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Candido Cannavò era veramente un brav’uomo.
Un giornalista un po’ all’antica, di quei giornalisti sportivi a tutto tondo che c’erano una volta, e che si chiamavano Maurizio Barendson o Paolo Valenti, che parlavano di calcio con gusto, ironia, istrionismo e che, soprattutto, ne scrivevano sapendo di ortografia, grammatica, sintassi e bello scrivere.
Parlava di etica, di lealtà, sognava uno sport forse più vicino ai valori che alle logiche di mercato. Scriveva di calcio come di un’espressione nobile, e stava lontano da processi e velinismo spicciolo.
Ora lo sport non si potrà più neanche leggere, figuriamoci guardarlo