Lucia Borgonzoni e le passeggiate nei boschi che curano la depressione

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Il professor Roberto Burioni ha recentemente riesumato questo Tweet di Lucia Borgonzoni, senatrice della Lega e candidata Presidente della Regione Emilia-Romagna per il centro-destra. In Senato ha sfoggiato la T-Shirt “Parliamo di Bibbiano” lo scorso 10 settembre 2019, inducendo la presidente Alberti Casellati a sospendere brevemente la seduta dopo essere stata invitata a ricomporsi.

Va detto che, a proposito del contenuto del Tweet che qui vi riporto, il sito http://altraroba.altervista.org esiste sul serio e che ha realmente pubblicato un articolo dal titolo “E se gli psichiatri prescrivessero gite nei boschi anziché antidepressivi?”. Lo potete leggere a questo link.

Vi si legge, tra l’altro che:

Una camminata o escursione in un bosco corrisponde ad una pratica naturale di aromaterapia.

e che

Evidenze scientifiche hanno dimostrato come questa possa ridurre in maniera significativa ansia, depressione e rabbia.

La Borgonzoni ha fatto suo il contenuto di questo articolo e lo ha rilanciato dalla sua pagina Twitter nel giugno scorso (prima di cambiare account in “Lucia Borgonzoni Presidente“).

Va detto, a scanso di equivoci, che la depressione è una malattia molto seria, con grandissimi costi sociali, e che per affrontarla occorrono anni di cure farmacologiche e psicoterapeutiche. Per “cure farmacologiche” intendo proprio uso di psicofarmaci antidepressivi, chimica, iterazioni con le sinapsi, produzione di serotonina. Non si può delegare alla naturopatia, a una semplice passeggiata nei boschi, la risoluzione anche solo parziale di questo tipo di sintomatologie. Non esistono medicine alternative -dice il dottor Burioni-, esistono soltanto alternative pericolose alla medicina. Tutto le soluzioni a base “di yoga, di erbe, psiche, di omeopatia”, non servono a niente, sono totalmente inutili, completamente inefficaci quando non addirittura dannosi. Questo gli psichiatri lo sanno bene, e fanno bene a prescrivere solo psicofarmaci antidepressivi e/o ansiolitici a chi si rivolge a loro per chiedere un aiuto. La preparazione e l’esperienza di uno psichiatra nel curare la depressione non possono assolutamente essere sostituite da un approccio naturistico. La depressione non è una slogatura a una caviglia, per cui vanno ancora bene gli impacchi di arnica, come descriveva Louisa May Alcott in “Piccole donne“. La depressione è una bestia bruttissima che in molti casi non guarisce, ma che si continua a tenere sotto controllo vivendo una vita soddisfacente. Ma resta sempre lì, latente, estremamente subdola, pronta ad aggredire di nuovo. E la vita del malato di depressione, credetemi, è tutt’altro che vita. Come quella dei familiari che hanno la sventura di stargli accanto.

Non bisogna confondere l’efficacia di un principio attivo con l’aria fresca. Non si può tollerare l’esternazione di chi afferma che

Grazie alla presenza di fragranze e profumi, in particolare modo quelli emanati dalle conifere (fitoncidi), comunemente noti come “oli essenziali legnosi”, il rischio di problemi psicosociali legati allo stress risulta essere inferiore negli individui che compiono regolarmente tali immersioni nei boschi come parte integrante del loro stile di vita.

perché questi dati vanno opportunamente dimostrati con studi scientifici seri e rigorosi, pubblicati su riviste mediche di provati rigore e fama. Lo so anch’io che respirare l’aria dei boschi fa bene, ma la depressione, l’ansia, lo stress, la rabbia sono ben altro e hanno bisogno di approcci medici adeguati per essere risolutivo. Ne va della salute del paziente depresso e del suo entourage sociale e familiare. Non scherziamo.

Saluti allopatici.

“Se non ti fa bene male non ti fa di certo”

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Dagherrotipo di Samuel Hahnemann, fondatore dell'omeopatia. Pubblico Dominio.
Dagherrotipo di Samuel Hahnemann, fondatore dell’omeopatia. Pubblico Dominio.

Sarà capitato anche a voi (citazione cólta per chi ricorda Sylvie Vartan, cioè tre o quattro) di avere un amico, un parente, un conoscente, un collega di lavoro, un vicino di casa, un Testimone di Geova o chi per loro che almeno una volta nella vita è entrato nei flussi di chi ha provato le cosiddette medicine alternative sotto forma di globulo intriso, compressa, sciroppino, tintura madre, intruglio figlio, gocce, tisane, decotti.

Io ho il massimo rispetto nei confronti di chi decide di corarsi con l’omeopatia, l’ayurveda, le erbe, i fiori di Bach e chi più ne ha più ne metta, ma sono personalmente convinto dell’inefficacia di questo tipo di approcci e che se effetto benefico c’è stato, è da addebitarsi solo ed esclusivamente all’effetto placebo. E comunque la persona in questione, nel decantarvi le meraviglie dell’approccio alternativo rispetto a quello allopatico (sottolineando magari implicitamente che i bischeri siete voi che vi fate caricare di medicine, mentre loro usano solo cose naturali, come se una cosa naturale per il solo fatto di esserlo sia automaticamente anche efficace) vi dirà: “Prova, tanto se non ti fa bene male non ti farà di certo!”

Ecco, qui mi irrito. Giuro che ho pensato che per questa frase se ne andassero a quel paese delle amicizie granitiche di vecchia data e non c’è niente di più doloroso. Anche perché la persona che ti parla in questo modo è realmente convinta di stare facendoti un favore. Invece non è così. Perché la prima cosa che mi aspetto da un medicamento è che funzioni. Voglio dire, se soffro di cefalea, allopatico o no che sia il rimedio che assumo, poi dopo devo stare meglio. Voglio dire, mi deve fare bene per forza, non esiste il “male non ti fa di certo”. Perché il “far male” si verifica anche se la porcheriola naturale non mi fa nessun effetto. Proprio perché se l’effetto è zero, mal che mi vada io continuo a star male. Se io ho la febbre e assumo un antitermico poi la febbre mi deve passare. O diminuire. E’ questo che mi aspetto da qualsiasi “rimedio” tradizionale o alternativo che sia.

Perché nell’approccio medico se prima c’è il proverbiale “non nuocere”, dopo ci deve essere per forza il “curare”. In questo senso trovo molto bella l’espressione di “principio attivo” che troviamo nella medicina tradizionale. “Attivo”, non inerte. “Attivo” vuol dire “che agisce” e se agisce poi stiamo meglio.

Dunque, viva la cara vecchia chimica! Che se non ci fa star bene qualcosa la fa di sicuro.