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"…è una storia un po’ complicata
è una storia sbagliata.
Cominciò con la luna sul posto
e finì con un fiume d’inchiostro"
I fatti sono men che interssanti. E’ una storia imbarazzante, magari nemmeno da home page di un quotidiano locale. E’ una di quelle storie un po’ torbide, "una storia per parrucchieri", come l’avrebbero definita Fabrizio De André e Massimo Bubbola. Tanto che per questo post scelgo di non utilizzare nessun tipo di materiale iconografico, a parte quello che serve a documentare le affermazioni, e che metterò in nota.
Una ragazza di 16 anni è rimasta incinta di un ragazzo albanese appena maggiorenne.
Il ragazzo non dimostra di essere affidabile, in ogni caso non piace ai genitori della ragazza. Che in un primo tempo, anche contrariamente al parere dei suoi genitori, sceglie di tenere il bambino, ma, dopo un colloquio con un magistrato, cui gli stessi genitori si erano rivolti, cambia idea. E abortisce.
Fatti nudi e crudi, questi, per i quali ci vorrebbe un po’ di pudore, un po’ di quel "rispetto" che piace tanto ai luoghi comuni di certa gente perbene che si trincera dietro la lettura del "Corriere della Sera" o di "Repubblica". Quel rispetto che non c’è più neanche fra di noi, come canta Zucchero, quel rispetto che ci fa vedere in una ragazza di 16 anni una minorenne che vive una serie incredibile di drammi, e che come tutte le minorenni che vivono dei drammi (affrontare una scelta la cui responsabilità ricade unicamente su se stessa dvanti a un magistrato, sia pure con tutte le cautele del caso è un dramma grandissimo) deve essere lasciata in pace.
Non è una notizia.
Ci sono centinaia di ragazzine minorenni che restano incinte. E i drammi familiari che ne conseguono sono tutto men che da sbattere sui giornali.
Il "Corriere della Sera" [1] fornisce la notizia in modo abbastanza sobrio. Si limita ad aggiungere che il ragazzo albanese, partner della sedicenne, l’avrebbe picchiata spesso. Non è una bella cosa. Né picchiare una sedicenne, dico, né, tanto meno, fornire questo dato "accessorio" che comincia ad aggiungere dramma al dramma.
Ma fin qui la notizia risulta equilibrata, quanto meno non trascende troppo.
"Repubblica" [2] [3], invece, comincia a sciorinare tutta una serie di dati imbarazzanti perfino per il lettore finale (che dovrebbe essere, nel crudele gioco delle parti, il destinatario a cui si danno in pasto questi resoconti poco edificanti, utente finale di una strategia di scelta delle notizie che, tra l’altro, non dipende nemmeno da lui.
Intanto, oltre al luogo in cui il fatto è avvenuto (riportato anche dal Corriere), Repubblica riporta il nome della ragazza. Che sia il nome vero o sia completamente inventato non ha importanza. Quello che importa è che alla ragazza qualcuno ha voluto procurare una identità agli occhi di chi legge. Vera o fittizia che sia. Non conta che si chiami Lilly, Milly, Fuffy, Baby, Trilly o Deborah, piuttosto che Samatha, piuttosto che Valentina, o qualche altro nome da canzone di Antonello Venditti o da romanzo di Federico Moccia. Conta che per "Repubblica" la ragazza sia uscita dal suo diritto all’anonimato (quello che interessa, sempre ammesso e non concesso che interessi, in questo caso, è la notizia, non chi sia lei).
Poi sappiamo che la ragazza "portava sul corpo i lividi" (delle percosse, immagino). Carini. Gentili a scriverlo. E’ un atto di politesse notevole da parte di un giornale a diffusione nazionale affondare il pennino non già nell’inchiostro della libertà d’informazione, ma nelle carni già abbastanza lacerate di una ragazzina minorenne, e oltretutto picchiata.
Ma quello che stupisce, se possibile, ancora di più, a parte il riportare le parole del direttore del settimanale diocesano "Vita", che non si sa bene cosa c’entrino con la scelta-non-scelta di una ragazzina di sedici anni, è che "un anno fa (…) aspettava un altro bambino e aveva fatto ricorso alla pillola abortiva."
