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Il presidente del Senato Schifani è stato indagato.
La pagina on line de “La Stampa” (ultimamente assai lacunosa nel dare le notizie -e me ne dispiace perché Gramellini, quando non si piange addosso mi è simpatico, ma non si può assolvere un modo di fare giornalismo solo perché un giornalista è simpatico-) riporta semplicemente un laconico e secco “Mafia.” che non vuol dire nulla (esistono varie fattispecie di reato di indole mafiosa, qual è quella contestata a Schifani??).
La Procura della Repubblica di Palermo si sta apprestando a chiedere (se non l’ha già chiesta nel frattempo) l’archiviazione per i fatti contestati. Si aspetterà il parere del GUP.
Quello che fa un po’ sorridere è che Schifani non è stato indagato in quanto “Schifani, Renato Maria Giuseppe”, ovvero con il suo nome da privato cittadino, ancorché ricoprente la seconda carica dello Stato. No, è stato indagato come un certo signor “Schioperatu”. Ovvero con un nome falso. Di facciata. Una sorta di pseudonimo in codice. Si sa chi è l’indagato ma lo si chiama con un altro nome.
Per proteggere la riservatezza dell’indagine, probabilmente. O anche quella dell’indagato, forse.
Ma un normale cittadino verrebbe indagato con tanto di nome e cognome, e, alla vigilia della richiesta dell’archiviazione, riceverebbe il bell’avviso di garanzia (o, meglio, di chiusura delle indagini) e sarebbe sputtanato per tutta la vita. Anche se l’archiviazione dovesse essere effettivamente confermata nell’udienza preliminare. Non ci sarebbe nessuna possibiloità per il signor “Mario Rossi” di vedersi, occasionalmente, trasformato in “Mario Schioperatu”. Perché, si sa come la pensa la gente, “sarai stato anche archiviato, non dico di no, ma se ti hanno indagato segno che non sei stato tanto a sgranare il rosario, anche tu…”.
Dunque, quell’avviso di garanzia che serve da scudo al cittadino, diventa una doppia garanzia quando il cittadino ricopre un’alta carica pubblica.
Ripeto, aspetteremo il parere del Giudice per l’Udienza Preliminare.
Renato Schifani è stato autore del lodo che porta il suo nome che sospendeva i processi in corso contro le «cinque più alte cariche dello Stato», giudicato incostituzionale nel gennaio 2004.
Renato Schifani ha citato Antonio Tabucchi, ora defunto, per 1.300.000 euro di danni.