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Lo scrittore di bestseller Paulo Coelho ricorda le torture subite sotto la dittatura militare brasiliana

Posted on 4 Settembre 2024 by valerio

“Grido, ma so che nessuno mi ascolta, perché gridano anche loro”

Lo scrittore brasiliano Paulo Coelho. Immagine di nrkbeta in Flickr (CC BY-SA 2.0).

Un giorno di maggio del 1974, l’appartamento dove viveva Paulo Coelho [it], all’epoca un famoso giornalista e autore di canzoni rock and roll con Raul Seixas [it], fu oggetto di una retata a Rio de Janeiro, Brasile. In un primo momento, Coelho fu incarcerato e interrogato dal Dipartimento per l’Ordine Politico e Sociale (DOPS) [en]. Quando pensava che l’avrebbero liberato, fu catturato da un’altra organizzazione: il Distaccamento per le Operazioni di Intelligence – Centro delle Operazioni per la difesa interna, più conosciuto come DOI-CODI [en], un organo legato all’Esercito brasiliano e all’apparato repressivo sotto il regime della dittadura militare [it] che governò il paese tra il 1964 e il 1985.

Il 21 luglio scorso, Coelho ha raccontato nel suo profilo X (in precedenza Twitter) ciò che successe durante quell’episodio. Secondo un rapporto della Commissione nazionale per la verità (CNV) [pt, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], nei documenti dell’Esercito non si fa riferimento a quanto a lungo fu trattenuto lo scrittore, ma si cita la sua biografia, scritta da Fernando Morais [es], per descrivere che fu catturato la mattina del 28 maggio e che probabilmente fece ritorno a casa il 31 maggio.

Coelho è uno degli autori con maggiori vendite [es] e più traduzioni nel mondo; si stima che L’Alchimista [it], insieme ad altre delle sue opere, abbia venduto più di 350 milioni di copie a livello mondiale.

L’autore è solito pubblicare sulle reti social le sue opinioni politiche ed è stato certamente un gran critico dell’ex presidente Jair Bolsonaro, ex militare (Partito Liberale – PL) [it] e famoso anche per aver difeso il lascito della dittatura e aver celebrato le torture.

La Commissione per la verità, che ha pubblicato un rapporto alla fine del 2014, ha dichiarato la responsabilità di circa 377 persone per violazioni dei diritti umani in Brasile e ha contato un totale di 434 persone morte o scomparse per colpa dello Stato. Gli abusi di cui fu oggetto Coelho sono menzionati nel secondo volume del rapporto.

Ugualmente, secondo la Commissione per la verità, Coelho fu rinchiuso in una cella chiamata “la heladera” [la ghiacciaia], dove i prigionieri venivano lasciati nudi e a temperature molto basse.

In quell’occasione fu arrestata anche l’artista Adalgisa Rios, sua compagna di allora e artista responsabile dell’album Krig-Há, Bandolo! [en]. Secondo il rapporto della Commissione, Rios fu identificata come militante del Partito Comunista del Brasile (PCdoB) [it], dell’organizzazione di sinistra Azione Popolare (AP) [es] e come partecipante alle proteste, come la Marcia dei centomila [es] – manifestazione contro la dittatura nel giugno del 1968 – e una successiva all’omicidio di Edson Luis, studente di 18 anni.

Coelho non menziona Rios nel testo pubblicato di recente nel suo profilo social:

1974: A group of armed men breaks into my apartment. They start going through drawers and cabinets — but I don’t know what they’re looking for, I’m just a rock songwriter. One of them, more gentle, asks that I accompany them “just to clarify some things.”
The neighbor sees…

— Paulo Coelho (@paulocoelho) July 21, 2024

1974: Un gruppo di uomini armati entra con la forza nel mio appartamento. Rivoltano i cassetti e gli armadi, ma non so cosa cercassero. Sono un semplice compositore di canzoni rock. Uno di loro, in modo un po’ più gentile, mi chiede di accompagnarli per “spiegare alcune cose”.
Il vicino di casa vede tutto e avverte la mia famiglia, che viene presa immediatamente dal panico. Anche se nulla appariva nella stampa, tutti sapevano quello che succedeva in Brasile in quel momento.

Mi portano al Dipartimento dell’Ordine politico e sociale, mi schedano e fotografano. Chiedo cosa stanno facendo, mi rispondono che sono loro a fare le domande. Dopo alcune domande stupide, mi lasciano andare. Da quel momento, non sono più ufficialmente in prigione, così che il Governo non è più responsabile della mia persona. Quando me ne vado, l’uomo che mi aveva portato al Dipartimento dell’Ordine politico e sociale mi suggerisce di prendere insieme un caffè. Ferma un taxi e apre cortesemente la porta. Entro e chiedo che mi portino a casa dei miei genitori, perché vengano a sapere quello che mi è successo.

