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Valeria Straneo è un’atleta italiana che è arrivata ottava nella maratona. E’ un piazzamento di tutto onore, anche se non l’abilita a portare nel nostro Paese una delle medaglie per le quali ogni giorno gli italiani pregano, quasi fossero panacee per i mali endemici e incancreniti di cui soffriamo.
Valeria Straneo, dunque, è di per sé una validissima atleta.
Su Facebook da alcune ore è cominciato a circolare (io l’ho vista nella pagina pubblica di fanpage.it) un fotoritocco che la ritrae durante l’impresa. E poi un commento in cui si chiarisce che la Straneo ha subito l’asportazione della milza. E’ sempre imbarazzante quando qualcuno parla delle condizioni di salute altrui. Dovrebbero essere fatti personali, cose che ciascuno, nella sua sofferenza o nella sua personale forza d’animo, affronta come sa e come può. Oltre che come e con chi vuole. Invece ora lo sanno tutti. E viene chiarito anche, tra parentesi, che detta asportazione si sarebbe resa necessaria a causa di una malattia genetica. Informazioni che si aggiungono a informazioni.
Sembra di leggere, tra le righe, che la Straneo non è brava perché è semplicemente brava (è un discorso che fila!), ma è brava perché nonostante la sua condizione fisica è riuscita a strappare un ottimo piazzamento. Ora, che possa aver gareggiato in condizioni di indiscutibile svantaggio è pacifico. Ma quello che non riesce ad andare giù è il presentarla, agli occhi dei visitatori, come una persona con la milza asportata, NON come quello che è, e cioè una atleta e basta.
C’è dell’altro. Prima di parlare dell’intervento subito, si fa cenno alle sue due gravidanze. Ma da quando in qua due gravidanze costituiscono una malattia? O un qualcosa per il quale una persona possa o debba sentirsi se non menomata almeno in svantaggio nelle competizioni della vita, sportive o meno che siano?
Nessuno dice una cosa molto semplice: la signora Straneo è una persona NORMALE, che ha raggiunto NORMALMENTE un piazzamento di eccellenza in una corsa in cui si è lasciata dietro tantissimi atleti che la milza ce l’avevano, segno di una NORMALITA’ mai perduta e di una volontà di presentarsi alla maratona come qualunque altro partecipante.
Certamente rispetto a Valeria Straneo i veri “diversamente abili”, gli “handicappati” siamo noi, che non riusciamo a correre per 200 metri senza che ci scoppi il cuore (non so voi, ma almeno per me è così).
