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C’è da rimanere a bocca aperta se uno strenuo difensore della legalità e dei diritti, così come viene percepito Roberto Saviano dall’opinione pubblica, scrive “Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è inciampato rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più accadere. Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti: è una scena che non deve più accadere.”
Si badi bene, Saviano condanna la violenza, gli incendi delle auto, dei blindati, il lancio indiscriminato di sampietrini, il sabotaggio dei bancomat, e vorrei vedere chi è che non è d’accordo con lui.
Dove Saviano sbaglia (e sbaglia di brutto), la prospettiva della sua analisi è l’equiparazione tra la condanna degli atti compiuti dai privati cittadini e quelli compiuti dai poliziotti.
Il punto è che il privato cittadino che lancia un sasso contro la polizia e ferisce un agente deve essere sì fermato e successivamente identificato e processato, ma non gli deve essere torto un capello perché in quel momento è nelle mani dello Stato, rappresentato dalle forze dell’ordine.
Se, invece, le forze dell’ordine manganellano ed esercitano violenza sul cittadino che delinque non siamo uno a uno e palla al centro, come Saviano ingenuamente vuol farci credere, ma siamo due a zero a favore del delinquente perché lo Stato non può comportarsi come chi delinque. Viviamo in un ordinamento giuridico per cui chi uccide non può e non deve essere ucciso a sua volta. E questo è quanto.
E’ inutile che Saviano scriva, con evidente eccesso di buonismo egualitario, “non deve più accadere” per gli uni e per gli altri, perché per il cittadino deve mettere in conto che possa anche accadere (triste, grave, esecrabile ma possibile), mentre per lo Stato non deve MAI accadere, perché se accade lo Stato è perdente e sconfitto.
Non siamo nel ’68, quando Pier Paolo Pasolini si schierava apertamente dalla parte dei poliziotti perché erano figli di povera gente mentre gli studenti erano figli di papà abituati ad avere il culo caldo, siamo nel 2010, quando gli studenti, l’istruzione, l’università, la ricerca e il lavoro non hanno un futuro e c’è bisogni di reclamare cultura perché c’è chi dice che con la cultura non si mangia.
Gli studenti sono il frutto della rabbia, della voglia di conoscenza, urlano una disperazione che è viva e tangibile, chiedono spiegazioni allo stato e lo stato è rappresentato dai poliziotti che li menano. I video di YouTube sono sotto gli occhi di tutti, e la vecchia poesia di Pasolini è diventata un ritornello caro solo alla destra, e poi non vogliono che si parli di trasformismi.
Saviano la rabbia degli studenti la conosce bene: “Mi si dirà: e la rabbia dove la metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non arriva a fine mese e aspetta da vent’anni che qualcosa nella propria vita cambi, la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti.”
Già, ma quali scelte importanti può spingere a fare la disperazione della gente che non arriva a fine mese? Contro chi se la devono prendere queste persone se non contro quello stesso Stato che ha tolto loro la speranza e che oggi, nemmeno tanto metaforicamente, le calpesta e le prende a calci?
Quali sarebbero le “scelte importanti” secondo Saviano, campare coi diritti d’autore delle opere pubblicate per la casa editrice del Cavaliere? Prendere un cachet a serata per condurre un programma come “Vieni via con me” per la Endemol che è di proprietà di Mediaset?
Ma ci faccia il piacere…