti alla moschea Okba Ibn Nafaa.

E’ già stata più volte minacciata di morte per altre sue esibizioni nuda su Twitter e Facebook, sempre a scopo di protesta.

Ha solo 19 anni.

Noi italiani siamo decisamente buffi e contraddittori. Ci indignamo “super partes” se la Boldrini e la Carfagna sono oggetto rispettivamente di manipolazione dell’immagine e insulti mentre non ci arrabbiamo per niente se a una parlamentare qualche hacker gigione ha fregato la posta elettronica con tutte le foto, anche quelle intimissime, che aveva il sacrosanto diritto di inviare a chi voleva.

E, soprattutto, Facebook e Twitter li usiamo per veicolare soverchie stronzate, non certo la solidarietà a questa ragazza che, pure, dovrebbe essere massiccia e dovrebbe vedere le donne in prima linea.

Eh, siamo fatti così: inchinevoli coi potenti e menefreghisti coi derelitti.

Il caso Amina: l’uomo che fu “A Gay Girl in Damascus”

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E abbiamo, di nuovo, un bisogno inestinguibile, quasi smanioso e smodato di crearci dei simboli e di adoperarci per santificarli, come se la realtà non fosse, di per sé, sufficiente a convincerci.

Ricordo che tempo fa scrissi un articolo su questo blog in cui chiarivo che la musica de  "La canzone dell’amore perduto" non è di De André, ma di un compositore barocco che si chiamava Telemann, e che sul disco non è mai figurato questo credito alla musica classica, come sarebbe, invece, sto giusto.
Mi è sempre stato risposto o che ci interessava il testo di una canzone "comunque bellissima" (nonostante le scopiazzature? Strano!) o che De André non  ha copiato ma si è semplicemente ispirato (con le stesse note? Altrettanto strano!). In breve, non ci toccate i miti, perché i miti sono, per loro propria definizione, intoccabili. E se i miti crollano crolliamo anche noi che abbiamo riposto in loro tante speranze.

Il caso di Amina Abdallah, la ragazza gay di 35 anni, siriana, blogger coraggiosa, sequestrata nel suo paese per le proprie opinioni, ha trovato in Italia un ampio stuolo di commenti retorici. Ne sia un esempio l’articolo di Marina Mastroluca apparso su l’Unità l’8 giugno scorso:

"Amina è stata sequestrata lunedì sera a Damasco. Erano in tre, armati, sui vent’anni anche loro. Lei ne ha colpito uno ed ha avuto il tempo di gridare di avvertire suo padre. Le hanno premuto forte una mano sulla bocca, per farla star zitta e l’hanno infilata su una Dacia Logan: su un finestrino c’era uno sticker con il ritratto di Assad. Troppo libera, troppo critica con il regime, troppo al di là delle convenzioni…"

ma soprattutto:

"In questi mesi di proteste e morti per le strade, il suo blog è lievitato un po’ alla volta, come il pane fatto bene."

E il blog (il pane) era talemnte fatto bene da essere falso. Amina non esiste, non è gay, non è mai stata sequestrata, nessuno le ha messo la mano sulla bocca, è un personaggio inventato a tavolino. Il suo autore (non si sa se sia l’eteronimo di Amina, o se Amina sia l’eteronimo di chi l’ha inventata così bene) si chiama Tom MacMaster. Questo poveraccio viene quotidianamente massacrato dalla rete solo perché Amina non esisteva, solo perché ha dimostrato che l’attenzione dei media occidentali sui problemi della Siria è estremamente superficiale. Guai a farlo, e allora gogna mediatica e "mea culpa".

Ma la colpa di chi è, di MacMaster o dei giornalisti che non hanno verificato?

MacMaster è stato incredibilmente bravo. Ha solo dimostrato che i miti sono ingombranti e che, tutto sommato, non ne abbiamo bisogno.