Continuano le misure repressive contro i prigionieri politici dopo la scarcerazione
Di Johanna Bankston, dirigente della Ricerca e Tutela dei Diritti Umani presso l’organizzazione Artistic Freedom Initiative (AFI) [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione], la cui inchiesta è stata citata nel presente articolo.
Questa settimana il neoeletto presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha preso parte all’Assembla generale dell’ONU a New York per esprimere la posizione dell’Iran in merito a diverse questioni importanti. Durante la visita, ha incontrato vari capi di stato, esperti di centri di ricerca e iraniani residenti all’estero per discutere del futuro del Paese sotto il suo governo. Mentre Pezeshkian si prepara ad affrontare la questione del futuro dell’Iran di fronte alla comunità internazionale, è necessario risolvere i problemi attuali dei cittadini iraniani, come i continui attacchi contro gli attivisti e i dissidenti.
La visita del presidente ricorre a due anni dalla tragica morte della giovane curdo iraniana Mahsa Jina Amini, che ha scatenato in tutta la nazione un’ondata di proteste note come il movimento “Donna, Vita, Libertà”, alle quali il governo ha risposto con estrema violenza. Allo stesso tempo, il regime ha dato inizio a campagna pluriennale per colpire i dissidenti, inclusi attivisti, giornalisti, artisti e avvocati, attraverso una serie di misure punitive per aver appoggiato il movimento.
Negli ultimi due anni, centinaia di dissidenti iraniani sono stati incarcerati con l’accusa di fare propaganda, minacciare la sicurezza nazionale, essere blasfemi oppure aver offeso la morale pubblica tramite le loro opere e/o le proteste pacifiche. Le sentenze previste dalla legge per i reati sopracitati sono spesso estreme, e comportano la detenzione preventiva, la fustigazione e/o la pena capitale.
Alcuni casi recenti di prigionieri politici in Iran hanno suscitato molta attenzione da parte dei media internazionali riguardo alla gravità della situazione che dev’essere immediatamente affrontata. Tuttavia, secondo una delle ultime inchieste di Artistic Freedom Initiative (AFI), il documento intitolato “I Create; I Resist: Iranian Artists on the Frontline of Social Change” [Io creo; io resisto: Gli artisti iraniani in prima linea per il cambiamento sociale], gli abusi della Repubblica Islamica contro i prigionieri politici spesso continuano anche dopo la scarcerazione attraverso l’applicazione di leggi punitive.

‘My Hair is Not Your Battle Ground’ [I miei capelli non sono il vostro campo di battaglia] di Roshi Rouzbehani, uso consentito.
Nel documento si analizzano 15 casi di artisti arrestati in maniera arbitraria per le loro opere e/o idee secondo l’estremamente ampia e vaga legislazione precedentemente citata.
Gli esiti dei casi sono molteplici; alcuni artisti sono stati rilasciati come “gesto di benevolenza” del regime, mentre altri, come il rapper Toomaj Salehi, sono stati condannati severamente, persino alla pena capitale, sentenza che è stata in seguito ridotta. In particolare, l’inchiesta ha evidenziato che nella stragrande maggioranza dei casi i dissidenti sono stati sottoposti a ulteriori misure punitive: il regime ha continuato a esercitare la censura e a controllare il loro operato per anni e anni dopo la scarcerazione. Ad esempio, si parla non solo ma anche di confessioni forzate, interdizioni dal lavoro e restrizioni alla mobilità.
Nel luglio 2022, Sepideh Rashno, scrittrice, poeta e attivista iraniana, è stata arrestata per non aver aver rispettato il codice d’abbigliamento per le donne, che non possono mostrarsi in pubblico senza l’hijab. Rashno è stata in carcere per settimane prima di apparire in un programma della tv di stato iraniana, in cui ha ammesso di “sentirsi in colpa” per aver infranto la legge. L’artista presentava lividi sul viso, probabilmente perché torturata per convincerla a scusarsi pubblicamente. Nonostante la confessione, Rashno è stata poi condannata per “propaganda” e “promiscuità” e sconterà una pena di quasi quattro anni.
Le confessioni forzate sono diventate una tattica comune del regime per umiliare pubblicamente i dissidenti e far capire agli spettatori che anche le proteste pacifiche possono avere severe ripercussioni. Queste “ammissioni di colpa” sono ottenute sotto tortura oppure sotto minaccia nei confronti dei manifestanti stessi o della loro famiglia. Considerato che gli effetti psicologici della tortura hanno conseguenze a lungo termine, perché si teme che la tragedia possa ripetersi o che siano colpiti anche i propri familiari, le vittime hanno meno probabilità di dedicarsi nuovamente all’attivismo dopo la scarcerazione.
Il regime si avvale anche di sempre più interdizioni dal lavoro come misure punitive per contrastare il dissenso a lungo termine. Nel 2022, Taraneh Alidoosti, attrice protagonista del film The Salesman che ha vinto un Oscar nel 2017, è stata arrestata per “aver dichiarato il falso” dopo aver pubblicato una foto senza hijab su Instagram con un cartello che recitava: “Donne, Vita, Libertà”. L’attrice è stata in carcere per due settimane e mezzo, dopodiché le è stato imposto il divieto di lavorare nell’industria cinematografica iraniana.
Le interdizioni dal lavoro consentono al regime di censurare in maniera efficace i dissidenti dopo il rilascio dal carcere seguendo in apparenza la legge. Inoltre, dopo anni di disoccupazione forzata sotto pena di detenzione, gli artisti come l’attrice Alidoosti potrebbero andare incontro a gravi conseguenze professionali. Ad esempio, essere stigmatizzati all’interno dell’ambito di lavoro oppure affrontare problemi economici mentre cercano un’alternativa per sostenersi e aiutare le loro famiglie nel frattempo. Nonostante le conseguenze siano meno immediate delle minacce fisiche, una persecuzione economica di questa portata colpisce gravemente chi ne è vittima.
Infine, il regime sta anche attuando delle restrizioni alla mobilità nei confronti dei prigionieri politici rilasciati per impedire che continuino le loro attività all’estero oppure che chiedano asilo in un altro paese. Qualche settimana fa, la fuga di Mohammad Rasoulof, regista di “The Seed of the Sacred Fig” [Il Seme del Fico Sacro], film vincitore del prestigioso premio FIPRESCI a Cannes 2024, è stata su tutti i giornali: il regista ha lasciato l’Iran a piedi dal confine dopo una sentenza di otto anni di prigione per aver girato un film sulle proteste del 2022 senza l’approvazione del governo. Rasoulof ha detto che il suo passaporto era stato confiscato anni prima dal governo come misura punitiva per i suoi progetti artistici, e ciò gli ha impedito di sfuggire alla persecuzione di cui è stato vittima per tutta la sua carriera.
L’uso del regime di coercizione e tortura, persecuzioni economiche e l’aumento dell’interdizione alla mobilità contro i prigionieri politici in seguito alla scarcerazione è contro la legge. È necessario che la comunità internazionale collochi queste misure punitive all’interno del contesto più ampio delle tattiche repressive adottate dal regime a discapito dei dissidenti e che questi ultimi vadano sotto la tutela del diritto internazionale.
Mentre le figure di spicco iniziano a discutere con il presidente Pezeshkian riguardo al futuro dell’Iran, è fondamentale considerare la tutela dei diritti e delle libertà degli iraniani come un fenomeno di fondamentale importanza vista la possibilità di riformare il paese sotto il nuovo governo.