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Il 21 dicembre scorso, Adriano Sofri ha pubblicato sulla versione digitale de “Il Foglio” un articolo riferito allo svarione della Ministra (oddio quanto è pesante scrivere “la Ministra”, no, via lo cancello) del Ministro Valeria Fedeli che in un’occasione pubblica aveva utilizzato il termine “più migliori“, destando il comprensibile disappunto della classe insegnante che da lei dipende.
Per Adriano Sofri, invece, no, Valeria Fedeli non avrebbe commesso alcun errore di grammatica. Ora, io non voglio contestare il diritto di Adriano Sofri ad autonominarsi avvocato difensore del Ministro Fedeli, perché sono convinto che chiunque abbia diritto a una buona difesa (purché la difesa sia buona), ma le intenzioni bellicose del Sofri sono evidenti fin dall’incipt del suo scritto:
“Si arrangi lei, la signora Valeria Fedeli, io vorrei mandare a quel paese i suoi correttori.”
“In molti hanno commentato: ecco che cosa succede a mettere a capo dell’istruzione pubblica una donna non laureata. Questi commentatori evidentemente sottintendono che chi abbia un diploma da maestra di scuola materna e uno da assistente sociale non debba sapere che non si dice più migliore.”
In breve, Sofri, per difendere la Fedeli si scaglia contro i suoi detrattori. Ma il problema è che si tratta di una causa indifendibile. L’errore c’è stato, è stato marchiano, chiaro, preciso ed evidente. Punto. Un esercito di professori, suoi sottoposti, o anche di semplici cittadini, si sono indignati per il semplice fatto che si spera vivamente che il Ministro dell’Istruzione in Italia parli un italiano corretto. Ma molto di più che sperarlo, ci se lo aspetta, come una sorta di condicio sine qua non. Non sono questioni di lana caprina, da sempre quello che mi auguro, in chi ci governa, è che siano persone molto, ma molto migliori di me. Anche nella grammatica.
Le tesi di Sofri sul perché “più migliori” non sia un errore, francamente mi lasciano indifferente: mi sembra di sentire l’avvocato d’ufficio difendere una persona in un processo per direttissima. Ma qualche traccia ce la dà. Ci consiglia, ad esempio, di andare a vedere su Google (notevole strumento di consultazione, è noto!) le occorrenze di “vieppiù migliori” che pare siano un putiferio. Poi cita un professore che ha evidenziato come Fogazzaro abbia usato “più meglio” in “Malombra“. Evidentemente, per Sofri, se una forma è attestata in letteratura poi è anche accettabile nell’uso comune, quando dovrebbe essere esattamente il contrario, ovvero vedersi riconosciuta come “eccezione” a un uso errato. E le licenze d’autore (e poetiche) stanno lì tutti i giorni a dimostrarcelo. Comunque mi son voluto togliere uno sfizio, ho preso dallo scaffale la mia Biblioteca Italiana Zanichelli, ho dato l’impostazione di ricerca sulla stringa “più meglio” ed ecco cosa ne è uscito fuori:
Nove occorrenze. Ce n’è anche una decima, da Pirandello, ma non appare in questa videata che ne contiene soltanto nove. Accontentatevi. E quindi se per Sofri chi ha segnalato Fogazzaro e Belo è un “bravo professore”, io che ne ho trovati altri sette casi cosa sono, un genio? No, semplicemente sono una persona che ha determinati strumenti un po’ più raffinati del rozzo Google e che li usa per fare delle ricerche o delle verifiche. E se li avesse usati anche Sofri, avrebbe scoperto che, a sostegno parziale e poco consolatorio delle sue tesi, Giovanni Gherardi, nel ‘400, ha usato l’espressione “più migliori” nel “Paradiso degli Alberti”. Ecco lo screenshot del testo incriminato tratto dalla Letteratura Italiana Einaudi:
E per concludere, sapete quante volte si trova nella Biblioteca Italiana Zanichelli (247 autori, oltre 1000 opere digitalizzate) il (secondo Sofri) usatissimo “vieppiù migliore/i”? Zero. Quanta pazienza che ci vuole!
PS: Chi volesse leggere l’articolo di Adriano Sofri, naturalmente, lo trova qui.