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Un paio di giorni fa ho pubblicato alcuni estratti tratti dal discorso di Matteo Renzi al Senato della Repubblica. Nessun commento, solo delle citazioni virgolettate che, secondo le mie intenzioni, avrebbero dovuto parlare da sole. Non ritengo però sufficiente questo semplice atto per commentare compiutamente quello che è stato considerato da più parti come un discorso impeccabile. Ad puro titolo di esempio della trasversalità dei plausi espressi dal mondo politico e/o giornalistico, riporto la posizione di Ignazio La Russa (che non è esattamente uno dei più vicini a Renzi politicamente):
“Il discorso di Renzi in Senato? Assomigliava un po’ a un intervento di Craxi e mi è piaciuto. Dal punto di vista tecnico ed estetico, l’ho trovato pregevole. Guardando alla qualità, al di là dei contenuti, devo fare i miei grandi complimenti a Renzi, perché il tono era giusto, le parole erano appropriate e c’era l’ equilibrio tra i concetti”.(Intervista a Radio Radicale)
In primo luogo risulta spiazzante da parte di Renzi la scelta e l’uso della sede istituzionale dell’aula di Palazzo Madama per trattare temi di squisita e specifica pertinenza personale o di una fondazione (Open) a lui afferente (è scritto nello statuto che la Open debba finanziare l’attività politica di Matteo Renzi). Un discorso sostanzialmente pro domo sua, e caratterizzato da una frase-chiave che recita:
“La magistratura pretende di decidere cosa è un partito e cosa no“
La dichiarazione, di una gravità estrema, nasce dalla definizione data dai Pubblici Ministeri di Firenze, secondo cui la fondazione avrebbe agito come una «articolazione» di un partito politico. Nei decreti di perquisizione firmati dai PM, inoltre, appare che Open «ha rimborsato spese a parlamentari ed ha messo a loro disposizione carte di credito e bancomat».
Mi risulta che il Pubblico Ministero sia soltanto una parte del procedimento processuale e che ogni decisione, così come ogni rettifica di una definizione eventualmente rappresentata in atti debba essere convalidata da un giudice (quello per le indagini preliminari in sede iniziale e quello di merito nel processo vero e proprio, per non parlare del giudice dell’udienza preliminare che si occupa di valutare la richiesta di rinvio a giudizio degli eventuali imputati). Esiste il diritto di difesa. Viviamo in uno stato di diritto. Il pretendere di poter affermare in un’aula di altissimo livello istituzionale che la magistratura non possa decidere la natura più o meno partitica di una fondazione è uno spostare il dibattito da una sede (appropriata, cioè le aule di giustizia) a un’altra (inappropriata, cioè l’emiciclo del Senato)
Il fascicolo contro Open è incentrato intorno alle figure di Alberto Bianchi e Marco Carrai, molto vicini al leader di Italia Viva e indagati con l’accusa di traffico di influenze illecite e finanziamento illecito. Nel consiglio di amministrazione di Open, oltre a Marco Carrai sedevano Luca Lotti (indagato per favoreggiamento e rivelazione di segreto istruttorio in un’inchiesta su appalti Consip condotta dai PM di Napoli e autosospesosi dal Partito Democratico in seguito al suo coinvolgimento nell’inchiesta sulle procure e nomine del CSM) e Maria Elena Boschi. E’ notizia di queste ore che copia delle e-mail del 2014 scritte da Alberto Bianchi ad Antonella Manzione (responsabile dell’ufficio Affari legislativi di Palazzo Chigi nel momento in cui Matteo Renzi era capo del Governo) e di quella girata a Luca Lotti con mittente originario Luigi Scordamaglia, finanziatore della stessa fondazione Open sono state trasmesse al Tribunale del Riesame. Secondo gli inquirenti il Bianchi “avrebbe favorito gli interessi dei finanziatori di Open, intercedendo con i vertici del governo.” (fonte: Il fatto quotidiano)
Ma non è l’unico fascicolo aperto alla procura di Firenze. Ce n’è un altro, senza indagati e senza ipotesi di reato, che riguarda “operazioni relative all’acquisto della casa di Matteo Renzi, una villa comprata nel 2018 per 1,3 milioni di euro con un prestito da 700mila euro ricevuto da un finanziatore della fondazione Open.” (fonte: SkyTg24). Il fascicolo è stato aperto dopo che l’unità antiriciclaggio di Bankitalia aveva segnalato una o più operazioni alla Procura relative al prestito ricevuto dall’ex premier per comprare l’immobile.
A seguito di queste due realtà giudiziarie che, va detto chiaramente, non lo vedono coinvolto, Matteo Renzi ha dichiarato:
“Ho criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali. Brivido!”
