274 total views, 2 views today
Sono notizie di particolare gravità quelle che riguardano la libertà in rete, e che di raggiungono nel bel mezzo della digestione dell’immenso e inconsulto pranzo di Pasqua. Notizie che se non ci venissero date dall’ottimo Guido Scorza (con cui, bisogna che lo dica, una volta per tutte, non sono sempre totalmente d’accordo, ma che ha il grande merito di accendere i riflettori -lui che può- su questioni che dovrebbero destare sociale allarme e civile indignazione, se vivessimo in uno Stato civile) passerebbero dimenticate tra le uova benedette e gli annunci di resurrezione.
Non c’è nessuna resurrezione, no, almeno per il sito della Direzione Provinciale del Lavoro di Modena, che è stato chiuso d’ufficio con una nota del Segretario generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, del 5 aprile 2012 in cui si specifica che:
“al fine di garantire una rappresentazione uniforme delle informazioni istituzionali e con riferimento agli obblighi di trasparenza ed ai profili di comunicazione e pubblicazione delle informazioni di interesse collettivo anche per quanto attiene agli Uffici territoriali, si chiede alle SS.LL. di provvedere alla immediata chiusura del sito internet www.dplmodena.it”.
Non mi è dato di sapere in che modo il sito www.dplmodena.it abbia violato quegli “obblighi di trasparenza ed ai profili di comunicazione e pubblicazione delle informazioni di interesse collettivo” di cui parla la nota del Ministero del Lavoro, ma è certo che, per imperizia, superficialità, distrazione o intenzionalità, almeno una pagina è sopravvissuta ed era ancora visibile al momento in cui ho visitato il sito:
Vi si leggono comunicazioni agli utenti come:
– indicazioni alle PA per il contenimento della spesa pubblica
– contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno
– modalità pagamento delle pensioni oltre i 1.000 euro – non in contanti
– presentazione delle domande di indennità di disoccupazione ai lavoratori agricoli dipendentipresentazione delle domande di indennità di disoccupazione ai lavoratori agricoli dipendenti
insomma, tutte cose di una pericolosità estrema, informazioni di interesse non collettivo (il contenimento della spesa pubblica della Pubblica Amministrazione, notoriamente, non interessa a nessuno) e soprattutto disuniformi rispetto agli “obblighi di trasparenza” di cui si parla.
Non sappiamo, dunque, né è dato sapere quali fossero le informazioni che, nel mare magnum della documentazione raccolta dal sito, risultassero in disaccordo o in discordanza con le indicazioni ministeriali che lo hanno fatto chiudere, né se queste informazioni potessero costituire, in ipotesi, un reato.
Quello che sappiamo è che un sito facente capo alla Direzione Territoriale del Lavoro è stato chiuso e risulta attualmente inaccessibile, fatte salve la home page, che riporta l’articolo 1 della Costituzione (nobile decisione, ammesso che sia stata presa dopo la nota di chiusura, ma gli articoli sulla libertà di opinione, espressione e stampa sarebbero stati probabilmente più opportuni) e qualche altro link, purtroppo “spezzato”.
La domanda, tanto per cambiare è sempre la stessa: è giusto oscurare un intero sito con migliaia di informazioni solo perché alcune di loro possono essere ritenute (e con il beneficio del dubbio, si badi bene!) offensive, diffamatorie, illegali oppure, più semplicemente, sgradite?
La risposta, tanto per cambiare, è ancora la stessa: no, non lo è. Non lo è, non può e non deve esserlo. La tentazione di tappare la bocca per sempre a chi dissente su alcuni temi (fondamentamentalmente su quelli che costituiscono dolorosi sassolini nella scarpa di chi pretende di camminare senza claudicare), il chiedere al magistrato di turno, o, come in questo caso, disporre per direttiva che un INTERO sito venga chiuso solo perché ALCUNE delle informazioni che contiene ci sono sgradite è roba da “mediaevo prossimo venturo”. Che, a pensarci bene, non è tanto “prossimo venturo”, ma è già attuale, e presente, e vivo, e il suon di lui.
Solo che è Pasqua e non fa nulla. Ce ne accorgeremo al ritorno al lavoro. O forse no.