Il blog riprende. Ma non sarà più un blog di opinione.
Lo userò solo per comunicare, a chi lo vuole, le novità della mia attività editoriale digitale, di scrittore e curatore.
Pian piano i post vetusti saranno eliminati (sono già a buon punto) dalla pubblica visibilità per diventare privati. Inutile esprimere opinioni quando la libertà di opinione non esiste.
Liber Liber vende i suoi testi sotto forma di ebook.
Non c’è nulla di strano né di male. I testi di pubblico dominio possono essere pubblicati da chiunque, persona fisica o giuridica che sia, anche a pagamento.
Ma vediamo, a titolo di esempio, il caso della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Su Amazon troviamo questa edizione:
Se avete l’abbonamento “Kindle Unlimited” potete scaricarla inclusa nel prezzo che avete pagato. Se no, costa 0,49 euro. Onesto.
Però se guardate l’indice del motore di ricerca interno allo store vi appare questo (prezzo di vendita 0,99 euro, oltre il 100% in più):
Guardiamo Barnes and Noble, adesso:
La copertina è diversa, ma graficamente assimilabile alla precedente. L’editore è lo stesso, e cioè l’impresa “EText”, presieduta dalla stessa persona che presiede l’associazione “Liber Liber”. Taglia la testa al toro il fatto che la collana di Barnes and Noble pubblicata dalla Etext si chiami proprio “Liber Liber”. E mi pare che fin qui non ci siano dubbi.
Il prezzo è di 5,99 dollari USA, che per un’opera di pubblico dominio è decisamente elevato.
Uno potrebbe dire: “sarà un prezzo imposto dallo store, non dall’editore!” No, perché altri titoli della EText costano decisamente meno (molto meno). Ecco un esempio:
A 5,99 dollari, comunque, vengono vendute molte altre opere di pubblico dominio per la stessa collana. Eccole:
Non si tratta neanche di una questione di mole dell’opera: costano 5,99, indifferentemente, sia un’opera breve come il “Candido” di Voltaire, sia “I miserabili” di Hugo.
Ma come fa la EText/Liber Liber a pubblicare su Amazon e Barnes and Noble?
Semplice, come fanno tutti. Con StreetLib.
E’ possibile su StreetLib fissare il prezzo di vendita? Certo, ecco qua:
E su Amazon? Non lo sappiamo. Quello che è certo è che Amazon si serve di un programma di immissione delle opere che si chiama KDP. Cosa dice KDP sui titoli in pubblico dominio? Questo:
“Per “libro di dominio pubblico” si intende un libro non coperto da copyright o diritti di proprietà intellettuale, solitamente perché scaduti. Quando un libro diventa di pubblico dominio, può essere ristampato e distribuito senza dover ottenere l’autorizzazione dall’autore originale.
Il nostro programma consente la vendita di contenuti di dominio pubblico; tuttavia, potremmo chiederti di fornire la prova che i contenuti che hai inviato siano effettivamente di dominio pubblico. I contenuti di dominio pubblico già disponibili attraverso il nostro programma o altri siti di vendita al dettaglio potrebbero essere rifiutati. Se nel nostro negozio è disponibile una versione gratuita di un titolo di dominio pubblico, pubblicheremo solo una versione differenziata.”
Ma esiste su Amazon una edizione della “Commedia” a prezzo zero? Certo, questa:
Hanno messo in linea la digitalizzazione di un’opera di Delio Tessa, importante poeta dialettale milanese. Non lo conoscete? Cazzi vostri.
L’opera si intitola “L’è el dì di mort, alégher!“. Cioè, all’incirca, “E’ il giorno dei morti, state allegri!”
La certosina cura biblioteconomica di Liber Liber porta a fornire il titolo (ovvio!) dell’opera e il suo titolo per ordinamento.
Che non è altro che la notazione con cui le biblioteche “schedano” alfabeticamente il titolo dell’opera.
Secondo Liber Liber la notazione sarebbe: “è el dì di Mort, alegher! (L’)”
In una biblioteca, un’opera il cui titolo comincia con un articolo, viene schedata con la prima parola successiva.
Per esempio, in un catalogo bibliotecario, trovate “L’albero del riccio” di Antonio Gramsci alla voce “albero (L’) del riccio“. O, anche, sotto “albero del riccio (L’)“. Che non cambia molto le cose.
Ecco perché le opere il cui titolo comincia con “L'” non si trovano sotto la L. Semplice.
Come è semplice constatare che quel “L'” in milanese NON E’ un articolo determinativo, ma un pronome personale (pleonastico, certo). Quindi, nelle biblioteche QUELL’opera viene catalogata sotto la L e non sotto la E.
Del resto nemmeno lui ha scritto più di molti argomenti, impegnato com’era a occuparsi della Cristoforetti, di AstroSamantha, di “Sam”, della prima donna italiana comandante di una missione spaziale, e dell’astronauta a cui è stata dedicata una Barbie.
Oggi però mi è capitato sott’occhio un suo post. Lo trovate in copia permanente qui: https://archive.ph/gOZBN
Si intitola “Perché “Il Disinformatico” (1) ora è sempre in formato podcast a voce singola?”
Capirete che sono domande di spiccata, anzi, spiccatissima pregnanza esistenziale.
Dice il “figlio culturale” di Piero Angela:
“È un po’ che mi riprometto di scriverne pubblicamente e rispondere in dettaglio a una domanda che mi viene fatta molto spesso: come mai il Disinformatico da marzo 2021 (specificamente dal 19) non è più in diretta e in studio con un animatore o un’animatrice, in formato chiacchierata e disponibile anche in video, ma è un podcast puro nel quale parlo (quasi sempre) solo io? E come mai non torna al vecchio formato?”
Ma certo, è evidente e lampante che davanti a domande così la gente lo fermi per strada per farsi togliere questo dubbio amletico dalla testa. E anche questi son disagi, sapete?
Fatto sta che, su Twitter, il Nostro ha postato un sondaggio sull’annoso tema. Alla domanda “Preferite “Il Disinformatico” com’è ora (voce singola) o come era prima (a due voci)?” era possibile votare per tre opzioni:
a) Com’è ora b) Com’era prima c) E’ lo stesso.
Hanno votato in almeno 851. Cioè NIENTEMENO che lo 0,20% dei suoi seguitori su quella piattaforma. Un successone, non c’è che dire.
Che avrebbe potuto essere molto, ma molto più partecipato se solo fosse stata offerta una quarta opzione: “M’importa una sega!”
Lì sì che sarebbe stato un plebiscito!
(1) E’ la trasmissione curata da Paolo Attivissimo per la Radio Svizzera di lingua italiana.
(da cantarsi sull’aria di “Io sono il boss” di Roberto Benigni)
Sono il fact-checker,
il traduttore,
io ciò la Tesla con l’elettrico motore.
Sono il Topone,
e, senza pretese,
mai come me nessuno sa la lingua inglese.
Io scrivo libri
– non fo’ per dire –
e poi li vendo anche a quarantamila lire,
ciò il mio maniero,
con gli armamenti
son digitale e ho tanti riconoscimenti.
Cristoforetti è amica mia
ma pensa te che sorte e che buona fortuna!
Lo dico a tutti
ci ho scritto un libro,
ch’è proprio vero, siamo andati sulla Luna!!
Smonto i complotti,
non dir di no,
terrapiattisti, e anche Rosario Marcianò…
anche alla radio son conduttore
faccio programmi e sono sempre il più migliore.
Io sono magro
non son sono pingue
su Wikipedia ciò anche il mio diploma in lingue.
E’ un privilegio
che ho solo io
e me ne frego del diritto all’oblio.
Quello che smonto
non vale niente
perciò lo salvo anche in copia permanente.
So tutto io,
povere zecche,
di fantascienza, spazio ed anche di Startrècche.
Io ciò il CiCAP,
son presidente,
non credo in nulla e vado avanti eternamente,
non voglio storie e né conforti
scrivo per “Science” che ho visto perfino i morti.
Son io lo scoop
son la primizia,
son solo io quello che diventa notizia.
Non vi stupite
se sono angloide
m’han dedicato il nome di un asteroide!
