“Le sentenze vanno rispettate”

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Detto quanto c’era da dire sulla sentenza Fininvest-CIR, nei commenti a caldo dei TG e delle varie testate informative c’è sempre qualcuno che pronuncia la solita, odiosa, inutile frase di circostanza: "Le sentenze si rispettano".

E’ una frase vuota, priva di qualsivoglia significato.

Le sentenze esistono, sono quelle, non sono modificabili, se ne gioisce se ci dànno ragione e ci si dispera se ci dànno torto. Le sentenze non hanno nulla a che vedere con la realtà fattuale, che spesso non viene nemmeno ricostruita, ma con quella processuale, che è un’altra cosa.
La realtà processuale è quella che se ti accusano di aver ammazzato una persona, ma dalle carte non risulta sufficientemente provato, tu sei scagionato anche se quella persona l’hai ammazzata sul serio.

Ci sarebbe da andarlo a dire ai parenti delle vittime della strage di Ustica che le sentenze si "rispettano".

Cosa vuol dire "rispettare una sentenza"? Non vuol dire un accidente di niente. Si rispetta l’autorità che l’ha emessa, la si esegue e se è necessario se ne pagano le conseguenze. Ma questo atteggiamento da falso galateo di Monsignor Giovanni Della Casa mi lascia con una sensazione di estremo fastidio. Perché sottende un significato pericoloso non espresso: "Le sentenze non si criticano".

Cielo, e perché no? Non esiste il diritto di critica in Italia? E perché questo diritto non si può applicare alle sentenze dei giudici? Perché se no se la prendono? E va beh, loro applicano la legge e il loro ruolo finisce lì, all’opinione pubblica compete quello di dire quello che ritiene più opportuno, si chiama "dibattito democratico".

A meno che non vogliano dirci che le sentenze si rispettano col silenzio.

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