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Il MOIGE è il “Movimento Genitori”.
Il suo sito web risponde all’indirizzo http://www.genitori.it.
Il suo scopo è condivisibilissimo: aiutare i genitori in una educazione chiara e responsabile dei figli, nella tutela dei minori, soprattutto dalle inside dei media, porre “attenzione a norme e prassi relative ad alcool, fumo, giochi con vincita in denaro, pornografia e videogiochi inadatti”.
Accetta donazioni liberali ed è possibile destinare il 5 per mille sull’IRPEF a sostegno delle proprie attività. Cose che io non farò.
Perché se da un lato sono condivisibilissime le finalità sociali e di prevenzione di questo organismo (chi non vorrebbe vedere i bambini più preservati nell’approccio con le tecnologie, e più difesi dalla possibilità di sviluppare dipendenze da alcool, droghe e gioco d’azzardo?) sono i contenuti che mi lasciano profondamente perplesso.
Comincio con una dichiarazione di Maria Rita Munizzi, Presidente del MOIGE, che riguarda Facebook, all’indomani della notizia (assai preoccupante) dell’adescamento di una tredicenne da parte di alcuni suoi coetanei:
“Facebook non tutela i nostri figli ed è gravissimo che continui a consentire l’iscrizione senza imporre nessun tipo di controllo. Siamo pronti ad azioni legali contro il social network se non si provvederà ad adottare forme di tutela più efficaci che impediscano ai nostri figli di incorrere in tali pericoli”.
E’ chiaro che è l’approccio iniziale ad essere sbagliato perché non è Facebook (o qualsiasi altro social network) a dover non consentire l’iscrizione di un minore, per il semplice fatto che non ha gli strumenti materiali (e non li avrebbe nessuno, in rete, non solo Facebook) per verificare se la persona che si collega e si iscrive sia minorenne o meno. Come faccio io a stabilire da un indirizzo IP se chi siede davanti al computer e guarda il mio blog sia una persona minorenne o no, e se sì, se scriva dal computer di casa o da un internet point (che, normalmente, dovrebbe chiedere la carta d’identità ai suoi avventori, ma di solito non lo fa mai), o da una biblioteca pubblica (“scusi, è libera la postazione internet n. 4??” E come fai a dire di no? Rifiuti un servizio pubblico?), o dalla postazione di un amichetto compiacente? Non lo può sapere Facebook, e non lo può sapere NESSUNO.
L’unica entità che può prevenire il pericolo che una persona minorenne si iscriva a Facebook (e per il regolamento di Facebook possono iscriversi anche i minori) è la FAMIGLIA, basta, non ce ne sono altre.
Cosa dovrebbe controllare, Facebook, che tu sei tu? E quali azioni legali possono venire portate avanti nei confronti di Facebook? Facebook risponde alla normativa degli Stati Uniti, non a quella italiana. I dati vengono conferiti in un altro Stato. Ritengo che il movimento “genitori.it” sia abbastanza abbiente da potersi permettere assistenza legale negli Stati Uniti, dove gli avvocati costano, e costano molto, ma le uniche “forme di tutela più efficaci che impediscano ai nostri figli di incorrere in tali pericoli” sono quelle che impediscono ai nostri figli di andare su Facebook. Sono il controllo, l’educazione e la prevenzione.
Ma controllo, educazione e prevenzione non bastano. Ci vuole la conoscenza.
E’ su questo che si basa la sfida educativa. I genitori devono conoscere meglio dei loro figli quelle che si ostinano a chiamare le “nuove tecnologie”, altrimenti è finita. Altrimenti si correrà sempre il rischio non solo che i bambini vengano adescati (come se fuori dai social network tutto questo non esistesse), ma anche, ad esempio, di vedersi querelati perché il figlio adolescente ha schiaffato su Facebook la foto di un maestro, di un professore, di un compagno, del giornalaio, dello scemo del villaggio, di una persona qualsiasi e l’ha magari insultato, sbeffeggiato, offeso, diffamato, e quello a un certo punto ha deciso di non fargliela passare liscia.
Ci sono concetti nel nostro sistema giuridico come quello della “culpa in vigilando” e della “culpa in educando”, che non possono essere scaricati su Facebook che diventa l’orco, il cattivo di turno, il lupo che ti mangia, il babàu che ti assale mentre percorri il bosco con il cestino sotto il braccio per andare a fare visita alla nonna.
Ma perché, un bambino o un adolescente devono per forza avere Facebook? E’ chiaro, “perché ce l’hanno tutti” (i nostri figli non sono “tutti”, sia chiaro), “perché lo vogliono”, “perché se no ci fanno due palle così”, “perché sono bambini e tutto è concesso e concedibile”, “perché così passano un po’ di tempo a chiacchierare con gli amici” (già, e vederli al parco per una partita di pallone no, eh??)…
Termina Minuzzi: “noi saremo sempre in prima linea per sensibilizzare ed educare i ragazzi all’uso del web, ma è assolutamente necessario che ognuno faccia la sua parte, a partire da chi come Facebook lucra milioni di euro sulla sua piattaforma sociale”. E certo che Facebook lucra, chissà cosa pensa la gente che sia, una associazione a scopo benefico? Non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e tutti sottoscriviamo che ognuno deve fare la propria parte, ma i primi a dover fare la propria parte sono proprio i genitori. Facebook non è che la punta dell’iceberg, prima c’erano i vari sistemi di messaggistica istantanea, le chatline, e giù giù fino alla stratificazione dei ghiacci dei newsgroup o delle mailing-list. Che esistono ancora, sapete, mica sono spariti dalla circolazione. Semplicemente, nessuno ne parla. Se questi genitori sapessero come è semplice scaricarsi delle foto pornografiche collegandosi con i newsgroup binari smetterebbero subito di prendersela con Facebook. E sono cose che può fare chiunque. Io, voi che mi leggete, il presidente del MOIGE o chi per noi. Certo, bisogna saperlo fare e avere gli strumenti per farlo. E’ per questo che la conoscenza della rete è importante, perché ci permette di esercitare quel controllo sui minori che è alla base della loro educazione.