Superlativo
e senza accento,
io ciò un cognome ch’è del mille e trecento,
e se mi vuoi, piaccia o non piaccia,
mi devi offrire un po’ di pizza e di focaccia.
Io posto tutto
ciò che è spaziale
di Piero Angela sono il “figlio culturale”,
io posto tutto e non mi stresso
poi posto il mondo,
sarebbe a dir posto me stesso!
Nel 2020, Liber Liber, in un articolo intitolato “10 milioni di grazie” (che trovate in copia permanente a questo link: https://archive.ph/0oSJa) riferì di avere “superato la soglia dei 10 milioni di visite (10.495.771 per la precisione)“.
Tuttavia, la versione podcast dell’articolo, letta da “Soprapensiero”, riferisce “diecimilaquattrocentonovantacinque”, come si può ascoltare qui:
Nello stesso anno, i contribuenti italiani che optarono per la donazione del 5xMille a Liber Liber furono 401 (quattrocentouno), pari allo 0,00038205% del totale delle visite riferite.
Il totale dei proventi ricevuti corrisponde a 13930,22 euro, come risulta dal seguente estratto
da questo documento (fonte: Agenzia delle Entrate):
Direi che Wikimedia Italia, la componente italiana di Wikimedia, che supporta il progetto della Wikipedia in lingua italiana, non se la passa poi tanto male.
630.860,71 euro nel 2020 (bilancio 2021), cui si sommano 39.676,65 euro nel 2020, con un aumento, dichiarato “lieve”, di 8000 euro nell’anno successivo.
Chi vi viene periodicamente a chiedere la donazione di due euro, l’equivalente di un caffè, per poter sopravvivere e offrire ancora gratuitamente i contenuti di Wikipedia, ha ricevuto, dal 1 luglio 2020 al 30 giugno 2021 un totale di oltre 168 milioni di dollari di introiti, di cui oltre 153 milioni di dollari in donazioni.
Pensateci, la prossima volta che consultate l’enciclopedia “libera”.
Nulla da dire sulla sua attività di divulgatore, presentatore, sceneggiatore, pianista, esperto di musica jazz, scacchista.
Non c’erano dubbi che Paolo Attivissimo ne postasse un ricordo che potrete trovare qui: https://archive.ph/lOFLC. Su questo sì che c’è qualcosa da dire.
“Io sono uno dei suoi tanti figli culturali. Gli devo praticamente tutta la mia forma mentis e la mia carriera (…)”
e poi
“Mai avrei immaginato che io, cresciuto come milioni di telespettatori “a pane e Piero Angela”, un giorno avrei avuto l’onore non solo di incontrarlo, chiacchierare con lui e sentire la sua forte, ruvida stretta di mano e il suo spiazzante “diamoci del tu””
C’è tutto in queste righe.
A partire da quel “io sono uno dei suoi tanti figli culturali“, che effettivamente mette un po’ in imbarazzo. Tutti, nelle rispettive attività professionali o di studio abbiamo avuto dei maestri che ci hanno insegnato qualcosa. Anche noi abbiamo imparato da qualcuno. Ma il pensiero di somma gratitudine che ci unisce a costoro non ci autorizza a considerarci loro “figli culturali“. E poi la “carriera“. Qui non si sa a cosa Paolo Attivissimo si riferisca. Se alla sua attività di esperto di privacy (!), di giornalista informatico, di giornalista tout-court, di autore di libri che si faticano a trovare perfino nei remainders, di esperto in allunaggi o in chissà cos’altro. Di certo c’è che per iscriversi a un sindacato di giornalisti svizzero non occorre certo invocare la paternità culturale di Piero Angela.
E poi, l’accennare a quel vago concetto di amicalità. Come se il fatto che Piero Angela gli abbia detto di dargli del “tu” lo autorizzasse a considerarlo una persona “intima“. Anch’io do del “tu” a tante persone. Ma con molte di loro non ho mai condiviso neanche un caffè al bar.
Ma c’è di peggio, e cioè che questa notazione di amicalità insinua una implicazione successiva. E cioè che il fatto di essere un “figlio culturale” e avere una certa confidenza di facciata con Piero Angela, significhi “io sono un po’ come lui“.
E per essere come Piero Angela direi che c’è da mangiarne di pastasciutta!
Io sono amico di scuola di un eccellente direttore d’orchestra ed esperto di musica barocca. Ho imparato molte cose sulla materia da lui. Ci diamo del tu. Ce lo siamo sempre dati. SOLO per questo io dovrei ritenermi un pochino esperto? Posso parlare di Vivaldi, Haendel, Veracini come lo fa lui? Posso dirigere a mia volta, se non un’orchestra barocca, almeno una banda cittadina? Suonare il thiorbo? Il liuto? Magari sì. Dopo aver completato gli studi al conservatorio, però.
Non si diventa autorevoli per osmosi. Nossignori. Perché non ci sono dubbi che qualcuno ci abbia insegnato molto. Ci sono, invece, molti dubbi che quelle nozioni e quel metodo di studio o di indagine noi li abbiamo effettivamente imparati.
Instagram ha bloccato, ma temporaneamente, per fortuna, l’account di Paolo Attivissimo. Ma non vi preoccupate. Egli è riuscito, in men d’un amen, con i potenti mezzi che ha solo lui (SMS) a ripristinare il tutto. Cioè a fare quello che gli è stato permesso di fare. Devo dire che ci vuole fegato.
Naturalmente il disagio di cui sopra (immagino che una roba del genere non sia mai accaduta a nessuno) si è trasformata in notizia. Del resto, se la divulga un “giornalista informatico”, c’è poco da mordere.
Perché la libertà di espressione deve essere garantita a tutti, e Mark Zuckerberg non può permettersi di imporre le sue regole a casa sua. Egli deve dargli la possibilità di postare quello che vuole a esclusivo beneficio dei suoi 3936 followers. Soprattutto gatti. Gatti del giorno, mici, felini, gatti a tonnellate, a piovere, insomma.
Perché i gatti sono importanti. Non si vive senza i gatti. Chissà quante persone non possono vivere se non si svegliano con l’aggiornamento della rubrica “Il gatto del giorno” e Instagram, incurante di cotanta soffenza umana, gli banna temporaneamente l’acconto. Tsè!!!
E’ abbastanza naturale che ogni volta che si sia tentati dal dare ragione a Paolo Attivissimo si finisca inevitabilmente per dargli torto.
A meno di non avere gli occhi foderati di prosciutto ed essere totalmente privi di senso critico.
Ha criticato, giustamente, la redazione di RaiNews per aver tradotto in maniera bislacca il titolo della canzone di John Travolta e Olivia Newton-John “You’re the one that I want” con un improbabile “Non puoi avere tutto quello che vuoi”. Trovate una copia permanente del suo articolo qui: https://archive.ph/aEx5O
Va quasi tutto bene. RaiNews ha cannato.
Ma quello che indigna Paolo Attivissimo è che ci sia gente, all’interno delle redazioni giornalistiche, che non sappia l’inglese. Cioè l’altra sua lingua, quella che lui, al contrario, conosce a menadito (è l’unico ad essere “diplomato in lingue”, secondo Wikipedia, tutti gli altri o hanno una maturità linguistica o hanno una laurea). E che considera la lingua delle lingue, la regina incontrastata della comunicazione verbale.
Scrive:
“(…) per gli increduli che non riescono a capacitarsi che la Rai faccia scrivere i suoi tweet a qualcuno che non sa l’inglese (l’inglese, non l’urdu o il tagalog) ma è convinto di saperlo.”
Insomma, l’inglese, la lingua veicolare per eccellenza, e che diàmine! Mica l’urdu. Che è parlato soltanto da 233,3 milioni di persone nel mondo. E che è lingua veicolare anche lui, anzi, lingua franca per l’esattezza, ma in Pakistan. Conta qualcosa il Pakistan? Macché. Inglese ci vuole.
