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La ragazza dietro alla cassa del supermercato si chiama Jessica, ha i capelli neri e biondi e appena ti apre il conto sembra abbia messo su un 45 giri rotto, ammesso che lei abbia mai visto un 45 giri in quelli che sembrano essere i suoi vent’anni sessualmente ben sfruttati: "Buongiorno signore, ha la tessera?"
A parte il fatto che, come diceva Don Vellutini (sì, ultimamente lo cito spesso, e allora?? Sono sul mio blog e cito un po’ chi cacchio mi pare, va bene??), "Qui di signori c’è solo quello lassù inchiodato sulla croce…" ma, soprattutto, la tessera? Cazzo è la tessera??
"La tessera punti, signore, quella che le permette di ricevere un punto ogtni 20 euro di spesa, fino al 31 luglio può accumulare crediti, e con solo 400 punti potrà avere un piatto fondo e un piatto piano da portata…"
No, non ho nessuna tessera punti, e non ho nessuna intenzione di spendere 400 X 20 = 8000 euro in questo supermercato da qui al 31 luglio per avere due piatti in regalo. Ecco, vorrei dirglielo, ma mi contengo limitandomi a un "no". Che, si sa, è una di quelle parole che aiutano a crescere.
Mi tratta come un vecchio e questo non lo sopporto. Cioè, non è che io non sopporti il fatto di essere vecchio, mi dà noja che questa superefficentissima impiegata a tempo determinato con la casacchina del supermarket e l’aria di chi non vede l’ora di uscire di lì per farsi sdrajare sul sedile della macchina dal fidanzato, mi dica come funzioni una tessera punti.
Maremma ciuca, la mì’ nonna Angiolina raccoglieva i punti del Brodo Star, e la sera li incollava su una tessera quadrettata (che sembrava un lenzuolo) con l’"attaccatutto" e adesso questa fa la sufficientina perché mi offre una tessera magnetica con il logo e pretende anche di spiegarmela!
– "Sono quarìndici euro e rotti…"
– "Sì, tenga…" e le do la mia carta di credito.
A questo punto la wonder-woman da supermercato mi guarda e mi fa la fatidica domanda su cui l’aspetto per darle il colpo di grazia: "Bancomat o carta di credito?"
A parte il fatto, carina, che se guardi bene c’è il logo della Visa, e vedrai che non è certamente una vasca di allevamento per vongole, "E’ una carta di credito, e comunque il dispositivo dovrebbe riconoscerla automaticamente…"
L’ho distrutta, penso, adesso sta zitta e per punizione stasera niente nanna col fidanzato. Invece mi replica: "Allora devo chiederle un documento di identità…" E sottolinea il "devo" come un imperativo categorico.
Vuole sapere che io sono io. Per offrirmi una tessera e avere i miei dati sarebbe disposta a fare carte false, potrei scrivere qualunque cosa sulla richiesta, fare uno svolazzo al posto della firma che va tutto bene, ma per la carta di credito no, lei DEVE chiedermi un documento.
In Italia non si fa mai, è vero, se vado a Dublino da Laura Ashley a pagare il conto di mia moglie la commessa cortesemente mi chiede il documento e io non ci trovo nulla di strano, idem se mangio in un pub del centro, ma mi sono talmente abituato all’arte di fidarsi e di tirare a campare degli italiani che sì, il documento per un pagamento con carta di credito mi sembra strano. Non scorretto, strano. Inusuale. E mi dà un senso di disagio. Come il controllore dei biglietti sull’autobus anche se hai timbrato regolarmente.
Le do la mia patente. Ridacchia. E’ una di quelle rosa, di stoffa, che si usavano nel 1983. E’ molto spiegazzata, del resto la porto in giro da 30 anni. Cade un francobollino, c’è scritto "Marca per patenti, lire 20.000". Una reliquia.
"C’è poco da ridere, le patenti erano così, non avevano l’aspetto di una tessera punti!"
E’ l’ultimo tentativo di affondo, e riesce bene. Improvvisamente sono così orgoglioso delle cose che esistevano un tempo… la patente di stoffa, il mangiadischi da portare in spiaggia, l’autoradio con la plancia estraibile sempre nella mano destra, il canarino sopra la finestr…, i sedili ribaltabili della 127, tutte cose che lei non conosce, ma mi congeda con la tipica faccia di chi, tanto, stasera si fa ribaltare lo stesso.
