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Gira che ti rigira, con la mia immarcescibile tendenza a non credere neanche all’evidenza e complici le mie notti insonni ho trovato una cosina proprio bellina.
Complice il link fornito nella home page del blog di Paolo Attivissimo, ho scoperto, buon ultimo (last but not least!), una pubblicazione curata dal blogger in questione e intitolata “Come diventare detective antibufala”. L’autore ci riferisce che si tratta di una guida “commissionata da MIUR e Camera dei Deputati”.
Orbene, io non so se Paolo Attivissimo abbia percepito o meno un compenso per questo suo lavoro. So solo che “Gratis” è morto e che “A poco prezzo” sta poco bene. Ma questo non mi importa. Indubbiamente la stampa e la distribuzione di questo fascicoletto saranno costate del denaro pubblico, e come contribuente ho il diritto di sapere come vengono impiegati i denari che pago regolarmente ogni anno fino all’ultimo centesimo e senza sconti. Poi, incidentalmente, ma solo incidentalmente, svolgo una attività lavorativa proprio per il MIUR, di cui non amo parlare troppo in pubblico, ma che mi dà il dovere, etico e professionale, di controllare che tipo di contenuti vengono proposti agli alunni delle scuole italiane e, per traslato, anche ai miei.
Si tratta di un file PDF liberamente scaricabile. Ma il server non è quello del blog di Attivissimo. Il file in questione è bensì residente sul sito generazioniconnesse.it. Non conoscendone le clausole sul diritto d’autore non posso fornirvelo qui. Posso, però, citarne alcuni passaggi e contenuti iconografici a scopo di discussione o di critica. Perché questo mi consente la legge italiana sul copyright. E questo farò.
L’esordio è addirittura fulminante:
Che culo che ho! Scoprire una bufala (povere bestie!) è facile. Bastano qualche minuto del mio tempo e un po’ di talento per riuscirvi. Il primo ce l’ho in abbondanza, il secondo, ritengo, in quantità almeno sufficiente. Sono a cavallo. Diventerò anch’io uno “smascheratore” e potrò cavalcare le onde dell’oceano del debunking.
Via, che ho tutto da imparare!
Qual è il primo contenuto che Attivissimo addita come falso agli studenti che seguono i suoi consigli? Questo:
Ciò che mi colpisce non è tanto la notizia in sé o chi siano in realtà le persone ritratte nell’immagine (un meme, Attivissimo nella pubblicazione usa anche una discutibile variante plurale di questo sostantivo, già orrendo di per sé, “memi”, ma non lasciamoci fuorviare) quanto un particolare aggettivale: quel “boldriniane” che appare nella prima riga.
Laura Boldrini è stata Presidente della Camera dei Deputati, la stessa che (non so se durante il suo periodo di reggenza o meno) ha commissionato a Attivissimo la realizzazione dell’opuscoletto. Ma c’è di più. Fu proprio Laura Boldrini a volere il blogger tra i collaboratori della task force contro le fake news istituita dal ramo del Parlamento da lei presieduto. E’ lo stesso Paolo Attivissimo il primo firmatario dell’appello sottoscritto dalla Boldrini e contenuto nel sito bastabufale.it. Non è certamente una colpa, questo va da sé, anzi, è un diritto. Ma, come si suol dire, controvento si può andare, contro chi ti dà lavoro o gloria, davvero no.
Dopo una serie di consigli di buon senso, che anche mia nonna sarebbe stata in grado di dare, arriva il primo grassetto:
“(…) la tua arma più potente contro le fake news è non fare nulla.”
Ma non dovevo diventare uno smascheratore di bufale? E com’è che a pagina 3 del trattatello, tutto d’un tratto, mi si consiglia di non fare nulla? Nulla è sempre meno di poco, diceva la mi’ nonna Angiolina, e per contrastare una fake news non basta certo non contribuire alla sua diffusione. Occorre smascherarla (appunto!) perché per una persona di buon senso che la riceve sul web, c’è un esercito di coglioni pronto a farla diventare virale. Non siamo in Piazza Tien An Men dove un solo uomo ha tenuto fieramente testa a una fila di carri armati. Questa è internet, bellezze, dove la reduplicazione dei contenuti è la conditio sine qua non per la loro conservazione in saecula saeculorum, amen!