E il tagalog? Oh, robetta. La parlano appena 15 milioni di persone, nelle Filippine. Un frate australiano, tale Leo James English (che, appunto, ironia della sorte, si chiamava English di cognome) ha redatto il primo dizionario di tagalog, realizzando un’opera lessicografica che ha fatto storia? Bah, bazzecole, rispetto a Google Translator.
Perché il consiglio finale dato da Attivissimo a questi signori dalla traduzione approssimativa non è quello di studiare, come sarebbe necessario e inevitabile, no. E’ quello di usare la panacea di tutti i mali, di tutti i dubbi, di tutte le ignoranze.
Una donna cinese, tale Zhemao, si è spacciata per anni come ricercatrice storica dell’Università di Mosca e per tutto questo tempo non ha fatto altro che riempire la sezione di Wikipedia dedicata alla storia russa di panzane, dati storici inventati e inesistenti, cartine farlocche, mappe improvvisate lì per lì, citazioni bibliografiche frutto di un lavoro certosino di falsificazione.
Le voci che scriveva (non so se nella sua lingua madre, il cinese, o direttamente in russo) venivano tradotte nelle versioni linguistiche più disparate dell’enciclopedia più inaffidabile del mondo. E la falsa ricercatrice riceveva anche degli elogi da parte degli amministratori che, pirloni come sono, hanno colto la palla al balzo e non se lo sono fatti ripetere due volte. Del resto, dove la trovi una che ti riempe centinaia di voci ogni giorno di sacrosante cazzate?
Fatto sta che un certo John Yip, un pezzo da 90 della Wikipedia cinese (dev’essere una soddisfazione immensa esselo) , all’inizio di quest’anno le ha conferito (non si sa con quali titoli accademici) un riconoscimento per l’opera altamente meritoria e abbondantissima, con cui aveva ingrassato l’ignoranza collettiva, oltre che la sua.
Una voce di Zhemao era talmente perfetta che è stata validata (chissà cosa vuol dire) e messa nella “Vetrina del giorno“. Sono cose che farebbero piangere dalla commozione anche un uomo grande, sapete?
Ma i solerti
“wikipediani, allertati da un articolo pubblicato da Yifan [scrittore cinese, ndt], hanno così avviato un lungo e laborioso processo di eliminazione e correzione dei falsi perpetrati da Zhemao.”
Perché loro sono dei draghi, mica si fanno bagnare il naso, sapete? Mentre Zhemao perpetra. Lei perpetra.
E comunque
“La presenza per ben dodici anni di queste informazioni false su Wikipedia, con tanto di encomio alla falsaria, ha minato in parte la credibilità dell’enciclopedia, secondo alcuni commentatori e autori di Wikipedia stessa.”
E vorrei anche vedere il contrario!
Sono decenni che Wikipedia, che a me non è mai servita a un benemerito, se non a far quattrini, si dà la zappa sui piedi. Qualcuno ricorderà certamente la presenza sulla versione francese di una voce dedicata a Léon Robert de l’Astran che non è mai esistito, la cui opera (chiaramente inventata) fece perdere le elezioni a Ségolène Royal.
Infine:
“viene da porsi una domanda di fondo: come facciamo a sapere che quello che sappiamo è vero e reale?”
Semplice. Basta non usare Wikipedia. Un carrozzone ingobrante e dedito al servizio dell’ignoranza, del pettegolezzo e dei dati giudiziari delle persone, messa sotto scacco per oltre un decennio da
“una casalinga cinese annoiata e sola.”
Un genio, Zhemao. Un genio assoluto. Altro che casalinga annoiata!
E indovinate da dove vengono i virgolettati di questo post.
Paolo Attivissimo, stavolta, si chiede e chiede ai suoi lettori (quindi anche a me): “Paghereste un canone di abbonamento per poter scaldare i sedili della vostra auto?”
E aggiunge che con BMW si può. E va be’ tanti saluti e sono.
Ma che razza di domanda è? E’ utile alla conoscenza? E’ determinante per gli equilibri psicosociali dei lettori? Fornisce un contributo fattivo all’informazione globale? Mi pare proprio di no. Anzi, ne sono pressoché certo.
E, comunque, sì, BMW permette agli acquirenti delle loro automobili, la possibilità di acquistare degli splendidi scaldasedili, che non so come funzionino e, francamente, m’importa un belino.
Perché sta all’utente finale scegliere se comprarlo o no. Magari un fanatico delle BMW soffre di mal di schiena e un po’ di tepore potrebbe giovargli, che ne so? Magari ha una moglie freddolosa e lo fa installare sul sedile del passeggero. O, ancora, è freddoloso lui e ha la libidine dello scaldasonno in macchina.
Personalmente, non avendo una BMW il problema (sempre ammesso che sia un problema) non me lo pongo. Né mi riguarda. Se devo comprare qualcosa (e pare che l’ammennicolo in questione costi anche abbastanza caro) non guardo mai al prezzo o alle prestazioni di un prodotto rispetto al suo prezzo, ma al fatto che mi serva o non mi serva.
E se qualcosa mi serve o no lo decido io, non un debunker. E che cazzo.
L’iPhone non mi serve. Una bicicletta nuova sì. E allora mi compro la bicicletta e ci vo’ a zonzo. Problemi? Non credo. Con buona pace dei superlativi.
E va be’, il “selfie” di Samantha Cristoforetti dallo spazio con l’Europa alle spalle era farlocco.
Ma stavolta Paolo Attivissimo e David Puente, con l’appoggio esterno della coalizione parlamentare capitanata da Juanne Pili, lo hanno annunciato pressoché all’unisono.
E’ fuffa, rumenta, robaccia.
E la colpa è tutta di quei cattivacci dei giornalisti (come se loro avessero il banchetto della frutta e della verdura al mercato) che, rimbalzandolo, inducono il lettore a ritenere giusto quello che giusto non è. E meno male che ci sono loro a ristabilire la verità e a ricondurre noi poveri mortali sulla retta via, se no non sapremmo come fare. Turlupinati, smarriti e ignoranti come siamo.
E’ un fotomontaggio? Sì, e anche piuttosto maldestro e raffazzonato. Lo riconoscerebbe anche mia figlia che ha sei anni.
Ma, invece, tutti in coro a difendere la loro Musa ispiratrice. Da che cosa, poi, non è dato saperlo. E’ un reato? Non mi risulta. ma può darsi che mi sbaglio, loro avranno, in ipotesi, dato l’esame di Diritto Penale all’Università. Io certamente no.
Però, come tutti, alcuni rudimenti di storiografia li ho anch’io. Pare impossibile. E so che un documento o è vero, o è falso. E, se è vero, o il suo contenuto è vero o il suo contenuto è falso. Tertium non datur.
Per cui, l’immagine contestata è indubbiamente vera (è dimostrato che risale al 2016 e che qualche buontempone l’ha tirata fuori dalla naftalina, le ha fatto prendere aria e l’ha rimessa in circolazione, per vedere di nascosto l’effetto che fa). Quello che è falso è il suo contenuto. Perché vedere la Signora con una boccia dei pesci rossi in capo, farebbe venire più di un dubbio a chiunque.
Ma tutto questo, la diffusione della catalogazione del fatto come “bufala“, voglio dire, a chi giova? A nessuno. Ed ecco la risposta.
Che posso dire alla Signora Cristoforetti? Solo di avere pazienza. E che l’aspetto. Volentieri.
non avendo ricevuto alcuna risposta all’interpello preventivo e dovuto nei confronti di Paolo Attivissimo entro i 30 giorni dalla presentazione (22 maggio 2022) ho provveduto a inoltrare regolare reclamo al Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Non si capisce, infatti, come una persona che vanta sul suo curriculum
“Esperienza di consulente in sicurezza informatica, tecniche di penetrazione e persuasione online, crittografia, difesa della privacy (…)”
scriva, poi, sul suo sito (in hosting in Francia, Unione Europea)
“Questo sito non usa cookie di nessun genere e quindi non ha bisogno di stupidi e inutili avvisi salvaprivacy.”
Personalmente spendo 157 euro al mese in consulenze e servizi per adeguare i miei siti alla normativa. Non dico che il minimo che possa fare è spenderli anche lui, perché se sa farlo senza spendere una lira, bravo, ben venga. Ma la mancata risposta nei termini stabiliti mi legittima all’esercizio dei diritti.
