Mariavittoria Orsolato – Regionali in Sardegna, la disfatta del PD
Che Cappellacci fosse l’ennesima bambolina vodoo della politica di Governo era chiaro a tutti ed è proprio la nettezza di questo risultato che stupisce. Soru e la sua lista “La Sardegna che cambia” sono riusciti a racimolare solo il 42, 89%, nove punti in meno dell’avversario; e la coalizione eterogenea di Pd. Idv, Prc, comunisti, Rosso Mori e Sinistra per la Sardegna ha raggiunto un misero 38,62%, misero se paragonato al quasi plebiscitario 56,71% che la coalizione formata dai partiti del centro destra – e da un’ UDC rediviva e voltagabbana – è riuscita a scavallare.
C’è da dire che lo spoglio è stato al solito decisamente rocambolesco. L’afflusso dei dati elettorali nel centro elaborazione dati della Regione Autonoma è andato molto più a rilento al previsto a causa di contestazioni nelle sezioni elettorali dovute al voto disgiunto. Sono cioè emersi dubbi interpretativi sulla lettura dei dati, nonostante la Regione abbia distribuito in tutti i seggi un apposito vademecum con le varie ipotesi di voto: il caso più discusso è sicuramente quello in cui vi è un voto di preferenza per un candidato in una circoscrizione provinciale e un voto diverso per il presidente, cioè non allo stesso candidato governatore a cui è collegata la lista.
La “legge porcata” lo prevede ampiamente; quello che non poteva però preveder nemmeno il capolavoro Calderoli è stata l’ascesa di un nuovo fenomeno, che in molti non hanno esitato a definire “partito delle schede nulle”. I dati aggiornati parlano di 15.000 schede non valide, a cui si vanno ad aggiungere le schede annullate volontariamente dall’elettore – circa 3300 – e quelle bianche (che superano le 5000), per un totale di ben 23.300 schede inutili. Un dato poco confortante che va a sommarsi con l’ennesimo calo nell’affluenza alle urne: in totale ha votato il 67,58% degli aventi diritto contro il 71,2% che votò per le regionali del 2004.
La vera notizia di queste elezioni risiede però a Roma dove, nel famigerato loft, si è consumata la disfatta del Partito Democratico, con un Veltroni dimissionario – "per molti sono un problema e io sono pronto ad andarmene per il bene del partito” – e un direttivo praticamente allo sbaraglio. Dalla fondazione del Pd, un anno e mezzo fa, la leadership dell’ex sindaco di Roma è stata messa costantemente in dubbio dalle faide fratricide interne ai tre correntoni (veltroniani, dalemiani, rutelliani) e soprattutto dalle indicazioni di voto. Se Trento era sembrata una rivincita sulla sconfitta alle politiche, la Sardegna e prima ancora l’Abruzzo, sono state il colpo di grazia definitivo ad una leadership che, pur giocando sempre al limite tra fair play e ingenuità, è stata sottoposta ad un continuo ed incessante stillicidio politico che l’ha di fatto resa assolutamente vacua.
E Renato Soru? Già nella notte si cospargeva il capo di cenere e, con un gesto da vero sir anglosassone, ha telefonato immediatamente allo sfidante per congratularsi e per augurargli buon lavoro, ma sul futuro suo e del partito non si sbilancia: “Cosa farò domani? Verrò qui in sede e ci penserò”. A chi invece gli chiedeva della campagna elettorale infuocata portata avanti a suon di insulti – alla faccia dell’Istituzione – dal presidente del Consiglio, Soru pacato risponde: “Questo, però, è il gioco. Siamo al giorno dopo – ha sostenuto – sono state elezioni che si sono svolte democraticamente e questo è il risultato. In futuro sarebbe meglio avere elezioni condotte diversamente, con qualche punta di eccessiva ostilità in meno. Sarebbe bello avere competizioni dove valgono le regole e non l’unica regola di vincere ad ogni costo”. Evidentemente l’isola non è poi così diversa dallo stivale.