PS: La mia carta di credito non è quella della Linux Foundation, diciamo che quella mi piacerebbe averla davvero. Ho quella di Altroconsumo (vedi sotto) va bene uguale?
A parte il fatto che, come diceva Don Vellutini (sì, ultimamente lo cito spesso, e allora?? Sono sul mio blog e cito un po’ chi cacchio mi pare, va bene??), "Qui di signori c’è solo quello lassù inchiodato sulla croce…" ma, soprattutto, la tessera? Cazzo è la tessera??
"La tessera punti, signore, quella che le permette di ricevere un punto ogtni 20 euro di spesa, fino al 31 luglio può accumulare crediti, e con solo 400 punti potrà avere un piatto fondo e un piatto piano da portata…"
No, non ho nessuna tessera punti, e non ho nessuna intenzione di spendere 400 X 20 = 8000 euro in questo supermercato da qui al 31 luglio per avere due piatti in regalo. Ecco, vorrei dirglielo, ma mi contengo limitandomi a un "no". Che, si sa, è una di quelle parole che aiutano a crescere.
Mi tratta come un vecchio e questo non lo sopporto. Cioè, non è che io non sopporti il fatto di essere vecchio, mi dà noja che questa superefficentissima impiegata a tempo determinato con la casacchina del supermarket e l’aria di chi non vede l’ora di uscire di lì per farsi sdrajare sul sedile della macchina dal fidanzato, mi dica come funzioni una tessera punti.
Maremma ciuca, la mì’ nonna Angiolina raccoglieva i punti del Brodo Star, e la sera li incollava su una tessera quadrettata (che sembrava un lenzuolo) con l’"attaccatutto" e adesso questa fa la sufficientina perché mi offre una tessera magnetica con il logo e pretende anche di spiegarmela!
– "Sono quarìndici euro e rotti…"
– "Sì, tenga…" e le do la mia carta di credito.
A questo punto la wonder-woman da supermercato mi guarda e mi fa la fatidica domanda su cui l’aspetto per darle il colpo di grazia: "Bancomat o carta di credito?"
A parte il fatto, carina, che se guardi bene c’è il logo della Visa, e vedrai che non è certamente una vasca di allevamento per vongole, "E’ una carta di credito, e comunque il dispositivo dovrebbe riconoscerla automaticamente…"
L’ho distrutta, penso, adesso sta zitta e per punizione stasera niente nanna col fidanzato. Invece mi replica: "Allora devo chiederle un documento di identità…" E sottolinea il "devo" come un imperativo categorico.
Vuole sapere che io sono io. Per offrirmi una tessera e avere i miei dati sarebbe disposta a fare carte false, potrei scrivere qualunque cosa sulla richiesta, fare uno svolazzo al posto della firma che va tutto bene, ma per la carta di credito no, lei DEVE chiedermi un documento.
In Italia non si fa mai, è vero, se vado a Dublino da Laura Ashley a pagare il conto di mia moglie la commessa cortesemente mi chiede il documento e io non ci trovo nulla di strano, idem se mangio in un pub del centro, ma mi sono talmente abituato all’arte di fidarsi e di tirare a campare degli italiani che sì, il documento per un pagamento con carta di credito mi sembra strano. Non scorretto, strano. Inusuale. E mi dà un senso di disagio. Come il controllore dei biglietti sull’autobus anche se hai timbrato regolarmente.
Le do la mia patente. Ridacchia. E’ una di quelle rosa, di stoffa, che si usavano nel 1983. E’ molto spiegazzata, del resto la porto in giro da 30 anni. Cade un francobollino, c’è scritto "Marca per patenti, lire 20.000". Una reliquia.
"C’è poco da ridere, le patenti erano così, non avevano l’aspetto di una tessera punti!"
E’ l’ultimo tentativo di affondo, e riesce bene. Improvvisamente sono così orgoglioso delle cose che esistevano un tempo… la patente di stoffa, il mangiadischi da portare in spiaggia, l’autoradio con la plancia estraibile sempre nella mano destra, il canarino sopra la finestr…, i sedili ribaltabili della 127, tutte cose che lei non conosce, ma mi congeda con la tipica faccia di chi, tanto, stasera si fa ribaltare lo stesso.
PS: La mia carta di credito non è quella della Linux Foundation, diciamo che quella mi piacerebbe averla davvero. Ho quella di Altroconsumo (vedi sotto) va bene uguale?