Il “gigante buono” e altri giornalismi spiccioli assortiti

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Certo che ce ne vuole di coraggio per definire Massimo Sebastiani “gigante buono”, un assassino reo confesso responsabile dell’uccisione di Elisa, una donna (ma se fosse stata l’uccisione di un uomo sarebbe stata esattamente la stessa cosa), rea di non volerlo più vedere. E’ un giornalismo ai limiti, fuori da ogni etica, non immorale, che ci vorrebbe anche poco, ma totalmente a-morale, che è ancora peggio. La definizione di “gigante buono” ci riporta alla memoria i cartoni animati dei caroselli della Ferrero della nostra infanzia, quelli in cui il gigante, che doveva pensarci lui, se la prendeva con un inerme Jo Condor che diceva “Ma mi lasci, non ciò il paracadute, non ciò la mutua…”. E tutto finiva in dolcezza. Questa invece è una storia da dimenticare, è una storia da non raccontare, è una storia sconclusionata e via bubolando. Come sconclusionata è la mania voyeristica accessoria di più di un quotidiano on line che rivela l’omosessualità della sventurata vittima. Quale elemento di conoscenza accessorio viene aggiunto se rivelo che è stata uccisa una persona omosessuale, piuttosto che eterosessuale? E forse l’omosessualità della vittima serve per lenire la responsabilità dell’assassino? Questa mania di andare a rimestare il torbido a tutti i costi (anche se gli elementi portati alla cronaca in pasto ai lettori che, come tanti lupi famelici, ci si avventano feroci, non arricchiscono minimamente la verità fattuale di quel che è accaduto) a cosa serve, e soprattutto, a chi giova? Naturalmente non ci sono risposte, e i giornali che hanno riportato la circostanza non ce ne daranno. Restano solo la storia, la sofferenza e la confessione di una vittima e del suo carnefice. Che carnefice è e resta. Altro che “gigante buono”. Se no qui stiamo a prenderci per le natiche…

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