Per il resto lo so benissimo che non ha tempo, che vive in Svizzera, che ha la Tesla, che conosce l’inglese, che va in mongolfiera, che non può rispondere a tutti quelli che gli scrivono. Solo che non dovrà più dirlo a me. O ai suoi lettori. Ma a qualcun altro. Ed, eventualmente, spiegargli anche perché, secondo lui, contro lo spamming le leggi sarebbero “una contromisura assolutamente inutile“, come scrive qui:
Oh, alla fin della fiera Paolo Attivissimo è sceso dalla mongolfiera ed è tornato tra noi mortali.
Per la verità ha preso il treno. Lugano-Milano. Se lo ha preso a Barbengo vuol dire che è un locale. Eh, cosa volete, sono eventi di primissimo ed essenziale interesse, che ognuno di noi deve sapere e condividere.
Il treno… ma pensa te! No, non lo ha mai preso nessun’altra persona, in previsione del fatto che arrivasse lui e che avesse diritto, come di fatto lo ha, allo jus primae noctis sul traffico ferroviario italo-elvetico. Del resto lui vive in Svizzera, ha visto i morti, è andato in mongolfiera, quindi fate largo.
Scrive:
“Dicono che bisogna usare i mezzi pubblici.”
Diciamo che sarebbe un’operazione virtuosa. Ma non obbligatoria. Ha sempre la sua Tesla superaccessoriata.
E poi:
“Sono sul treno Lugano-Milano. Fermo in frontiera perché il personale ferroviario italiano non c’è e non si sa quando arriva. Che bel biglietto da visita per il paese.”
Oh, insomma, si trova alla frontiera tra un paese non-UE e uno UE, si diano una smossa e lo facciano passare, lui che non ha tempo da perdere. Come si permettono quelli del personale ferroviario di ritardare il suo prezioso incedere, il suo pie’ veloce, la sua golosità per pizza e focaccia sovvenzionate dalle donazioni dei lettori?
Che poi “Che bel biglietto da visita per il paese” ‘sto par de ciùfoli. Di quale paese parla? Di quello in cui vive, in cui tutto funziona cronometricamente, in cui quasi nessuno prende multe per eccesso di velocità, in cui nessuno butta le cicche per terra, dove tutti mangiano cioccolato, dove ci sono le colonnine per rifornire le auto elettriche? O dell’Italia, dove quando arrivano gli svizzeri corrono sull’autostrada come ossessi, lanciano le cicche per terra in segno di civiltà, affogano in trenta centimetri d’acqua di mare e si lamentano di dover pagare la tassa di soggiorno?
Perché è chiaro come il sole che se uno viene in Italia solo per ingozzarsi di pizza e focaccia (a volte ha anche ammesso di aver consumato bucatini all’amatriciana, specialmente nel suo periodo boldriniano, ma a sue spese) e poi sputa sui servizi pubblici (che fanno parte dello stesso piatto in cui mangia) qualche ragione c’è.
E’ svizzero? Benissimo, allora che se ne stia nella Confederazione, e se proprio vuole che i treni arrivino in orario sappia che qui in Italia, “Quando c’era lui” capostazione, abbiamo già dato e che non ci serve nulla.
Quanto è durato questo tragico disservizio? Lo hanno calcolato i suoi followers: ben 2 minuti. Chi la spara più grossa parla di 10 minuti. Praticamente eoni.
Assolutamente intollerabile, comunque. O, quanto meno, meritevole di quattro tweet. Perché tutto il mondo deve sapere. Come si fa ad andare a letto tranquilli senza sapere che il treno di Paolo Attivissimo è stato rilasciato libero di raggiungere (peraltro in orario) la destinazione finale con un ritardo variabile dai due ai dieci minuti??
Vengono in mente le scene di “Pane e cioccolata” con un impareggiabile Nino Manfredi. Ma, soprattutto vengono i brividi per l’uso così ingiusto e ingiustificato dei soliti stereotipi sull’Italia e sui suoi “biglietti da visita”. I treni che non sono mai in orario, appunto. Ma via di questo passo si può arrivare, per equazioni successive e per gradi, agli italiani che gesticolano, la pizza, gli spaghetti, la pummarola ‘n coppa, ‘o mare, ‘o mandolino, ‘na nenna core a core e una canzone pe’ cantà’. A quando la mafia, la camorra e l’altra criminalità organizzata? No, perché sono stereotipi anche quelli.
Ah, come sono approssimativi gli italiani! Guarda lì, fanno anche due minuti di ritardo (eh, per forza, eravamo a suonare il mandolino…).
Qualcuno gliene canta quattro, come ad esempio qui:
Una menata per dieci minuti, colpa al personale italiano e poi il macchinista è svizzero… Il senso che vedo nel tweet è solo quello di parlare male dell’Italia per raccogliere il favore di chi si lamenta di default
E lui che fa? Naturalmente blocca. Come, ad esempio, qui:
Bloccare su Twitter è una operazione estremamente ingenua, oltre che inutile. Chiunque, anche i non iscritti a Twitter possono leggere. L’unica limitazione è il non poter commentare. Su Twitter. Perché poi, per il resto, chiunque può commentare tutto ovunque.
Se ne faccia una ragione il Signor Biglietto-Da-Visita. E faccia quel che deve. Se no, tra sei giorni lo faccio io.
Nella rappresentazione pubblica di Paolo Attivissimo, nella sua vulgata, c’è anche la sua attività di traduttore.
Perché non lancia solo bigliettini dalla mongolfiera. Lui traduce.
Tra le sue qualifiche (dichiarate qui) figura quella di “traduttore tecnico“.
Per sgombrare il campo da ogni dubbio, e subito, bisogna chiarire che Paolo Attivissimo ha un diploma di maturità linguistica e nessun altro titolo che lo abiliti alla professione di traduttore (laurea in lingue e letterature straniere o alla scuola per traduttori e interpreti).
Qui si pone un problema molto serio. Se una persona bilingue che ha tradotto qualcosa nella propria vita può fregiarsi della qualifica (come la chiama lui) di traduttore, siamo tutti fregati.
Le parole sono importanti. I titoli molto di più. Io sono laureato in lingue. Ho tradotto alcune cose (poesia, soprattutto). Ma NON sono un traduttore. Ho imparato a dare le iniezioni. L’ho fatto alcune decine di volte. Ma NON sono un infermiere. Né, tanto meno, un medico. Così come non sono un giornalista per il solo fatto di aver scritto 5500 interventi su questo blog.
Una persona non può essere un insegnante di scienze motorie solo perché tiene corsi di yoga da cinquant’anni. Eppure Attivissimo chiama “conferenze” (addirittura!) i suoi incontri nelle scuole e nelle assocazioni.
Nel febbraio scorso Attivissimo ha partecipato a un evento organizzato dalla Associazione Astrofili Bolognesi, ufficialmente, dice:
“per parlare di Forever Young, l’autobiografia dell’astronauta lunare John Young che Cartabianca ha tradotto in italiano e al quale ho contribuito per la parte tecnica e terminologica.”
E’ ovvio, però, che Attivissimo punto in alto. ma molto, molto più in alto.
“Si parlerà di traduzione letteraria”
afferma (vedi screenshot)
Ora, però, si dà il caso che oltre a non avere titoli di nessun genere, a parte la succitata maturità, Paolo Attivissimo abbia confuso i peperoni con i carciofi. Perché l’opera alla cui traduzione ha collaborato (collaborato, non eseguito) NON E’ letteraria.
E’ normale e giusto che sia così. Un’autobiografia non è letteratura. A meno che non ci si chiami Gianbattista Vico o Carlo Goldoni. E, dunque, non è questo il caso.
Spacciare un genere di consumo per pochi adepti per “letteratura” è incauto e maldestro. Perché se John Young viene equiparato a James Joyce (solo per fare un nome), allora TUTTO è letteratura e NIENTE è ciarpame letterario. Neanche, tanto per fare un altro esempio, la “Guida galattica per gli autostoppisti“. Che, infatti, è un testo che ha dignità editoriale ma NON valore letterario.
