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Non si capisce perché la sua decisione di ritirarsi, pagato dalla Previdenza italiana e dalle tasse dei cittadini, dalla vita lavorativa, non corrisponda anche alle sue dimissioni da sottosegretario del Governo (si è mai visto qualcuno dell’esecutivo lasciare il proprio posto solo perché va in pensione? Non mi pare…), ma il meccanismo, nemmeno tanto lento, dell’oblio di massa è passato anche sopra a questa evidente contraddizione in termini.
Bertolaso non va solo in pensione, evidentemente, ma spegne i riflettori sulla sua figura e, soprattutto, sulle tante pessime figure rimedite negli ultimi anni del suo mandato, in primis la gestione dell’emergenza post-terremoto a L’Aquila con tutto quello che ne consegue.
La pensione è quella cosa per cui chi ne ha diritto e ne usufruisce, poi viene completamente dimenticato dal resto del tessuto sociale.
Si libera dall’evidenza della notorietà e gode di una sorta di amnistia mentale collettiva che termina in un corto circuito evidente in cui il giudizio sul personaggio e sull’operato della sua funzione pubblica viene congelato, per non dire evaporato.
Bertolaso scende dal palcoscenico, dunque.
Qualcuno dice "ci mancherà". Ad altri, me compreso, non mancherà affatto.
Tutti, immancabilmente e incondizionatamente, saremo però disposti volentieri a formattare quella parte della nostra memoria in cui erano incisi i dati su L’Aquila, sui rifiuti di Napoli e della Campania, le sue interviste ad "AnnoZero" tese a rassicurare l’opinione pubblica di Terzigno che in realtà non sta accadendo niente di così grave, nonché l’essersi smarrito dopo l’incontro con una Signorina che gli aveva dato una "rilassata".