La torta di ceci

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La torta (di ceci) è la torta.

Basta, non c’è altro da dire. Non è una di quelle frasi autoreferenziali del tipo "Sanremo è Sanremo" (e grazie tante!), è il risultato di una forma di constatazionismo che percepisce la torta come un unicum, come una categoria dello spirito, come qualcosa di ineffabile, dunque, di sacro, di santo, di venerabile.

Consolazione dello stomaco del gentiluomo livornese (il quale la trangugerà con una bottiglietta di Peroni gelata -volgarmente detto "il birrino" – o con un bicchiere di spuma bionda o al bitter, altrettanto marmata), la torta si chiama "torta" e non già "cecìna", termine volgare e financo pisano, e nemmanco "calda", come si usa in alta Toscana, quasi al confine con la Liguria.

Torta e basta.

La torta si fa così: si piglia della farina di ceci, possibilmente biologica e macinata a pietra, ma va bene di qualsiasi tipo, tanto favaìni, diciamo un due etti abbondantini per quattro persone, e la si stempera cor una frusta in un tre quarti di litro d’acqua diaccia. S
Si aggiunge una generosa manciata di sale (chè la torta sciocca è assai sgradevole, certo, occhio a non esagerare come al vostro solito) e ci si schiaffa una mezza bicchierata scarsa d’olio.
L’olio extravergine d’oliva è l’ideale, ma la torta siffata resterà assai greve, resistendo al fenomeno del rutto aperto e ristangnandovi nè’ succhi gastrici provocando quel fenomeno di rigurgito conosciuto a Livorno come "fortore".

Il tutto ha da essere bene amalgamato eliminando i grumi, che si formano difficilmente ma son assai nojosi nella preparazione e all’impatto col palato.

Or vedrete che, amalgamandolo, il tutto tenderà a formare una schiumina, lasciate riposare il composto così onnenuto per una ventina di minuti o mezz’ora, di modo che s’aromatizzi, poi versatelo in una apposita teglia rotonda in rame o in qualunque altro recipiente capiente e percipiente (basta col participio presente, ora…) di modo che non superi il centimetro e mezzo d’altezza.
Se non l’avete va bene anche una teglia di quelle antiadarenti purché sia di grandi dimensioni (chè la torta di ceci non ha da venir alta, sennò vi fa stoppaccio).
E, comunque, il recipente di cottura deve essere unto ben bene.
Tenete presente che un tegame, ancorché sia quello di Vostra Madre, questa volta non farà alla bisogna.

Stioccàtela in forno a 200-220° al massimo e ivi lasciatela per oltre un’ora, finché non la vedrete ricoprirsi di un color ambrato (ma sappiate che l’interno ha da risultare un po’ papposo, ancorché coagulato) e, bene asciugata, tiratela fuori dal forno e tagliatela a spicchi.

E’ da servirsi calda con focaccia o filino di francese (pan salato), spruzzata da una neve di pepe nero, come se fosse un paese in miniatura dentro una palla da agitare per vedere l’effetto.

Rammentatevi di me nelle vostre preci.

6 pensieri riguardo “La torta di ceci

  1. Baluganti Ampelio

    “[..]di modo che non superi il centimetro e mezzo d’altezza.”
    o boia, e poi ciai la ghigna di dì all’artri che fanno ir toppone???
    Fece bene quella der Germoglio a rifilatti du’ nocchini, cheè!

  2. Valerio Di Stefano

    Sei un animale!
    Il centimetro e mezzo di altezza vale per la parte liquida, che s’asciuga dimolto dopo la cottura riducendo la torta (che tanto sai ‘na sega te come si fa) allo spessore consueto, cioè quello in cui te la ingurgiti,”ma senza le melanzane sotto ‘r pesto che poi mi tornano a gola”, malidetto me e quando un ti ci mando.

  3. Baluganti Ampelio

    Si, infatti s’un mi sbaglio le teglie dei tortai sono tinozze…
    Ma vai in cvlo, vai, saiunasega te della torta…

  4. Valerio Di Stefano

    “Cecìna” è termine aberrante indubbiamente usato a Pisa e di’ ai tuoi avvocati che n’ho mangiati anche di più incazzati di loro!

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