Se Paolo Attivissimo avesse conseguito un titolo di studio superiore a quello in suo possesso, si sarebbe accorto, e nemmeno tanto tardi, ma comunque acquisendo competenze nuove che una istruzione linguistica superiore non fornisce, di quanto sia delicato e complesso occuparsi di letteratura e scinderla dai prodotti di massa (Carolinia Invernizio scriveva letteratura o intrattenimento? Mah…)
Ma la cosa che preoccupa, nella vulgata suddetta, è che Paolo Attivissimo si autoattribuisca delle “qualifiche” che, semplicemente, non ha. Non si è traduttori solo per aver vòlto in o dall’inglese un manualetto di un forno a microonde. Non si è “giornalisti” solo per aderire a un sindacato d’Oltralpe. Non si è “informatici” se non si sa riconoscere una diffamazione da un attacco hacker. Non si possiede un “diploma in lingue” solo perché Wikipedia lo scrive. E non si è esperti in aeronautica solo per aver tradotto dei termini tecnici. No, questo proprio no.
Paolo Attivissimo non è certo una “autorità” in queste materie. E questo è assodato per tabulas. Nella sua tanto denigrata Italia, che lo fa arrivare con ben due minuti di ritardo sul treno da Lugano, avrebbe potuto chiamarsi “giornalista” in presenza di una sua iscrizione, anche solo come pubblicista, all’Ordine, così come avrebbe potuto dirsi “traduttore” solo alla fine di un specifico corso di studi e/o di specializzazione.
Quello che, infine, risulta profondamente antipatico nelle sue giustificazioni è l’asserire di essere cittadino svizzero e di dover rendere conto solo ed esclusivamente alle autorità elvetiche. Non è vero. Se è vero, come è vero (gioco di parole), che elegge un domicilio digitale certificato (PEC) sul territorio italiano.
Poi, per il resto, parla inglese, vede i morti, va in pallone, ha la Tesla, ama i gatti, la pizza, la focaccia e non ha tempo. Sì, sì, certo, certo…
Ma sì, ma chi può mai togliere a Paolo Attivissimo un cappellino in testa, uno smartphonino, un collegamento internet (che, dice lui, funziona anche a 1500 metri -ma va’? Anch’io ho uno smartphone e quando vado a Campo Imperatore, qui vicino, funziona perfettamente anche a quota 2500!), un blog, tante fotine da pubblicare, un binocolo, una diretta su Google, ma, soprattutto, il diritto di trasformare se stesso in una notiziona?
Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
Domattina, domenica, puntate la sveglia alle 5,45, lavatevi i piedi perbenino, fate colazione e poi tutti fuori all’aperto col nasino all’insù.
C’è un’eclisse? La Luna piena? Una stella che si vede a occhio nudo? No, cari i miei babbioni, molto, ma molto di più e di meglio.
C’è Paolo Attivissimo che va su per aria in mongolfiera! Non solo, ma si porta dietro anche lo smartphone. E i più pigri o assonnati potranno agevolmente seguire l’evento da Google Maps, cosa che, evidentemente, non era mai capitata a nessuno. Sì, avete capito bene, l’evento sarà trasmesso in diretta in mondovisione. Prima di lui solo i giochi olimpici. O il concerto di Capodanno. O la benedizione Urbi et Orbi.
Dopo aver parlato per anni dei suoi amici astronauti, AstroCoso, AstroTale e AstroTalaltro, tutti impegnati in eroiche imprese nello spazio, adesso anche lui emulerà le nobili gesta del Signor di Mongolfier e, scaricata la zavorra, si leverà dalla vile Terra per guardarla dall’alto, col binocolo al séguito, meglio di Phileas Fogg.
Che, in realtà, è un po’ come andare ai Grandi Magazzini con la voglia di comprarsi una Ferrari e uscire con una radiosveglia, e convincersi che sempre meglio di un calcio in culo sarà.
Chi era Jules Verne quando scriveva “Cinque settimane in pallone“? Una mezza calzetta! E Vincenzo Monti che elogiava il pallone aerostatico nei suoi versi immortali, paragonandolo a Giasone che fende i seni a Teti? Un dilettante!
Oddio, farebbe bene, anzi, meglio, a rispondere agli interpelli preventivi sulla privacy. Ma lui non ha tempo. Vive in Svizzera. Ha la Tesla. Parla inglese. Si occupa di traduzione letteraria.
E voi guardatelo, mi raccomando. [Ciavessi altro daffà’!!]
riportavo alcune citazioni di Paolo Attivissimo. Che dopo aver tenuto una conferenza sulla traduzione letteraria, perché ha tradotto il libro di memorie di un astronauta (non si tratta di “letteratura”, quindi), ha pensato di coniare un neologismo.
E il bello è che ne dà anche la definizione. Chissà, magari la Crusca o la Treccani potrebbero essere interessate:
Checcevoismo, s.m. Atteggiamento delle persone che credono che il lavoro altamente professionale e sofisticato di qualcun altro sia facile e che sarebbero in grado di farlo anche loro e pure meglio. Etim. Romanesco “che ce vo’”, “che ci vuole”, sarcasmo usato per affermare che un dato compito è ritenuto facile.
Anche se dubito fortemente che gli Accedemici potrebbero mai accettare un’espressione come “e pure meglio”!
Ho scoperto i canali Telegram. O, meglio, sapevo già della loro esistenza, ma li ho sempre snobbati con sussiego e supponenza.
Oggi (anzi, ora) ho capito a che cosa servono. A farsi pubblicità, che altro? E va bene, per carità, va bene così, ci mancherebbe.
Ma i debunker ce l’hanno un canale Telegram dove amplificare il loro pensiero e, a volte, le loro bufale sulle bufale? Certamente!
Solo che i risultati sono curiosi, anzi, curiosissimi.
Come è ovvio David Puente e Paolo Attivissimo non potevano mancare. In fondo si tratta di palcoscenici e i palcoscenici accolgono le vedettes.
Ma non ci interessano i palcoscenici. Bensì i dati. Un debunker che dichiara al fisco dei social network 418000 e passa followers (Paolo Attivissimo su Twitter) e un altro che ne ottiene poco più di 59000 (David Puente, sempre su Twitter), quanti ne avranno nei loro canali Telegram?
Ecco qui:
David Puente si ferma a 1474. Buon risultato per un vicedirettore di una testata nazionale.
Mentre, fanalino di coda, resta il buon Superlativo (o “Superlattivo” che dir si voglia). Appena 280 subscribers. Ma non era quello che aveva quasi mezzo milione di follower, che conta decine se non centinaia di commenti sul suo blog, quello che la gente va a casa sua a portargli cassette di birra bavarese, o che gli fa le donazioni per permettergli di acquistare tranci di pizza e di focaccia?
Possibile che fra tutti questi benemeriti ci siano solo 280 persone disposte a seguirlo su Telegram?
Si possono commentare i post di Attivissimo sul suo canale? ma neanche per sogno, cosa vi viene in mente??
E il canale dei feed RSS del blog? C’è anche quello. E quanti subscribers ha? Trentacinque!
Loro non molleranno mai. Anche perché ormai non gli conviene più.
Non perde il suo proverbiale ottimismo e fiducia nella tecnologia. Soprattutto quella della sua Tesla usata. Ma adesso ha una zanzarina che gli ronza intorno.
Il fatto: un suo lettore lo ha avvisato che durante “un webinar registrato organizzato dal dipartimento di scienze della comunicazione e dello spettacolo dell’università Cattolica del Sacro Cuore“, e segnatamente, nell’intervento di un “addetto” del Garante della Privacy, sono stati mostrati come “esempi negativi per la categoria blog il sito https://attivissimo.blogspot.com/” e un’altra risorsa web.
La negatività riguarderebbe le “nuove linee guida sui cookie dei siti web valide dal 10 gennaio 2022“, che obbligano chiunque detenga una risorsa in rete a dotarsi di una privacy policy, una cookie solution, e, auspicabilmente, dei termini di servizio e un registro dei consensi per le accettazioni delle clausole relative.
