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Luigi Di Maio, non appena Conte è stato nominato Presidente del Consiglio incaricato, ha subito fatto le bizze. Ha visto che per lui la poltrona da Ministro dell’Interno è sfumata, che la nomina a vicepremier invece pure, e che, insomma, non c’è trippa per gatti. Eppure l’accordo col PD lo ha ripreso in extremis dalla caduta vertiginosa verso l’oblio cui sembrava essere predestinato dopo il fallimento del suo inciucio con la Lega. Adesso se n’è uscito nuovamente a dire che “O mi approvate i 10 punti della mia parte politica (che poi sono miracolosamente e inspiegabilmente diventati 20) o salta la cucuzza insieme a tutto il cucuzzaro. Si permette di farlo dopo che ha praticamente dimezzato i voti dalle scorse politiche alle ultime europee, dopo aver avallato tutte le iniziative politiche di Salvini e aver convinto i suoi a salvarlo dalle indagini della Procura siciliana e dalla relativa richiesta di autorizzazione a procedere, adesso si permette il lusso di alzare la voce (che paura!) e di minacciare addirittura quelle elezioni anticipate che inevitabilmente perderebbe. Cioè, non si è dimesso dopo le europee, no, ha chiesto a Rousseau e a una manciata di smanettoni iscritti a una piattaforma privata, proprietà di un privato, se dovesse lasciare oppure no. E’ ovvio che gli hanno risposto tutti di sì. Lui l’ha presa come un plebiscito, ed eccolo qui a mascherare la vera essenza della sua richiesta, che è “O me, o le elezioni”. Certo, ce ne deve volere di prepotenza per arrivare a fare dei ricattucci del genere. E tutti continuano a dire che questo governo non è affatto interessato alle poltrone, no, macché, Di Maio è diventato la succursale di Poltrone&Sofà. E così siamo di nuovo in bilico e il governo di neoinciucio giallorosso sta per esalare l’ultimo respiro prima ancora di presentarsi alle Camere. “Due miserie in un corpo solo” (G. Gaber).