“Hello darkness, my old friend,
I’ve come to talk with you again.”
L’estate italiana, da Grande Bagascia quale è, è sempre stata perfetta ed impietosa rivelatrice dell’essenza più intima (quindi autentica) dell’animo umano.
In estate le notizie di cronaca non sono relegate a una sezione, più o meno ben determinata, dei giornali. In estate tutto risulta deformato, manipolato, modificato, assurdo. Come se la lente di ingrandimento di una follia collettiva trasformasse le immagini della realtà attraverso il filtro di uno specchio concavo, restituendoci la nostra mostruosità.
Ma pochissimi si accorgono che quello che accade a chi è coinvolto nella girandola delle montagne russe della miseria umana potrebbe accadere a ciascono di noi. Che siamo tutti in pericolo, nessuno escluso.
Il caso della morte di Simona Cinà, trovata morta nella piscina di una villa di Bagheria durante una festa di laurea, sottoposto al vaglio della Procura di Termini Imerese è solo l’ultimo esempio, in ordine di tempo, a dimostrarcelo.
Una ragazza di 21 anni muore in una piscina, dunque. Il suo cadavere resta in acqua per diversi minuti prima che qualcuno si accorga dell’accaduto. I primi rilievi attestano che:
– non sono state rinvenute bottiglie di alcolici o tracce di stupefacenti;
– i vestiti della ragazza non sono stati ritrovati;
– l’allarme è scattato verso le 4.10 del 2 agosto, orario in cui la maggior parte dei giovani partecipanti alla “festa” aveva già lasciato la villa da circa un’ora;
– è stato prelevato un campione di DNA a uno solo dei partecipanti;
– l’area intorno alla piscina era stata ripulita;
– la villa non è stata posta sotto sequestro.
Quindi le ipotesi. Quella più privilegiata, ovvero l’unica possibile con questi grossolani ma granitici elementi, è che si sia trattato di un malore o di un incidente.
Del resto, di assunzione di sostanze o, peggio, della loro somministrazione arbitraria da parte di qualcuno, non si può parlare (eh, non ne è stata ritrovata traccia…), di alcol men che meno (pare che la ragazza non avesse l’abitudine di assumere alcolici, se non in dosi moderate e in rare occasioni, e che tenesse moltissimo alla cura del corpo. Comunque sono state trovate solo delle bottiglie vuote di acqua), di oggetti che abbiano potuto causare la morte della giovane, in modo più o meno accidentale (eh, la villa non è stata sequestrata, non ne sono state conservate le caratteristiche fisiche e di fatto al momento del decesso e dell’intervento dei carabinieri…) per cui, sì, dopo pochissime ore, e nonostante non sia stato ancora effettuato l’esame autoptico (previsto per il 4 agosto, ben due giorni dopo la morte) ecco la verità (che, a dirla tutta, al momento è solo una ipotesi, sia pure la più probabile): con ogni probabilità è stata colpa di un malore.
La sonnacchiosa procedura giudiziaria segue i suoi ritmi: è stato aperto un fascicolo a carico di ignoti con l’ipotesi di reato di omicidio colposo. Dell’eventuale omissione di soccorso non si parla nemmeno. Le ipotesi sono ipotesi, ma quelle che hanno maggiore possibilità di essere dimostrate oscurano e addirittura annullano tutte le altre. Anche se è chiaro, in questo caso, che il corpo della ragazza sia restato nell’acqua della piscini per svariati minuti prima che qualcuno si rendesse conto della sua morte.
E allora tutti noi possiamo essere la famiglia di chi non c’è più, ma anche gli eventuali, futuri e futuribili indagati, i testimoni o addirittura i colpevoli della sparizione dell’alcol e del ripulisti della scena dell’evento.
Perché il farla franca, il fregare le istituzioni, il manipolare la verità affinché non emerga nulla di compromettente a nostro carico ci restituiscono la consapevolezza che, sì, a noi non la si fa.
Siamo così. E’ difficile spiegare.