In caso di mancata, parziale o inadeguata ottemperanza, si rischiano multe da 6000 a 20000 euro. Ed è questo che gli ha fatto saltare la mosca al naso. Perché sui principii siamo tutti bravi a pontificare. Ma quando si tratta di cacciare il portafogli poi è dura per tutti.
Le reazioni e le considerazioni di Attivissimo? Eccole:
“Preoccupante. Ma è passato ormai un po’ di tempo, e qui al Maniero Digitale non sono arrivate né comunicazioni né tanto meno multe da seimila euro da parte del Garante italiano. La cosa non mi sorprende più di tanto, perché vivo appunto in Svizzera e il blog viene redatto e gestito da qui”
Il Garante della Privacy può prendersi tutto il tempo che vuole se ha ricevuto una segnalazione e avviato un formale fascicolo. Se, invece, il suo blog è stato oggetto di un reclamo da parte di qualcuno (come è il caso di quello tenuto dal suo collega David Puente), allora c’è tempo fino a un anno.
Chi se ne frega, poi, se lui abita in Svizzera o dove gli pare. Non ha rilevanza. Io posso essere negli Stati Uniti o a Cocoa Beach e scrivere un articolo per questo blog da lì.
Ora, il blog di Attivissimo è ospitato su Blogspot. Che è di Google. Si tratta di vedere chi dei due deve adempiere, eventualmente, agli obblighi prescritti. Io credo che sia lui, perché sarebbe come dire che siccome questo blog è ospitato sui server di Aruba, allora Aruba ne è resposabile. Aruba, Blogspot, Google sono solo degli spazi vuoti su un hard disk, è l’utente finale che li riempe.
E poi, anche solo per precauzione e per mettersi con le spalle coperte, ma se ne vuole occupare? Intanto è assolutamente mancante qualsiasi Privacy Policy, e questo già lo mette a rischio.
Google/Blogspot ha messo un bannerino in cui dice:
“Questo sito utilizza cookie di Google per erogare i propri servizi e per analizzare il traffico. Il tuo indirizzo IP e il tuo user agent sono condivisi con Google, unitamente alle metriche sulle prestazioni e sulla sicurezza, per garantire la qualità del servizio, generare statistiche di utilizzo e rilevare e contrastare eventuali abusi.”
A parte il fatto che le statistiche possono essere rilevate anche in modo anonimo, senza registrare l’IP (questo blog lo fa con Matomo, e se lo uso io è segno che possono usarlo tutti, se vogliono) ma poi “garantire la qualità del servizio“? Da quando in qua si assume un dato personale per questo scopo?
Ma Attivissimo non è contento. Modifica la testata con questa dicitura:
“Avviso cookie: Questo blog include cookie di Google, YouTube, Disqus e Twitter. Non miei.”
e aggiunge
“Spero che sia sufficiente”
No, non lo è. Intanto non c’è nessun link alle Privacy e Cookie Policies dei soggetti citati, e siccome quando vado sul suo blog, quei cookies vengono installati sui miei dispositivi, vorrei sapere a chi devo rivolgermi per la mia sicurezza e per quella dei miei dati. Si chiamano “terze parti” e debbono essere debitamente segnalate. Perché se utilizzano dei cookie di profilazione (ad esempio raccolta di dati per forniture di materiale pubblicitario), l’utente deve poter accettare o non accettare l’informativa.
E poi c’è il problema Disqus. Disqus è una piattaforma che permette di aggiungere a un blog dei commenti non nativi. Di farlo, cioè, attraverso l’account Facebook, Gmail e altro. Benissimo, nulla da dire. Se non che Disqus non è installato di default sui blog ospitati da Blogspot. Ce lo devi mettere ed implementare tu. Come su WordPress. Come su altre piattaforme. Se tu ce lo implementi, poi lo devi dichiarare. Sulla cookie policy e sull’anzidetta privacy policy. Che non c’è. Perché io devo sapere a chi vanno i miei dati.
Attivissimo gestisce anche altri blog su Blogspot. Suo diritto. Ma nemmeno lì c’è uno straccio di Privacy Policy.
E poi, Google o Attivissimo che siano a doversi mettere in regola, c’è un argomento che taglia la testa “al topo” (come dice mia figlia), anzi, al “topone” (Attivissimo chiarisce che è così che lo chiamava sua moglie nel periodo in cui si sono conosciuti. E’ importante? Certo, direi addirittura fondamentale!). Attivissimo è intestatario del dominio attivissimo.net. Dove pubblica delle cose. Il dominio è registrato a suo nome ed è ospitato sui server di un provider francese che si chiama gandi.net. E in Francia il GDPR è perfettamente in vigore. Punto.
Naturalmente su attivissimo.net nessun banner sui coocie e nessunissima privacy policy. Anzi, in fondo alla home page (trovate una copia permanente al link https://archive.ph/s4CHY) si legge quanto segue:
“Questo sito non usa cookie di nessun genere e quindi non ha bisogno di stupidi e inutili avvisi salvaprivacy. Inoltre è navigabile anche a immagini disattivate ed è volutamente scarno e con pochi effetti speciali per non farvi perdere tempo e denaro, ma soprattutto per renderlo compatibile con qualsiasi browser conforme agli standard, compresi quelli dei telefonini.”
A parte l’improbabile e infelice riferimento agli “stupidi e inutili avvisi salvaprivacy” (salvaguardare la privacy non è mai stupido), non è affatto vero che non ci sono cookies di nessun tipo. Ha implementato un codice di Google per la ricerca interna alle pagine del sito. Quindi i cookies ci sono. Ecco lo screenshot:
a meno che non si voglia credere o, peggio, far credere che Google fornisca questi strumenti per gli occhi belli color del mare, ma non siamo bambini.
E, comunque, quando mi sono collegato a attivissimo.net il browser (Opera) mi ha dato questa risposta:
Nel dubbio, comunque, cosa ha fatto? Ha fatto una richiesta di accesso agli atti al Garante per vedere lo stato dell’ipotetico fascicolo, se mai ve ne fosse uno a suo carico? Ha telefonato all’URP per saperne di più? Ha inviato una PEC per stare più sicuro? Niente affatto. Ha pubblicato un tweet, questo:
Chiunque può aprire un account Twitter con l’immagine e il nome di Paolo Attivissimo e chiamarlo @pincopallino o @paoloattivisimo2022. Se uno si rivolge al Garante come minimo gli manda una mail con l’indicazione delle sue richieste e una copia sacrosanta di un documento di identità. Non è che glielo chiedi sui social. Perché è così che funziona.
I commenti? Oh, un delirio.
Un certo magnetic_dud scrive che:
“la legge è stata scritta da analfabeti informatici”
Beh, ne scriva una lui, allora.
Un altro utente gli fa opportunamente notare che
“Devi addirittura avere un log con tutti i consensi accettati”
Il che è vero. E lui, di rimbalzo
“Sinceramente: faccio prima a chiudere il blog.”
Il che potrebbe essere una soluzione. Siccome uno ha un brufolo in fronte grosso come una mela primaticcia gli si taglia la testa e il problema è risolto, chiaro.
E, infine, la perla delle perle, la Summa Theologica. Correggendo un commento di un altro suo utente, Attivissimo afferma:
“Paolo ha scelto una piattaforma anni prima che venisse partorita questa stupida legge sui cookie che non ha ottenuto nessun risultato a parte trasformarci in cliccatori compulsivi su ‘Accetto'”.
Certo, lui il blog lo ha aperto nel 2003. La legge è entrata in vigore il 10 gennaio 2022, e lui o chi per lui devono adeguarsi.
