“Più migliori”: Adriano Sofri difende il Ministro Fedeli

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Adriano_Sofri_2014

Il 21 dicembre scorso, Adriano Sofri ha pubblicato sulla versione digitale de “Il Foglio” un articolo riferito allo svarione della Ministra (oddio quanto è pesante scrivere “la Ministra”, no, via lo cancello) del Ministro Valeria Fedeli che in un’occasione pubblica aveva utilizzato il termine “più migliori“, destando il comprensibile disappunto della classe insegnante che da lei dipende.

Per Adriano Sofri, invece, no, Valeria Fedeli non avrebbe commesso alcun errore di grammatica. Ora, io non voglio contestare il diritto di Adriano Sofri ad autonominarsi avvocato difensore del Ministro Fedeli, perché sono convinto che chiunque abbia diritto a una buona difesa (purché la difesa sia buona), ma le intenzioni bellicose del Sofri sono evidenti fin dall’incipt del suo scritto:

“Si arrangi lei, la signora Valeria Fedeli, io vorrei mandare a quel paese i suoi correttori.”

“In molti hanno commentato: ecco che cosa succede a mettere a capo dell’istruzione pubblica una donna non laureata. Questi commentatori evidentemente sottintendono che chi abbia un diploma da maestra di scuola materna e uno da assistente sociale non debba sapere che non si dice più migliore.”

In breve, Sofri, per difendere la Fedeli si scaglia contro i suoi detrattori. Ma il problema è che si tratta di una causa indifendibile. L’errore c’è stato, è stato marchiano, chiaro, preciso ed evidente. Punto. Un esercito di professori, suoi sottoposti, o anche di semplici cittadini, si sono indignati per il semplice fatto che si spera vivamente che il Ministro dell’Istruzione in Italia parli un italiano corretto. Ma molto di più che sperarlo, ci se lo aspetta, come una sorta di condicio sine qua non. Non sono questioni di lana caprina, da sempre quello che mi auguro, in chi ci governa, è che siano persone molto, ma molto migliori di me. Anche nella grammatica.

Le tesi di Sofri sul perché “più migliori” non sia un errore, francamente mi lasciano indifferente: mi sembra di sentire l’avvocato d’ufficio difendere una persona in un processo per direttissima. Ma qualche traccia ce la dà. Ci consiglia, ad esempio, di andare a vedere su Google (notevole strumento di consultazione, è noto!) le occorrenze di “vieppiù migliori” che pare siano un putiferio. Poi cita un professore che ha evidenziato come Fogazzaro abbia usato “più meglio” in “Malombra“. Evidentemente, per Sofri, se una forma è attestata in letteratura poi è anche accettabile nell’uso comune, quando dovrebbe essere esattamente il contrario, ovvero vedersi riconosciuta come “eccezione” a un uso errato. E le licenze d’autore (e poetiche) stanno lì tutti i giorni a dimostrarcelo. Comunque mi son voluto togliere uno sfizio, ho preso dallo scaffale la mia Biblioteca Italiana Zanichelli, ho dato l’impostazione di ricerca sulla stringa “più meglio” ed ecco cosa ne è uscito fuori:

piumeglio

Nove occorrenze. Ce n’è anche una decima, da Pirandello, ma non appare in questa videata che ne contiene soltanto nove. Accontentatevi. E quindi se per Sofri chi ha segnalato Fogazzaro e Belo è un “bravo professore”, io che ne ho trovati altri sette casi cosa sono, un genio? No, semplicemente sono una persona che ha determinati strumenti un po’ più raffinati del rozzo Google e che li usa per fare delle ricerche o delle verifiche. E se li avesse usati anche Sofri, avrebbe scoperto che, a sostegno parziale e poco consolatorio delle sue tesi, Giovanni Gherardi, nel ‘400, ha usato l’espressione “più migliori” nel “Paradiso degli Alberti”. Ecco lo screenshot del testo incriminato tratto dalla Letteratura Italiana Einaudi:

piumigliore

E per concludere, sapete quante volte si trova nella Biblioteca Italiana Zanichelli (247 autori, oltre 1000 opere digitalizzate) il (secondo Sofri) usatissimo “vieppiù migliore/i”? Zero. Quanta pazienza che ci vuole!