“Non ho segreti. La mia casa, le mie auto, la mia Vespa: tutto è perfettamente regolare. Ma non vi sembra curioso che uno possa ricevere ‘avvertimenti’ di questo genere?”
“Oggi presenterò due denunce penali e due azioni civili. Lo farò volutamente a Firenze e sono certo che i magistrati di questa città saranno solerti nel difendere il mio diritto alla giustizia”.
“Sulla decisione che Open sia un partito politico e non una fondazione mostra che siamo in presenza di una cosa enorme. Qui cambia il gioco democratico. Io lo dico e, improvvisamente, casualmente, vengono fuori documenti sulla mia vita privata…”
“Se fondare un partito è una decisione della magistratura e non della politica, siamo in presenza di un vulnus per la democrazia”
“Ho solo criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali. Tuttavia non ho segreti”.
Nessun attacco alla magistratura, dunque, fino alle dichiarazioni risalenti a poche ore prima dello svolgimento dell’intervento di Renzi in Senato, dove i toni si sono ampliati e generalizzati:
“hanno fatto un’invasione di campo” (…) “trecento finanzieri all’alba in casa di persone non indagate sono una retata”
“La magistratura decide cosa è partito e cosa no e manda all’alba i finanzieri da cittadini dalla fedina penale intonsa con strumenti più da retata che da inchiesta, e mi dite che è a tutela degli indagati?”
“Avere rispetto per la magistratura è riconoscere che magistrati hanno perso la vita per il loro impegno. A loro va il massimo rispetto. Ci inchiniamo davanti a queste storie. Ma a chi oggi volesse immaginare che questo inchino diventi una debolezza del potere legislativo si abbia la forza di dire: contestateci per le nostre idee o per il Jobs act ma chi volesse contestarci per via giudiziaria sappia che dalla nostra parte abbiamo il coraggio di dire che diritto e giustizia sono diversi dal giustizialismo“
C’è una confusione terribile in tutto questo. Intanto abbiamo già visto come per il fascicolo a carico della fondazione Open ci siano già due indagati a carico dei quali sono state disposte perquisizioni domiciliari che hanno permesso alle Fiamme Gialle di sequestrare una ingente mole di materiale adesso al vaglio dei Pubblici Ministeri inquirenti. Quindi la storia dell’esercito di finanzieri che bussa la mattina all’alba alle porte dei perquisiti senza che vi siano persone indagate non regge. La perquisizione e il sequestro probatorio non devono essere preceduti dall’informazione di garanzia, trattandosi di atti a sorpresa. Se, durante le indagini, emergeranno elementi di responsabilità penale in ordine al materiale detenuto e sequestrato, il PM darà notizia alla persona indagata dell’indagine che lo riguarda, che sia incensurata o no.
Il Dottor Giancarlo Caselli, sul fatto Quotidiano, osserva che a seguito delle argomentazioni di Renzi (“invasione di campo, di vulnus per la politica, di avvertimento, di “quelli che hanno arrestato i miei genitori”, di prossime denunzie contro il procuratore capo di Firenze”)
È dunque possibile pensare che Renzi abbia a cuore non tanto una questione istituzionale quanto piuttosto una vicenda “personale”.
Ma Renzi non risulta indagato. Non risulta neanche minimamente “attenzionato” personalmente da quella magistratura che tanto critica e accusa di invasione di campo. Perché, dunque, sente la necessità di affrontare nella Camera alta, cioè in una delle più alte e prestigiose sedi della Repubblica, le proprie vicende “personali” (o quelle dei propri congiunti, o quelle dei propri compagni di partito) è una scelta quanto meno discutibile. Manca il contraddittorio (come possono difendersi i magistrati dagli attacchi loro rivolti in sede istituzionale?) e appare evidente lo scollamento tra sede politica e sede giurisdizionale.
Prosegue il dottor Caselli:
Il tentativo di assoggettare la Giustizia alla politica, o meglio, all’interesse politico di una sola persona, l’ha ideato Berlusconi, scatenando contro vari uffici giudiziari – a partire dal 1994 – una “vera e propria guerra mossa su molteplici fronti e adoperando tutti i mezzi” (Andrea Camilleri).
Probabilmente, anzi, senz’altro, Renzi non ha avuto nemmeno l’intenzione di “assoggettare la Giustizia alla politica”, ma, questo sì, ha fatto uno sconveniente sgambetto al principio della separazione dei poteri dello Stato.