Per dovere di correttezza, preciso che questo blog, che non è altro che un minuscolo puntino nell’universo del web, si affida ai servizi di iubenda.it per l’implementazione di quanto richiesto. Pago 145 euro al mese per tutti i miei siti (o sitarelli). E non è che quei soldi li vado a chiedere a Paolo Attivissimo o a chiunque altro. Non sono un conferenziere, non sono un traduttore pluripremiato, non ho il “diploma in lingue” conferito da Wikipedia, non ho la Tesla, non sono amico di astronauti (anche se devo ammettere che una Signora si è piuttosto incuriosita nei miei confronti, bontà sua!), non ricevo né sollecito donazioni nemmeno per un pezzo di pizza o di focaccia (che, casomai, pago coi miei soldi), non sono mai stato incaricato dal MIUR o dalla Camera dei Deputati per redigere un vademecum su come diventare debunker, Star Treck mi annoia, non amo nemmeno la Guida galattica per gli autostoppisti (“grazie per tutto il pesce“? E che mi rappresenta? E’ importante? No, e allora di che cosa stiamo parlando?), campo del mio lavoro, scrivo libri che sono posti in vendita a prezzi popolari e accessibili (non le 42000 lire di allora per il suo “Da Windows a Linux“, e io, scemo, che gliele ho anche date), mi hackerano il blog ogni cinque anni di media e giù di soldi per rimetterlo a posto, non faccio crociate contro i no-vax, non ho un “Maniero digitale” ma solo due laptop di cui uno ricondizionato, una lavatrice e un frigorifero di seconda mano, se mi scrive un avvocato per qualche rogna o gli rispondo personalmente o gli faccio rispondere dal mio (sempre pagando), non ho visto i morti, non sono un giornalista né mi dichiaro tale, insomma, se riesco a farlo io potrà ben farlo anche lui. O no?? Se no che chiuda baracca e burattini. Un pensiero in meno. Sempre ammesso e non concesso che esista un fascicolo presso il Garante e che non siano stati già acquisiti elementi a suo sfavore. Altrimenti chiudere serve comunque a poco. Anzi, a nulla.
Perché una persona che dal 2003 visualizza un totale di oltre 110 milioni di clic, qualche garanzia ai suoi lettori dovrà pur darla.
Ma lui non mollerà mai. E non gli conviene. No che non gli conviene.
Ho sempre considerato Paolo Attivissimo un vero fenomeno.
Secondo quanto riportato dal Vocabolario Treccani:
“3. fig. a. fam. Cosa o persona singolare, fuori del comune, che desta meraviglia per qualità eccezionali: la tua faccia tosta è un f.; nella matematica è veramente un f.; ha un cavallo da corsa che è un f.; in frasi esclamative, tipo strano, curioso, bizzarro: sai che sei un f.!; che fenomeno!”
La sua fenomenicità (o fenomenologia, che dir si voglia), consiste, essenzialmente, nel trasformare eventi del tutto normali e quotidiani in vera e propria notizia. Di farne, cioè, oggetto di interesse per la pubblica opinione. E, conseguentemente, di assurgere egli stesso al ruolo di personaggio “pubblico”.
Ha la passione per lo spazio e le imprese nel cosmo? E’ una notizia. Ha una famiglia, una moglie, dei figli, dei gatti? E’ una notizia. E’ afono e soffre di una patologia non grave e transitoria all’apparato respiratorio? E’ una notizia. Si compra una Tesla usata? E’ una notizia. Fa il traduttore? E’ una notizia. Vuole andare in mongolfiera? Vede i morti? E’ una notizia. E così via.
E’ l’unica persona di cui io abbia contezza per la quale Wikipedia abbia inventato il titolo di studio “Diploma in lingue”, quando si tratta di una “maturità linguistica”.
Paolo Attivissimo fa, insomma, in tutto o in parte, quello che molte altre persone fanno. Solo che se una Tesla usata se la compra una persona comune nessuno se la fila (la persona, e, a volte, anche la Tesla). Se se la compra lui, tutto il mondo deve sapere.
Ha una forte, anzi, incrollabile fiducia nella tecnologia. Che, evidentemente, utilizza solo lui.
Recentemente ha twittato il fatto che, trovandosi “oltreoceano” a Cocoa Beach, Port Canaveral, ha potuto aggiornare il software della sua Tesla, parcheggiata a 7800 km. di distanza. Un evento, evidentemente. Che può fare solo lui e che càpita solo a lui.
Gli ha risposto un simpatico buontempone dicendogli che lui ha perfino pagato un bollettino mentre era seduto sulla tazza del cesso.
Divertente davvero. E vero, tremendamente vero.
Perché tutti ci muoviamo, ci spostiamo, se non per piacere almeno per lavoro o per interessi personali. Mandiamo un bacio ai nostri figli da New York via WhatsApp o Telegram, scriviamo le e-mail dall’aereo mentre sorvoliamo la Cornovaglia, salutiamo la morosa a 500 km. di distanza mediante in sistema VoIP, ordiniamo del software per il nostro PC pagandolo con la carta di credito sia che siamo seduti nel salotto di casa nostra, sia che ci troviamo in vacanza a Bangkok. Quando ero in ospedale scrivevo alcuni post per questo blog dal mio telefonino, aggiornando i miei lettori sul mio stato di salute. Mai visto niente del genere? Eppure…
La normalità che diventa notizia. Ecco cosa mi spaventa! Il fatto che il gatto che attraversa l’autostrada possa causare un incidente e che di questo incidente si parli come se fosse più importante del problema della fame nel mondo.
E immagino che siano più di una persona quelli che hanno comprato una Tesla usata. O che fanno un bonifico bancario sul loro conto corrente in Italia mentre si trovano a Parigi, Berlino o Copenhagen. Ma sì, anche da Cocoa Beach, se è del caso.
Eppure, questa persona che fa delle cose del tutto prive di rilevanza mediatica (una maturità linguistica è un dato enciclopedico? Non direi proprio.), va nelle scuole a insegnare ai nostri figli come diventare debunker, ovvero cacciatori di bufale (povere bestie!). Un mestiere che tutti vorremmo veder realizzato nella nostra progenie.
Ho cercato un libro da loro. Ho trovato, tra le varie opzioni per scaricarlo, anche questa:
Oltre alle tradizionali versioni PDF, ODT, HTML e compagnia cantante, ce n’è un’altra: il libro è scaricabile (gratis, grazie!) anche su un sito sconosciuto, chiamato yeerida.com.
Ho pensato: “Perché dovrei scaricare il libro da Liber Liber e alimentare così, con un clic di download, le loro statistiche? Proviamo questo Yeerida, hai visto mai??”
Ecco il risultato:
Il dominio yeerida.com è in vendita per 9000 dollari e spiccioli. Robetta. Quasi quasi me lo compro.
Hanno chiuso. Fallito. Out. Closed. Cerrado. Fermé. Geschlossen.
Gliene fregava così tanto dei libri digitali e della cultura libera che vendono perfino il nome a dominio.
Il resto, compreso il perdurare dei link alla risorsa da parte di Liber Liber (potrebbero rimuoverli in cinque minuti) è solo pubblicità, pubblicità, pubblicità.
Hanno una “rivista culturale” che si chiama “Pagina Tre” con relativo dominio e sito web. Bene. Anzi, benissimo.
Trattandosi di una pubblicazione non periodica e interamente gestita da “volontari”, chiede la collaborazione di tutti. Bene anche questo.
Chiunque può contattare la “redazione” (cioè fondamentalmente una sola persona) per proporre dei contenuti di tipo culturale (segnalazione di novità librarie, recensioni e molto altro), e anche per pubblicare la propria tesi di laurea, se lo vuole.
Vediamo.
Ho scritto e pubblicato un libro, di recente. Se volessi segnalarlo su “Pagina Tre” ho due possibilità:
a) pagare. 29 euro. Che non è poco, perché non sarebbero loro a fare un favore a me. Sarei io che darei loro dei contenuti. Se qualcuno scrivesse un contenuto culturale qualificato e qualificante per i miei siti glielo pubblicherei senza chiedergli un centesimo. Ma questi sono fatti loro. Ma soprattutto miei.
b) Gratis. Come? Diventando “redattore” del sito. Per diventarlo devo “registrarmi” al sito. Si tratta di un modulo WordPress che richiede una user-id e un indirizzo e-mail. Ma quest’ultimo dato, una volta conferito, dove va a finire? E la mia privacy? Nessuna paura:
Leggo in una nota che ” Pagina Tre tutela la tua privacy.” E allora andiamola a leggere questa informativa. Nelle prime righe è scritto che:
“I dati che fornisci a Pagina Tre di Liber Liber (…) sono al sicuro e gestiti in base alle più recenti normative sulla privacy.”
