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Ya hay un español que quiere / vivir y a vivir empieza, / entre una España que muere / y otra España que bosteza. / Españolito que vienes / al mundo te guarde Dios. / Una de las dos Españas / ha de helarte el corazón. (Antonio Machado)
Pesava il silenzio imbarazzante di Re Felipe VI di Spagna sui gravi accadimenti in Catalogna della scorsa settimana. Pesava talmente tanto che il Monarca, ieri sera, ha rotto gli indugi e si è fatto vedere in televisione dall’intera nazione spagnola per un discorso di quattro minuti in cui ha ribadito, parlando del referendum di domenica scorsa, che:
– si tratta di “un inaccettabile intento di appropriazione delle istituzioni storiche della Catalogna”;
– che le autorità sono state “sleali” mantenendo una “condotta irresponsabile” e che “si sono messe al margine del diritto e della democrazia”;
– che gli organizzatori “hanno voluto spezzare l’unità della Spagna”;
– che la consultazione “ha messo a rischio l’unità e l’economia del Paese”;
Non c’è stata una parola che fosse una per i feriti dalle cariche della Guardia Civil. Nessun accenno al dialogo tra istituzioni. Solo un richiamo generico alla Costituzione come legge fondamentale, evitando di far cenno che la Costituzione prevede che in caso di spinte scissioniste si interpelli preventivamente il presidente della Comunità Autonoma, o, in caso di diniego, si rimandi il voto alla maggioranza del Senato. Non c’è stato niente di tutto questo, solo quattro minuti di una imbarazzante adesione alle linee del Governo.
Non che ci si aspettasse di più. Il fatto è che ci si aspettava di meglio. E di meglio c’era anche quel “silencio estremecedor” che ha preceduto l’imbarazzante discorso del Re. Intellettuali come Unamuno (a cui doleva la Spagna come può dolere il cuore) si rivoltano nella tomba dell’oblio in cui questa Spagna “de charanga y pandereta”, come diceva lo stesso Antonio Machado, li hanno tristemente costretti.