PS: Chi volesse leggere l’articolo di Adriano Sofri, naturalmente, lo trova qui.

Flavia de Luce si gusta con la mostarda

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Mamma Orsa mostra orgogliosa una copia di "Aringhe rosse senza mostarda" di Alan Bradley

Leggere i libri della collana “La Memoria” della Sellerio è una delle cose più sensate che si possano fare, considerato il piattume che regna nell’editoria italiana, così càrica di ciarpame.

A dire il vero qualche nota stonata c’è anche in quella collana (Adriano Sofri, per esempio), ma più che una stonatura si tratta di una disarmonia. Per il resto serie azzeccata, titoli bellissimi, ottima selezione di giallisti (ci sono il Malvaldi, Manzini, Camilleri, la Giménez-Bartlett, Esmahan Aykol, Barbapapà, Barbapepé, Barbalallà, Barbadiquà…), formato ideale per leggere a letto (dove, se no?), carta di qualità, carattere chiaro. Insomma, una roba che ti fa venir voglia di non leggere nient’altro.

Ma voi prendete un Emilio Salgari dei giorni nostri, che ambienta le sue storie a metà tra il giallo, il romanzo gotico e la narrativa per ragazzi, in Inghilterra senza mai averci messo piede e otterrete Alan Bradley, un signore simpatico che (sor)ride da dietro gli occhiali della quarta di copertina, con uno stile che picchia a tratti sul rimanzo vittoriano e che non dispiace proprio per niente.

Poi prendete una bambina di 11 anni che ha perso la mamma durante un’escursione in montagna (“la mia mamma è in cielo!”, diceva Pippi Calzelunghe), datele due sorelle che la prendono toujours per le nàtiche, assai vanitose e solitarie (insomma, le sorellastre di Cenerentola, per dire), un padre non ancora rassegnato al dolore che non fa altro che occuparsi della sua collezione di francobolli, un cameriere fedelissimo, una zia con qualche segreto di troppo, ma, soprattutto, una grande e precoce passione per la chimica e in particolare per i veleni.

Avrete creato Flavia de Luce. Detective in erba che risolve casi maturi.

Quindi cercate di mollare quelle porcherie che state leggendo e convertitevi, peccatori!

 

La prescrizione secondo Wikipedia

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Su Wikipedia, alla voce in italiano riguardante “Adriano Sofri” è riportato che:

“Leonardo Marino, (…) invece fu inizialmente condannato e successivamente assolto per intervenuta prescrizione del reato (…)”

Ora, bisognerebbe spiegare, e per l’ennesima volta, a Lorsignori, che se un reato viene dichiarato prescritto, questa NON è una assoluzione. Se no l’imputato sarebbe stato assolto (per non aver commesso il fatto, o perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato).

Nel caso di Leonardo Marino, poi, la responsabilità era stata, secondo la stessa Wikipedia, riconosciuta nei gradi di giudizio precedenti. Dunque, ancora una volta, Marino era responsabile ma non poteva essere condannato perché sono passati troppi anni dai fatti contestati alla data della sentenza definitiva. E lì muore il processo.

Ma “non essere stati condannati” non significa automaticamente “essere stati assolti”. Non è che prima uno era colpevole (condanna) e poi non lo è stato più (assoluzione).

E’ un pensiero di formazione tipicamente destroide per cui “nessun condannato = tutti innocenti” (del resto quante volte le prescrizioni di Berlusconi sono state fatte passare per “assoluzioni”). E che questo pensiero venga esteso da Wikipedia al popolo del web non può che fare paura.

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