Ah, “sono al sicuro”? Allora siamo a posto. Non so chi li custodisca (il nome del responsabile del trattamento dati non c’è -la persona fisica, intendo, non quella giuridica), ma sappiamo di per certo che i dati sono “al sicuro“.
Finita qui? No di certo. Chiedono anche una fotografia, da associare all’account. Cioè una mia immagine. Non un avatar, un disegnino. La mia foto. Ora, finché sono IO a pubblicare le MIE foto (sui miei siti, su Facebook o dove mi pare) tutto bene. Ma se le cedo a terzi?
Manca ancora una cosa. L’iscrizione alla loro mailing-list. Che pare essere necessaria e obbligatoria. E perché dovrei iscrivermi alla mailing-list? Ma, soprattutto, perché questo adempimento è obbligatorio? Non posso scegliere io autonomamente se iscrivermi o no? E, soprattutto, cosa comporta l’iscrizione. Avrò maggiori benefici? No, semplicemente è richiesto. Tutt’al più riceverò qualche e-mail in più.
A questo punto, ottemperati tutti gli adempimenti richiesti, posso finalmente pubblicare i miei contenuti? In teoria sì. Nella pratica
“questa procedura non garantisce l’inserimento tra i redattori di Pagina Tre, l’ammissione resta a discrezione del comitato di redazione.”
Hanno un comitato? Ma io mica lo sapevo! Io volevo solo collaborare!
Proviamo con la tesi di laurea. A parte il fatto che la mia è già pubblica, vediamo se ottengo maggior fortuna.
Almeno questo servizio è gratuito. Meno male.
Ma c’è un “ma”. Devo firmare una liberatoria. E’ giusto che sia così, non è quello il punto.
Sul modello di liberatoria è scritto che:
“l’autorizzazione alla libera distribuzione riguarda esclusivamente la versione elettronica della tesi”
E se io volessi, che so, autorizzare Liber Liber a distribuire gratuitamente il formato PDF della mia tesi e volessi, contemporaneamente, commercializzare il formato EPUB o Kinde-compatibile su altri store? Anche quelle sono “edizioni elettroniche”. Posso farlo o no? Non lo dicono.
Inoltre:
“non è autorizzata alcuna modifica, con l’eccezione di quelle eventualmente concordate fra Liber Liber e l’Autore”
Come sarebbe? Io sono l’autore della mia tesi, che è mia, non posso ampliarla, modificarla, correggerla, aggiornarla (magari agli ultimi studi sull’argomento, se ve ne sono) e mandare loro il file aggiornato? Parrebbe di no.
E, infine, la ciliegina sulla torta:
“l’autorizzazione concessa a Liber Liber non è revocabile”
Come sarebbe a dire che non è revocabile? Cos’è, un matrimonio? Li sposo a vita? E se un giorno io volessi, che so, pubblicare un’edizione cartacea del MIO lavoro e sfruttare i MIEI sacrosanti diritti economici sull’opera (perché sono MIEI), togliendo dalla circolazione sulla rete quella gratuita? Nulla, non lo posso fare. O, quanto meno, non posso revocare loro la liberatoria per QUELLA versione del mio lavoro.
Liber Liber ha pubblicato una versione italiana di pubblico dominio de “L’Idiota” di Fedor M. Dostoevskij.
Che dire? Grazie. Ne farò buon uso. Ma tutto lì.
L’uscita della versione elettronica del volume, è stata accompagnata da alcune note firmate Marco Calvo, presidente della Associazione e curatore di TUTTE le opere messe in linea. Come faccia a trovare il tempo di curarle tutte (sono migliaia), audiolibri e file musicali compresi, non l’ho mai capito, ma il punto non è questo.
Leggiamo quello che dice a proposito della ” brutale guerra avviata da Putin contro l’Ucraina“:
“Liber Liber è una associazione culturale che non può (e non deve) entrare nel merito di scelte strategiche e politiche; non siamo nemmeno strutturati per elaborare opinioni documentate.”
Non si capisce bene perché una associazione culturale non possa e, tra parentesi, non debba esprimere una propria posizione politica, specie se di condanna alla guerra, tra l’altro, rispondendo a un principio costituzionale ben consolidato.
Chi glielo impedisce? Nessuno. Se non loro stessi.
Il fatto di essere una “associazione culturale” non li esime dal poter prendere posizione. Sono una biblioteca, una mediateca, o quello che sono? A cosa serve questa neutralità e questa non strutturazione per esprimere un pensiero critico? E’ molto semplice, a mantenersi distaccati e pubblicare quello che possono e che vogliono. Liber Liber non è una biblioteca, è quanto meno un editore nel senso meramente ecdotico del termine. E anche in quello puramente economico. E’ fuor di dubbio che Liber Liber pubblichi opere inedite (alcune traduzioni italiane di Shakespeare, per esempio, ma anche tutti gli audiolibri e alcuni video), e che ne venda alcune sui circuiti di distribuzione più diffusi in Italia e nel mondo. Non c’è nulla di male, lo possono fare, se qualcuno gliele compra. Loro come chiunque altro. Privato o azienda che sia.
Dicono spesso che una biblioteca deve conservare il sapere così com’è, senza esprimere giudizi di merito sulle singole opere. Io credo, invece, che perseguano una vera e propria linea editoriale. Non ne capisco il senso, ma è indubbio che esista.
Non so che cosa li spinga, ad esempio, a offrire nel loro ricco catalogo, alcune opere di Benito Mussolini. Se è vero come è vero che una biblioteca deve accogliere tutto, in modo pedissequo e acritico, possono tranquillamente mettere in linea anche il “Mein Kampf” di Adolph Hitler, almeno in tedesco. Hitler morì nel 1945, i suoi scritti sono in pubblico dominio. E, con qualche ricerca più accurata, si può risalire a una traduzione libera da diritti o, quanto meno, orfana.
Se avessero messo in vendita i libri di Mussolini anche per venderli (secondo la loro logica del mantenere versioni a pagamento e versioni gratuite, che, peraltro, condivido in pieno) lo avrei capito: quanto meno avrebbero spillato qualche quattrino a qualche nostalgico del DVX. Ma così che senso ha? Solo un senso inclusivo? Mi pare, francamente, un po’ poco. O, quanto meno, non bastevole a giustificare una scelta editoriale del genere.
Basterebbe dire “Noi in casa nostra pubblichiamo e mettiamo in linea quello che ci pare.” Ma non lo fanno.
Tornando alle note di Marco Calvo, leggo:
“La pace è figlia del rispetto e dell’amore per il prossimo.”
No. Non è così. La pace è figlia della coabitazione tra persone e pensieri DIVERSI. Le parole di Calvo sono molto interessanti. Chi non vorrebbe amore e rispetto per il prossimo? Tutti li vogliamo, nessuno escluso. Ma appaiono, appunto, come l’espressione di chi sfonda una porta aperta. Sono solo carenti di significato originale. E va da sé che non è reato non essere originali. Però è criticabile.
In un altro articolo di qualche giorno prima, Calvo affermava, tra l’altro che Liber Liber
“non è solo un archivio di file, è un luogo di riflessione.”
Verissimo. ma questa riflessione dov’è, se non si trova un solo commento nel loro sito (per la verità mi risulta che non sia nemmeno possibile apporne. Scelte.)? Se la loro mailing-list è un luogo abbandonato? Dove la troviamo tutta questa riflessione, su Facebook? D’accordo, ma Facebook non è di Liber Liber e non lo gestiscono loro. Inoltre molti dei lettori e commentatori delle loro pagine NON sono iscritti a Liber Liber. Saranno, tutt’al più, dei simpatizzati, persone che apprezzano l’opera dei loro volontari, non dico mica di no.
E poi, c’era bisogno di trascrivere un’intera opera di Dostoevskij per dare sottilmente e indirettamente dell'”idiota” a un dittatore guerrafondaio? Io penso proprio di no.