A pagina 10 c’è una sezione intitolata “Come trovare un video”. Ma certo, i nostri alunni, senza i consigli del debunker, non saprebbero come altrimenti fare. Sono dei nativi digitali, perbacco, scaricano film piratati con la stessa facilità con cui sputano per terra, soprattutto se si tratta di video pornografici. Non è colpa loro, sono i loro argomenti! Sono generi di primaria necessità per la crescita del loro equilibrio psicofico, figuriamoci se non li individuano in tre secondi e due decimi netti!
Pagina 11 (puff puff…):
“Chiedere educatamente le fonti di una notizia non è peccato: non significa mettere in dubbio la reputazione di chi la sta diffondendo. Significa semplicemente cercare chiarezza e certezze, ed è un tuo diritto oltre che il dovere di un buon giornalista o investigatore.”
No, mi dispiace ma non è così. Non è un diritto. Anzi, una delle regole di un buon giornalista è proprio quella di non rivelare MAI le sue fonti a chi gliele chiede. Un noto collega di Attivissimo, David Puente, che fa parte di una task force govermativa sul controllo delle fake news, ha chiesto recentemente a un sito web di fornire le prove di quanto asseriva. Lo hanno mandato a spigare e chiesto provvedimenti nei suoi confronti al direttore del giornale per cui lavora. Non è vero che chiedere è lecito e rispondere è cortesia, nossignori. Se chiedi delle robe del genere ti mandano a quel paese senza passare nemmeno dal via. Oppure ci dica Attivissimo, per favore, cosa si aspetterebbe da una risposta a una richiesta del genere. “Venga pure”? “Ecco le nostre fonti così come ci ha richiesto”? “Sposi la figlia del direttore responsabile”? No, ce lo dica perché siamo curiosi assai.
Invece lui rassicura:
“Anche una mancanza di risposta è un indizio prezioso.”
No. Una mancanza di risposta è una non-risposta. E poi indizio di che cosa? Della malafede del giornalista o della testata? Del fatto che sono in imbarazzo? Ma via, c’è gente nel giornalismo che ha i contropeli sullo stomaco! Non rispondono neanche a lui, figuriamoci a uno studente di scuola secondaria di primo o di secondo grado. Ve lo immaginate? “Ho letto sul vostro giornale che esisterebbe o sarebbe esistita una trattativa stato-mafia. Sono uno studente liceale che deve preparare la tesina per l’esame di stato, mi direste per favore quali sono le vostre fonti? Qualche pentito eccellente? Qualcuno dei servizi segreti? Eh? Eh??” Ma via…
Il consiglio in caso di insuccesso? Questo:
Cioè, se non vi rispondono raccontatelo in giro. Un bel sistema per farsi ulteriormente prendere per le natiche, non c’è che dire.
Chi ci può aiutare nel nostro neolavoro antibufale?
“(…) puoi usare Wikipedia per avere una prima infarinatura di un argomento”
Ma certo, Wikipedia, come no, è arrivata la panacea di tutti i mali! Wikipedia, quella che si fa hackerare i template con le svastiche, quella che dice di sé di non poter garantire l’affidabilità dei contenuti. Non usate la Treccani, per carità, aveste per caso a imparar qualcosa! Andate, piuttosto, andate su Wikipedia che vi “infarina” lei. Magari imparerete anche voi che Léon-Robert de l’Astran è veramente esistito.
Non esiste solo internet, naturalmente. L’autore consiglia il suo pubblico di adolescenti di cercare un
“(…) esperto nella materia, o qualcuno che a sua volta conosce una persona competente: un medico, una pilota d’aereo, un militare, un ingegnere, un fisico.”
Ma certo, che ideona! Del resto chi è che non ha un pilota di aereo a portata di mano? La mia vicina di casa pilota velivoli cinque giorni la settimana, gli altri due li passa ad accudire marito, figli, lavare, spazzare, passare il cencio per terra, innaffiare le piante, fare da mangiare, pulire, lavare i piatti, stirare, fare tre lavatrici di mutande merdose e rientrare i panni stesi se piove. Ma lo fa così, per diversivo, per sport, per il resto la sparano quotidianamente a 10000 metri di altitudine, sì, sì. Che poi questi ragazzi andrebbero educati (educati, perbacco!) ad avere fonti di prima mano. Non a chiedere al vicino che conosce un panettiere, che è figlio di un avvocato che ha difeso un pilota che conosce un astronauta che al mercato mio padre comprò.
“Molti utenti pensano che Internet sia uno spazio ancora incontaminato e libero, dove tutti possono esporre le proprie opinioni alla pari, senza condizionamenti e influenze economiche, ma non è così, per ragioni tecniche e commerciali.”
