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l “quartetto” – Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu – si riunirà il 28 febbraio a Berlino. Avrà all’ordine del giorno la definizione dei termini del confronto con il nuovo governo palestinese guidato da Ismail Haniyeh, l’esponente di Hamas già Primo Ministro nel monocolore uscente. Il mini-vertice dovrebbe segnare (ancora una volta) l’impegno delle “grandi potenze” nel favorire la continuazione del dialogo tra israeliani e palestinesi, insieme alla riaffermazione della comune volontà di arrivare alla realizzazione dello Stato palestinese accanto a quello israeliano per avviare, si spera, una nuova stagione politica. A Berlino, quindi, la diplomazia mondiale si troverà di fronte ad una inedita fase di strategia politica. Tutto questo tenendo conto che nella riunione dei giorni scorsi (che si è svolta a Tel Aviv) tra il primo ministro israeliano Ehud Olmert, il Presidente dell’Autorità palestinese (Ap) Abu Mazen e il Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice si è comunemente ribadito che “uno Stato palestinese non può nascere dalla violenza e dal terrore”.
C’è, quindi, una richiesta di dialogo pur se la pace è ancora lontana. I risultati, sino ad oggi, sono minimi. Il Daily News, in proposito, ha notato che c’è stata solo «una dannosa stretta di mano» perché Hamas non ha ancora riconosciuto Israele e si è registrato il tentativo della Casa Bianca di “far arrivare 86 milioni di dollari alle forze di Abu Mazen sebbene non sia ancora chiara la loro separazione da gruppi terroristici come le Brigate Al Aqsa”.
Eppure la riunione – il primo vertice tra Israele, Autorità Palestinese e Stati Uniti -ha avuto ed ha un valore globale perché, pur senza rimettere in discussione i precedenti accordi, costituisce già un successo. E questo tenendo conto del fatto che il Segretario di Stato degli Usa, Condoleeza Rice, proprio alla vigilia dell’incontro, aveva mostrato un certo pessimismo. Non aveva nascosto l’insorgere di “complicazioni”, con un chiaro riferimento all’accordo firmato l’8 febbraio alla Mecca fra Abu Mazen e il leader in esilio di Hamas, Khaled Meshaal, a proposito della formazione di un governo di unità nazionale palestinese.
Un accordo – va rilevato – che è stato accolto positivamente in Palestina e in tutte le capitali dei Paesi arabi ed islamici, oltre che in numerose aree europee – a cominciare da Parigi, Londra e Berlino – incontrando anche il pieno consenso della Russia e della Cina. E’ chiaro, comunque, che su tutta l’intera vicenda israeliana e palestinese gravano pur sempre le varie soluzioni che si prospettano nei due campi. C’è la questione del costituendo governo palestinese di unità nazionale sul quale si sono accordate Al Fatah (la formazione guidata da Abu Mazen) e il movimento radicale Hamas che è maggioritario dopo le elezioni dell’anno scorso e che ha finora rifiutato di accettare i punti cruciali chiesti dalla comunità internazionale. Che sono quelli relativi alla rinuncia alla violenza e al riconoscimento di Israele e dei precedenti accordi firmati dall’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp). Tutto questo perché, come è noto, proprio la vittoria elettorale di Hamas e la successiva formazione del suo governo monocolore, attualmente dimissionario, aveva spinto parte della comunità internazionale a imporre sanzioni all’Ap.
Ora la questione del rapporto con il nuovo governo palestinese (che dovrà essere costituito entro due settimane) resta in sospeso e, in merito, non sono mancate polemiche anche subito dopo il vertice. Olmert, ad esempio, intervenendo ad una riunione del suo partito Kadima, ha detto che Stati Uniti e Israele non prenderanno in considerazione un Esecutivo palestinese che non accetti le condizioni poste dal cosiddetto “Quartetto”, cioè il riconoscimento del diritto di Israele a esistere, il rifiuto della violenza e il rispetto degli accordi presi in passato. Pace ancora lontana…
Il “Quartetto” andrà all’incontro di Berlino con un atteggiamento pragmatico. Una sorta di “cauta attenzione” anche per raffreddare le tensioni sociali. Perché sul tavolo della trattativa c’è pur sempre quell’ombra che si riferisce a quell’accordo appena firmato alla Mecca tra i due fratelli-nemici palestinesi, Hamas e Fatah. Ed è qui che si sono manifestati, in seno alla comunità internazionale, i primi dissensi. Come interpretare, infatti, l’accordo alla luce delle condizioni poste dal “Quartetto” per una ripresa degli aiuti diretti all’Autorità Palestinese, letteralmente asfissiata da un anno di embargo?
Le potenze occidentali, ad esempio, insistono sulla fine degli scontri interpalestinesi per dare il via alla ripresa degli aiuti internazionali. E in merito c’è una precisa posizione della Russia (espressa ufficialmente dal rappresentante per il Medio Oriente del presidente Putin, Alexandre Saltanov) che ha già invitato il “Quartetto” a “discutere la questione dell’interruzione dell’embargo economico” imposto ai palestinesi. E qui va rilevato che tra Mosca e Washington, gli europei si mostrano prudentemente ottimisti. Potrebbe proprio essere l’ottimismo del continente a fornire sorprese capaci di accelerare il processo di pace.