Fuori luogo appaiono le citazioni di Aldo Moro (“Non ci faremo processare nelle piazze” – infatti ci si fa processare nelle aule e lì ci si difende, Aldo Moro rivendicava il primato della Magistratura e della verità giudiziaria rispetto alla vox populi) e il riferimento all’horror vacui politico di Bettino Craxi. Craxi è stato condannato con sentenza passata in giudicato a:
- 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo ENI-SAI il 12 novembre 1996;
- 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le tangenti della Metropolitana Milanese il 20 aprile 1999.
Non appare, dunque, la fonte più autorevole a cui fare riferimento nell’aula del Senato. E non già per il fatto che Craxi sia stato un pluricondannato che ha scelto l’esilio pur di non scontare la pena inflittagli in patria (ho fatto cenno solo alle condanne definitive passate in giudicato, senza fare riferimento a quelle provvisorie non effettive per intervenuta prescrizione del reato) ma perché il (famoso) discorso di Craxi a cui Renzi fa riferimento tendeva a autogiustificare comportamenti illeciti individuali con la logica perdente del “così fan tutti”. E’ un’autorevolezza che trascolora di fronte ai fatti.
Ed è di tutta evidenza che il giustizialismo sia profondamente diverso dalla giustizia. Il primo si esplica nelle piazze, nel chiacchiericcio, nel sentito dire, nella condanna preventiva. La seconda si esercita nelle aule di tribunale, nel contraddittorio tra le parti, alla ricerca dell’acquisizione di elementi probatori a favore di una tesi piuttosto che di un’altra. Il giustizialismo è quello che ti vuole colpevole a tutti i costi già prima dei tre gradi di giudizio che ti aspettano, la giustizia è quella che interviene dopo. E’ per questo che Renzi dovrebbe, a maggior ragione, affidarsi alla magistratura (e, nella fattispecie, a determinati magistrati) e lasciare che la giustizia (che, ripeto, non è sommaria) faccia il suo corso.
Mi piace concludere con una chiosa su uno degli ultimi passaggi dell’articolo di Gian Carlo Caselli per Il Fatto Quotidiano che ho citato:
Se un uomo politico di primario livello (com’è Renzi, col peso che gli deriva dalle cariche ricoperte) parla in Senato di persecuzione giudiziaria o di parzialità dei giudici, in pratica autorizza ogni cittadino che abbia qualche problema con la giustizia a pensarla allo stesso modo. Con evidenti effetti devastanti sul sistema.
Qui non sono assolutamente d’accordo con l’impostazione del Dottor Caselli, cui, pure, mi lega una ammirazione più che decennale.
Il cittadino comune che “abbia qualche problema con la giustizia” può benissimo pensare di essere perseguito (ce ne sarebbero tutti i motivi, in alcuni casi), o che i suoi giudici, al condannarlo in primo grado o in Cassazione siano stati “parziali”. Può, come Renzi, essere contrario alla norma presto in vigore sulla prescrizione perché, come è normale che sia, cerca tutti i rimedi possibili per risolvere la sua situazione giudiziaria. Su questo non trovo nulla da ridire né mi pare che ci sia da stigmatizzare. Quello che, invece, sì, mi va di sottolineare, è che il cittadino comune è e resta un cittadino comune. Non è un politico, non ha le aule delle istituzioni a sua disposizione per imbastire una difesa anche senza che ci sia una accusa specifica ad personam, non dispone di movimenti di opinione che si mobilitano ad ogni stormir di fronda per prendersela con il primo giornalista che fa domande scomode. Il cittadino comune non è un personaggio pubblico, e non ha la possibilità di avere a disposizione gli strumenti per modificare una legge o dichiararsi contrario ad una norma. Il cittadino comune, quando è innocente, la persecuzione giudiziaria la subisce e basta, non parte a contrattacco. E quando è colpevole, ben che vada, si vede processare anni e anni dopo i fatti, cioè quando è un’altra persona, quando il cittadino comune non corrisponde più alla figura della persona che ha commesso il reato. Non ci sono “effetti devastanti sul sistema” perché è il sistema che è già sufficientemente devastato di suo. La girandola e il turbine di sofferenze a cui è sottoposto un cittadino comune quando ha a che fare con la giustizia penale sono indicibili. Il minimo che possa fare è pensare che i magistrati ce l’hanno con lui, anche se in realtà i magistrati stanno solo facendo il proprio dovere, cioè esercitare l’azione penale (che in Italia è obbligatoria). Se lo pensa un cittadino comune non fa male a nessuno, mentre se questo pensiero viene spostato sull’asse istituzionale si causa uno squilibrio e, questa volta sì, un’invasione di campo, da cui è difficile districarsi.
Sono comunque grato a quanti saranno riusciti a leggermi fin qui.