Durante il tragitto, due auto bloccano il taxi, un uomo con la pistola in mano esce da una delle auto e mi fa scendere a spintoni. Cado al suolo, sento la punta della pistola sulla nuca. Guardo l’albergo di fronte a me e penso,
“Non posso morire così presto”.
Entro in una specie di stato catatonico: non ho paura, non sento nulla.
Conosco storie di altri che sono scomparsi: sparirò e l’ultima cosa che vedrò sarà un albergo. L’uomo mi fa alzare, mi fa stendere sul pianale dell’auto e mi ordina di mettermi un cappuccio.
L’auto prosegue il tragitto per circa mezz’ora. Devono star cercando un luogo dove uccidermi, ma continuo a non provare nulla. Ho accettato il mio destino.

L’auto si ferma.

Mi trascinano fuori e mi colpiscono mentre mi spingono per quello che sembra un corridoio. Grido, ma so che nessuno mi può sentire perché gridano anche loro.
Stai lottando per il tuo paese. Morirai lentamente, però prima soffrirai molto. È paradossale, ma il mio istinto di sopravvivenza inizia a destarsi poco a poco.

Chiedo loro che non mi spingano, ma mi colpiscono alla spalla e cado. Mi dicono di spogliarmi. L’interrogatorio inizia con domande alle quali non so come rispondere.
Mi chiedono di tradire gente che non avevo nemmeno mai sentito menzionare. Dicono che non voglio collaborare, gettano acqua sul pavimento e sotto il cappuccio vedo che c’è un apparecchio con elettrodi che in seguito collegano ai miei genitali.

Capisco che, oltre ai colpi che non vedo arrivare (e, per questo, non posso nemmeno contrarre il corpo per ammortizzare l’impatto), è arrivato il momento in cui mi daranno scariche elettriche. Dico loro di fermarsi, confesserò quello che vorranno. Firmerò quello che vogliono che firmi.

Il giorno seguente, un’altra sessione di tortura, con le stesse domande. Ripeto che firmerò quello che vogliono  che firmi, confesserò quello che vorranno. Ignorano le mie suppliche.

Mi lasciano. Dopo non so quante sessioni (il tempo all’inferno non si misura in ore), bussano alla porta e mi ordinano di rimettermi il cappuccio.

Mi portano in una piccola stanza, completamente dipinta di nero e con l’aria condizionata molto forte. Spengono la luce. Solo oscurità, freddo e una sirena che suona incessantemente. Sto per impazzire. Comincio ad avere visioni di cavalli. Tocco la porta della “ghiacciaia” (venni a sapere solo in seguito che la stanza veniva chiamata così), ma nessuno apre.
Svengo.
Mi sveglio e svengo un’altra volta, e ancora, e ancora, e a un certo punto penso: preferisco che mi colpiscano piuttosto che rimanere qui.

Mi sveglio, sono sempre nella stanza. La luce è sempre accesa e non posso dire quanti giorni o notti sono passati. Rimango lì per un tempo che sembra un’eternità.

Anni dopo, mia sorella mi racconta che i miei genitori non riuscirono a chiudere occhio; mia madre pianse tutto il tempo, mio padre si rinchiuse nel suo silenzio e non parlò.

Coelho dice che, in seguito, fu il vicino ad avvertire la famiglia del suo fermo. “Tutti sapevano quello che succedeva in Brasile a quel tempo, anche se non c’era copertura da parte della stampa”.

Alcuni anni prima, nel 1968, il regime militare aveva varato l’Ato Institucional N°5 [it], più conosciuto come l’AI-5, che prevedeva arresti e torture nei confronti delle persone critiche del Governo. Nel 1972, il regime cominciò a operare per smantellare l’Araguaia Guerrilla, un tentativo del Partito Comunista del Brasile [it] di formare contro la dittatura un gruppo rurale armato [en]. Ci furono decine di torturati, esecuzioni e, ad oggi, più di 50 dispersi.

I fall into a kind of catatonic state: I don’t feel afraid, I don’t feel anything. I know the stories of others who have disappeared; I will disappear, and the last thing I will see is a hotel. The man picks me up, puts me on the floor of his car and tells me to put on a hood. The car drives around for maybe half an hour. They must be choosing a place to execute me — but I still don’t feel anything, I’ve accepted my destiny.

I’m dragged out and beaten as I’m pushed down what appears to be a corridor. I scream, but I know no one is listening, because they are also screaming. You’re fighting against your country. You’re going to die slowly, but you’re going to suffer a lot first. Paradoxically, my instinct for survival begins to kick in little by little.

Entro in uno stato catatonico; non ho paura, non sento nulla. Conosco le storie di altri che sono spariti. Scomparirò e l’ultima cosa che vedrò sarà un hotel. L’uomo mi solleva, mi fa sdraiare sul pavimento dell’auto e mi dice di mettermi un cappuccio. L’auto va in giro, forse per mezz’ora. Probabilmente stanno scegliendo il posto dove giustiziarmi. Ma non sento ancora nulla, ho accettato il mio destino.

