Lettera a un (ex) alunno in galera per rapina a mano armata

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Carissimo,

ci siamo visti martedì scorso a scuola e ci siamo salutati sorridendoci, abbracciandoci, parlando di femmine e col piacere di ritrovarci anche se tu a scuola non venivi più dallo scorso anno.

Che eri stato un pirla a mollare te lo avevo detto, hai una mente elastica, vivace, curiosa, capace di generare domande reali, e, proprio per questo, inquietanti per l’animo sensibile di una scuola attaccata più ai modismi che alla sostanza dell’educazione.

Qualche volta ti dicevo anche che non è bello mandare a fare in culo i bidelli, ma sono convinto che avranno saputo comprendere e perdonarti, ormai.

Poi, giovedì scorso, ti ho visto sul giornale. Con tanto di fotografia e nome e cognome. Rapina a mano armata, c’era scritto.
I giornalisti della cronaca locale non hanno pietà perché non hanno cultura. E’ gente che ha preso a malapena quel diploma a cui tu hai momentaneamente rinunciato, e questo ti insegnerà che il diplomificio Italia sforna ignoranti che, una volta presa una penna in mano, la usano per sbattere il mostro in prima pagina.
Io non ti vedo né mostro né con una pistola in mano.
Ci hai provato a spiegare che non era che un giocattolo, ma la gente non ha paura delle armi vere, ha paura della paura.

E ci sarebbe anche da ricordare a questa gente che scrive sulla pelle degli altri che un mostro non si fa prendere appena cinque minuti dopo aver arraffato il gruzzolo e aver tentato una fuga rocambolesca.

E in carcere non ti ci so vedere. Speravo almeno in un processo per direttissima, che ti scontasse un terzo della pena. Così avresti potuto usufruire di quelle sanzioni alternative alla detenzione che chiamano "affidamento in prova ai servizi sociali". Avresti dovuto, questo sì, sorbirti una di quelle rompicoglioni da competizione che sono preposte a reinserire nella società il reo, il colpevole, il delinquente e magari non sanno nemmeno gestire loro stesse.
Mi dicesti la stessa cosa, l’anno scorso, a proposito delle psicologhe che venivano in classe e in quell’occasione non seppi darti torto.
Ma almeno saresti fuori da un mondo che ti appartiene certamente per diritto e sanzione, ma non per indole.

E adesso, tu che hai capito tutto questo, sei dietro le sbarre a cucinarti un rancore a fuoco lento che prima o poi ti farà esplodere.

Al processo di cassazione non ci arriverai mai, non sei la Franzoni, rassegnati.
Con un po’ di pietà ti troveranno un avvocato disposto a patteggiare e a inventarsi una arringa strampalata che si rimetta alla clemenza della corte.

E per te, a diciotto anni appena compiuti, nessun giornale comunista, proprio perché comunista, sarà mai disposto a chiedere la grazia.

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