Ma come si permettono? Una interruzione di gravidanza è un’esperienza strettamente personale, cosa importa se la ragazza, un anno fa, abbia fatto ricorso alla pillola abortiva o a un intrevento ospedaliero o ambulatoriale? E quanto dolore deve ancora sopportare una ragazzina (certamente poco avveduta, poco accorta, magari anche poco responsabile e/o responsabilizzata nelle proprie scelte) oltre al non vedersi riconosciuto il sacrosanto diritto all’oblio rispetto a un’esperienza passata, che spunta di nuovo fuori dalla melma del disagio per assurgere il ruolo di carico da undici nei fiumi di inchiostro e di b
yte che ci invadono quotidianamente? Non voleva abortire, lei. Nel bene o nel male che fosse quella era la sua volontà. Perché io, lettore, io che non conto un cazzo, devo conoscerla? E, soprattutto, perché devo conoscere i suoi precedenti abortivi? Non sono un giudice, non ho nemmeno l’intenzione né tanto meno l’obbligo di dare dei giudizi morali su tutto questo, e la ragazza è carne viva, sì, ma nel senso che è persona presente e senziente.
E invece di lei, del suo volere, di quello che avrebbe voluto per sé, non si sa niente, tanto c’è chi si occupa di accompagnarla nelle sue decisioni e le chiosa con il proprio metro personale di valutazione, sia esso giornalista, direttore di testata diocesana, magistrato, assistente sociale o genitore.
Decenni or sono Guccini avrebbe parlato di una "piccola storia ignobile" che "non vale due colonne su un giornale".
E’ valsa, invece, sofferenza e spettacolarizzazione. Il sangue quotidiano della cronaca.
[1] https://www.valeriodistefano.com/public/abortocorriere.png
[2] https://www.valeriodistefano.com/public/abortorepubblica1.png
[3] https://www.valeriodistefano.com/public/abortorepubblica2.png
è una storia sbagliata.
Cominciò con la luna sul posto
e finì con un fiume d’inchiostro"
I fatti sono men che interssanti. E’ una storia imbarazzante, magari nemmeno da home page di un quotidiano locale. E’ una di quelle storie un po’ torbide, "una storia per parrucchieri", come l’avrebbero definita Fabrizio De André e Massimo Bubbola. Tanto che per questo post scelgo di non utilizzare nessun tipo di materiale iconografico, a parte quello che serve a documentare le affermazioni, e che metterò in nota.
Una ragazza di 16 anni è rimasta incinta di un ragazzo albanese appena maggiorenne.
Il ragazzo non dimostra di essere affidabile, in ogni caso non piace ai genitori della ragazza. Che in un primo tempo, anche contrariamente al parere dei suoi genitori, sceglie di tenere il bambino, ma, dopo un colloquio con un magistrato, cui gli stessi genitori si erano rivolti, cambia idea. E abortisce.
Fatti nudi e crudi, questi, per i quali ci vorrebbe un po’ di pudore, un po’ di quel "rispetto" che piace tanto ai luoghi comuni di certa gente perbene che si trincera dietro la lettura del "Corriere della Sera" o di "Repubblica". Quel rispetto che non c’è più neanche fra di noi, come canta Zucchero, quel rispetto che ci fa vedere in una ragazza di 16 anni una minorenne che vive una serie incredibile di drammi, e che come tutte le minorenni che vivono dei drammi (affrontare una scelta la cui responsabilità ricade unicamente su se stessa dvanti a un magistrato, sia pure con tutte le cautele del caso è un dramma grandissimo) deve essere lasciata in pace.
Non è una notizia.
Ci sono centinaia di ragazzine minorenni che restano incinte. E i drammi familiari che ne conseguono sono tutto men che da sbattere sui giornali.