Mi tirano fuori dall’auto e mi colpiscono nello stesso momento in cui mi spingono per quello che sembra un corridoio. Grido, ma so che nessuno mi ascolta perché anche loro stanno gridando. Stai lottando contro il paese: Morirai lentamente, ma prima soffrirai molto. Inaspettatamente, poco a poco il mio istinto di sopravvivenza comincia a svegliarsi.

Coelho ricorda che lo spogliarono quando ancora aveva il cappuccio in testa. Che lo colpirono ripetutamente, che usarono una “macchina con elettrodi collegata ai suoi genitali” e che gli fecero domande su persone delle quali non aveva mai sentito nulla. Racconta che si offrì di firmare e confessare qualunque cosa volessero i boia, ma lo ignorarono mentre le sessioni di tortura continuavano.

I’m taken to a small room, painted completely black, with a very strong air-conditioner. They turn off the light. Only darkness, cold and a siren that plays incessantly. I begin to go mad. I have visions of horses. I knock on the door of the “fridge” (I found out later that was what they called it), but no one opens it. I faint. I wake up and faint again and again, and at one point I think: better to get beaten than to stay in here.

Mi portano in una stanza piccola, tinteggiata di nero, con un’aria condizionata molto forte. Spengono le luci. Ci sono solo oscurità, freddo e una sirena che non smette di suonare. Sto per impazzire. Ho delle visioni con cavalli. Colpisco la porta della “ghiacciaia” (scoprii che era così che la chiamavano), ma nessuno apre. Svengo. Mi sveglio e svengo ancora, e ancora, e a un certo punto penso: sono meglio le botte che stare rinchiuso qui.

Dopo la sua liberazione, l’autore racconta che i suoi amici e conoscenti non rispondevano alle sue chiamate perché era “pericoloso essere visti con un ex prigioniero”. Scrive: “Forse ho lasciato la prigione, ma la prigione non mi abbandona”. In seguito, trovò un lavoro grazie al musicista Roberto Menescal [it] e alla giornalista Hildegard Angel, il cui fratello, Stuart Angel Jones, [es] fu ucciso dalla dittatura ed è un disperso politico. Sua madre, la design di moda Zuzu Angel [it], ha avuto un incidente d’auto nel quale si sospetta che il regime fosse implicato.

Coelho non ha spiegato cosa lo abbia spinto a raccontare la sua storia ora, ma ha riferito anche quanto segue:

Decades later, the archives of the dictatorship are made public, and my biographer Fernando Morais gets all the material. I ask why I was arrested: an informant accused you, he says. Do you want to know who ? I don’t. It won’t change the past.

Decine di anni più tardi, vengono aperti al pubblico gli archivi della dittatura e il mio biografo, Fernando Morais, ottiene tutto il materiale. Gli chiedo la ragione del mio arresto; mi dice: qualcuno ti denunciò, vuoi sapere chi? Non voglio. Non cambierebbe il passato.

Per i brasiliani, ricordare il passato è qualcosa di molto lontano. Quest’anno, il 2024, eventi che avrebbero commemorato i 60 anni del golpe che determinò l’inizio del governo militare sono stati sospesi o nascosti [pt] dal Governo federale. Anche con il presidente Luiz Inácio Lula da Silva [it], anch’egli detenuto del regime per essere un leader sindacale in sciopero nel 1980, è molto difficile per il paese lavorare per la memoria e rendere giustizia alle violenze di quel periodo.

Esistono narrazioni negazioniste che, confrontando la dittatura brasiliana con quelle contemporanee di paesi limitrofi come Argentina, Uruguay e Cile in quanto a numero di morti e dispersi, non ammettono quanto fu repressiva. Ci sono anche i militari e i conservatori che celebrano la falsa idea che il golpe militare salvò il paese dalla possibilità che il paese prendesse la strada del comunismo con il presidente João Goulart.

Nel 1979, il Brasile varò una legge di amnistia, approvata dall’ultimo presidente militare, João Baptista Figueiredo [it], che estendeva l’amnistia e il perdono ai prigionieri politici, ai militanti e ai funzionari implicati in crimini contro l’umanità [it]. La legge non è mai stata revisionata e il Brasile non ha mai punito i torturatori di quel periodo.

La ex presidente Dilma Rousseff [it] partecipò alla guerriglia contro la dittatura, fu torturata e arrestata. Nel 2011, durante la sua presidenza, fu creata la Commissione nazionale sulla verità. Fu presentato un rapporto nel 2014, dopo un periodo di audizioni pubbliche in tutto il paese: ogni stato aveva la sua commissione locale e includeva 29 raccomandazioni di risarcimento. I militari si sono sempre opposti all’iniziativa.

Il 4 luglio, Lula ha annunciato la ricostituzione della Commissione dei Morti e Dispersi politici, che era stata eliminata dal presidente Bolsonaro nel 2022.

scritto da Global Voices Brazil tradotto (es) da Delfina Garcia Mosconi, Barbara Foggiato · articolo originale [en]

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Lo schiaffatone – Edizione definitiva

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