Se sia i genitori che i figli NON sanno una cosa non succede nulla. Se la sanno SOLO i genitori possono insegnarla ai figli, ma se la sanno SOLO i figli tengono inevitabilmente sotto scacco i genitori.
Ma c’è molto di più su genitori.it.
C’è, ad esempio, un “promo” in cui si vede Milly Carlucci che si presta (nobile gesto!) a promuovere la campagna “Dite ai vostri figli di non accettare sms dagli sconosciuti”.
Santo cielo, ma un SMS, fino a prova contraria NON E’ una caramella, che si può rifiutare. Un SMS arriva. E NON SI PUO’ EVITARE. Gli SMS sono la tecnologia più invasiva che esista al mondo. Perché il telefonino lo porti sempre con te (guai a non averlo, essere sempre raggiungibili è un obbligo!!) e un SMS può arrivarti a qualunque ora del giorno e della notte. E non lo puoi evitare. Sia che sia l’amichetto o la amichetta del cuore a scriverti, sia che si tratti del pedofilo di turno che chiede una foto oscena in cambio di pochi euro di ricarica telefonica.
Fa bene la Carlucci a terminare lo spot con un preoccupato “Che vergogna, ragazzi!”, perché questo indica la sua partecipazione emotiva al problema.
Ma siamo sicuri che la vergogna siano SOLTANTO i pedofili che chiedono materiale osceno in cambio di un po’ di credito? O forse non è altrettanto vergognoso che ragazzini di 13-14 anni vadano in giro con lo SmartPhone ultimo modello, magari regalato dai nonni (perché, poverini, han fatto la Comunione, sono stati promossi, è il loro compleanno, no, anzi, è Natale e se lo meritano…), e lo usano con il benestare implicito dei genitori, i quali si fanno intestare una SIMcard con cui un minore fa tutto quello che vuole, perché lo sa che è difficilmente rintracciabile e punibile?
Regaliamo ai nostri figli cellulari con cui si fanno facilmente foto, video, con cui si registrano conversazioni di nascosto, e queste informazioni possono viaggiare in tempi rapidissimi. Lo sappiamo, buon Dio, lo sappiamo tutti. E allora perché facciamo finta di non saperlo e li riempiamo di roba che costa 600-700 euro??
La tecnologia che ci aiuta c’è. Eccolo qui:
E’ un telefonino cellulare prodotto e messo in commercio dalla ITT. E’ roba di casa nostra, fatta dagli italiani. Non lo importiamo dalla Svezia. Di più, è uno dei valori aggiunti al PIL. Non serve solo per i bambini, va benissimo anche per gli anziani. Ha cinque tasti su cui si possono prememorizzare altrettanti numeri. Mamma, papà, casa, fratello o sorella e nonni. A chi cavolo deve telefonare un bambino o un adolescente? All’amico o all’amica del cuore per raccontarsi le loro cose? Va benissimo, lo abbiamo fatto tutti, non c’è NIENTE DI MALE, ma allora telefoni dal cellulare di mamma o di papà. Che non devono stare lì ad ascoltare quello che dici. Ma almeno SANNO a CHI telefoni.
E con un cellulare così basta mettere una scheda SIM che sia registrata sul sito internet del gestore (e ovviamente intestata al genitore), cosa che TUTTI I GESTORI ITALIANI OFFRONO. Così si vede se il minore, magari, in un lampo di genio, si è fatto prestare il cellulare da un compagno, ci ha inserito la sua scheda e ci ha fatti fessi.
E’ poco, forse, ma è già qualcosa di più e di meglio che comprare loro l’I-Phone.
E quando sono i nonni a spingere per il cellulare ultimo modello, un bel “Mamma, papà, i miei figli li educo come voglio io, voi ne siete fuori!” male non fa.
Perché è troppo semplice dire che è tutta colpa di Facebook.
Mi ricordano tutti quei genitori progressisti e radical chic pronti a dar colpe dovunque e a chiunque, poi magari si dimenticano che il primo faro dei figli devono esser loro.
capisco il controllo ma mi sa tanto di paranoia. Un’adolescente a chi deve chiamare??? gli amici e ha il sacrosanto diritto di chiamare chi gli pare quando gli pare. Se la famiglia è stata presente fin dalla nascita e non li ha depositati negli asili nido per 9-10 ore al giorno, se non li ha mandati a fare 3 sport diversi e se non li fa stare da soli a casa per via del lavoro, allora i figli nascono sani e non regole. Se tutto questo avviene, saranno gli stessi ragazzi ad essere attenti. Infatti, al nord, dove si corre da pazzi, c’è più criminalità minorile e i ragazzi si sbronzano a 12 anni. Al sud a 12 anni i ragazzi cominciano a uscire in orari non sospetti con gli amici. Prima i genitori vogliono il giocattolo, poi lo lasciano in un angolo. Ovvio che l’albero cresce storto