Il "Corriere della Sera" [1] fornisce la notizia in modo abbastanza sobrio. Si limita ad aggiungere che il ragazzo albanese, partner della sedicenne, l’avrebbe picchiata spesso. Non è una bella cosa. Né picchiare una sedicenne, dico, né, tanto meno, fornire questo dato "accessorio" che comincia ad aggiungere dramma al dramma.
Ma fin qui la notizia risulta equilibrata, quanto meno non trascende troppo.
"Repubblica" [2] [3], invece, comincia a sciorinare tutta una serie di dati imbarazzanti perfino per il lettore finale (che dovrebbe essere, nel crudele gioco delle parti, il destinatario a cui si danno in pasto questi resoconti poco edificanti, utente finale di una strategia di scelta delle notizie che, tra l’altro, non dipende nemmeno da lui.
Intanto, oltre al luogo in cui il fatto è avvenuto (riportato anche dal Corriere), Repubblica riporta il nome della ragazza. Che sia il nome vero o sia completamente inventato non ha importanza. Quello che importa è che alla ragazza qualcuno ha voluto procurare una identità agli occhi di chi legge. Vera o fittizia che sia. Non conta che si chiami Lilly, Milly, Fuffy, Baby, Trilly o Deborah, piuttosto che Samatha, piuttosto che Valentina, o qualche altro nome da canzone di Antonello Venditti o da romanzo di Federico Moccia. Conta che per "Repubblica" la ragazza sia uscita dal suo diritto all’anonimato (quello che interessa, sempre ammesso e non concesso che interessi, in questo caso, è la notizia, non chi sia lei).
Poi sappiamo che la ragazza "portava sul corpo i lividi" (delle percosse, immagino). Carini. Gentili a scriverlo. E’ un atto di politesse notevole da parte di un giornale a diffusione nazionale affondare il pennino non già nell’inchiostro della libertà d’informazione, ma nelle carni già abbastanza lacerate di una ragazzina minorenne, e oltretutto picchiata.
Ma quello che stupisce, se possibile, ancora di più, a parte il riportare le parole del direttore del settimanale diocesano "Vita", che non si sa bene cosa c’entrino con la scelta-non-scelta di una ragazzina di sedici anni, è che "un anno fa (…) aspettava un altro bambino e aveva fatto ricorso alla pillola abortiva."
Ma come si permettono? Una interruzione di gravidanza è un’esperienza strettamente personale, cosa importa se la ragazza, un anno fa, abbia fatto ricorso alla pillola abortiva o a un intrevento ospedaliero o ambulatoriale? E quanto dolore deve ancora sopportare una ragazzina (certamente poco avveduta, poco accorta, magari anche poco responsabile e/o responsabilizzata nelle proprie scelte) oltre al non vedersi riconosciuto il sacrosanto diritto all’oblio rispetto a un’esperienza passata, che spunta di nuovo fuori dalla melma del disagio per assurgere il ruolo di carico da undici nei fiumi di inchiostro e di b
yte che ci invadono quotidianamente? Non voleva abortire, lei. Nel bene o nel male che fosse quella era la sua volontà. Perché io, lettore, io che non conto un cazzo, devo conoscerla? E, soprattutto, perché devo conoscere i suoi precedenti abortivi? Non sono un giudice, non ho nemmeno l’intenzione né tanto meno l’obbligo di dare dei giudizi morali su tutto questo, e la ragazza è carne viva, sì, ma nel senso che è persona presente e senziente.
E invece di lei, del suo volere, di quello che avrebbe voluto per sé, non si sa niente, tanto c’è chi si occupa di accompagnarla nelle sue decisioni e le chiosa con il proprio metro personale di valutazione, sia esso giornalista, direttore di testata diocesana, magistrato, assistente sociale o genitore.
Decenni or sono Guccini avrebbe parlato di una "piccola storia ignobile" che "non vale due colonne su un giornale".
E’ valsa, invece, sofferenza e spettacolarizzazione. Il sangue quotidiano della cronaca.
[1] https://www.valeriodistefano.com/public/abortocorriere.png
[2] https://www.valeriodistefano.com/public/abortorepubblica1.png
[3] https://www.valeriodistefano.com/public/abortorepubblica2.png