Ma parli per sé, che ha un blog ospitato su Blogspot e deve sottostare alle regole (anche economiche) di quella piattaforma. Questo blog ospita delle pubblicità da cui trae piccoli, piccolissimi proventi ma non deve proprio rendere conto a nessuno in quanto a libertà di contenuti. Sono io che decido se ospitare la réclame o meno. Non sono loro che mi dettano le condizioni. Se voglio o non fanno quello che stabilisco per questo luogo virtuale le tolgo domani mattina.
“Ma oggi c’è anche una motivazione nuova: il guadagno diretto tramite la pubblicità online. Ci sono persone e aziende che creano siti Web o profili nei social network e li usano per pubblicare notizie false sensazionali su qualsiasi argomento, che attirano visitatori che le credono vere e le condividono con i propri amici sui social network: più visite e condivisioni generano, più guadagnano grazie alle pubblicità che ospitano.”
Non è vero! La maggior parte delle pubblicità presenti su un sito web viene pagata per ogni clic ricevuto (Google AdSense). Io in un giorno posso ricevere anche cento milioni di visite, ma se nessuno mi clicca sugli avvisi io non guadagno un accidente di niente. Altri tipi di pubblicità vanno a percentuale sugli ordini fatti. Se io mostro una pubblicità di Amazon l’utente deve PRIMA cliccarci sopra e poi ordinare da quel collegamento. Io guadagnerò una percentuale sulle vendite. Ma in quel momento e SOLO ALLORA, non prima. Per guadagnare VERAMENTE sulla pubblicità bisogna avere dei volumi di traffico come quelli di un quotidiano on line. Allora lì sì che si comincia a ragionare. Viceversa i gatti avranno poca trippa da mangiare.
“Se vuoi capire realmente il processo di creazione di una notizia (vera o falsa), crea un sito o un blog e prova a scrivere tu il resoconto (o lo sbufalamento) di una notizia. È un esercizio di buon italiano, di pensiero organizzato, di ricerca, di pianificazione e di progettazione informatica.”
Cioè? Lui che riprende i SUOI utenti perche fanno i “maestrini” di italiano (vedi qualche post indietro) sui suoi commenti, auspica addirittura un esercizio di “buon italiano”? Il mondo ha decisamente preso a girare alla rovescia, non c’è che dire.
In TUTTA la pubblicazione non c’è un solo cenno che sia uno alla necessità di non usare materiale protetto da diritto d’autore. Neanche mezza riga. Eppure i nostri studenti scambiano le foto reperibili in rete per materiale libero e finiscono per fare dei disastri senza sapere che stanno commettendo un crimine. Sarebbe stato almeno carino fare un cenno a questo aspetto.
In conclusione di questa inutile filippica osservo solo una cosa: i debunker di stato vengono spesso invitati come esperti del settore dell’informazione informatica e di rete a tenere incontri e conferenze nelle scuole. Parlano coi nostri figli, espongono questi ed altri contenuti nei loro incontri, magari sotto l’occhio benevolo di qualche dirigente scolastico che ritiene, in perfetta e assoluta buona fede, di aver reso un servizio utile per la loro crescita, informandoli delle conseguenze di un errato uso del web. E i nostri figli ci credono, per forza, cosa vuoi fare, non li puoi mica fermare. L’adulto, che è dall’altra parte della cattedra, o il conferenziere, sono le figure che sanno quello che loro non hanno ancora appreso. E quindi tendono a fidarsi. E’ normale che sia così. Se non ti fidi di chi le cose le sa o sostiene di saperle, di chi ti fidi? Ma sono i nostri figli, perbacco. Non è colpa loro se sono dei contenitori vuoti, e non è proprio obbligatorio riempirli con informazioni sbagliate, come l’uso di Wikipedia come elemento “infarinante”. Pensiamoci bene. E quando un debunker viene nella scuola dei nostri figli, dove i nostri figli studiano, si formano, crescono, si innamorano e si incontrano quotidianamente rivolgiamoci al Dirigente Scolastico o al coordinatore di classe e chiediamo spiegazioni. Avremo senz’altro tutto da guadagnarci e niente da rimetterci. Sono i nostri soldi destinati all’istruzione PUBBLICA che vengono impiegati per questi progetti didattici. Sono i nostri figli i primi e più diretti destinatari di questi contenuti. Cerchiamo di stare attenti!