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Ci sono vari e svariati motivi per cui non rinnoverò il mio voto al Movimento 5 Stelle alle prossime elezioni del 4 marzo.
Uno è, ad esempio, la mancata partecipazione in aula alla discussione sullo ius soli. E oggi una delle nuove regole del nuovo (ripetizioni obbligatorie, abbiate pazienza) codice etico: in sostanza gli indagati (non si sa se con giudizio di primo o secondo grado o senza) potranno essere candidati alle prossime elezioni. Non è solo un modo per poter far eleggere Virginia Raggi o Filippo Nogarin, ma anche lo stesso Luigi Di Maio che risulta indagato per diffamazione.
Io so che un parlamento pulito è un’utopia, ma mi ricordo benissimo di quando Beppe Grillo comprò una intera pagina di un autorevole quotidiano straniero (non ho voglia di andare a vedere quale e sinceramente non me lo ricordo, siate buonini, orsù) per pubblicare i nomi dei condannati in via definitiva presenti in parlamento. Fu come scoperchiare una pentola bollente, dati anche i vari rifiuti dei quotidiani italiani a pubblicare quell’inserzione. Dicevo che non voglio un parlamento pulito per forza, ma voglio, questo sì, che (come dicevo nel post precedente) chi mi governa sia molto, ma molto migliore di me. E senza fare il moralista che si indigna ad ogni frusciar di carta da magistrato (perché ce ne sono e sono pericolosissimi), riconoscendo il sacrosanto principio per cui un avviso di garanzia (ma anche un avviso di conclusione delle indagini, una sentenza del GUP, una sentenza di primo grado, una di secondo grado) non è una attestazione di colpevolezza, si può dire che se vuoi andare a rappresentare dei cittadini che ti hanno votato e sei indagato, prima vai a farti assolvere poi magari ti presenti alle elezioni successive.
Si può dire che è il minimo? Sì, è il minimo. E lo esigo. E se non è più una condizione prioritaria non gioco più. Va bene così?