Cumme te po’ capi’ chi te vo’ bbene si tu le parle miez’americano?

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Sul “Corriere della Sera On Line” è apparso un articolo di Luisa Pronzato sul lato buono del “selfie”, che secondo me risiede nel fatto che è una parola assolutamente orrenda.

Ma a parte le mie impressioni, nelle prime tre righe e mezzo ci son già tre errori da matita blu. Le riproduco così come sono, potete confrontarle con lo screenshot che vi fornisco (poi ditene male, eh, mi raccomando…).

“Contatto? Scatto? È immediato. Ci si è appena conosciuti e s’ha da condividere il “contatto”: numero cellulare, mail, twitter, whatsup, faceboock e via di social…”

1) Intanto i nomi di aziende si scrivono con la lettera maiuscola. Si scrive “Twitter” ma “ti mando un tweet”. Sono dei nomi tutti e due, perché “Twitter” è nome proprio di persona (giuridica, in questo caso);

2) “Facebook” si scrive “Facebook” e non “faceboock” (sì lo so, “un banale errore di battitura”, come se un giornalista non avesse mai scritto “book” in vita sua -“instant-book”, “guest-book”-);

3) “whatsup” è decisamente meraviglioso. Confonde l’inglese “up” con l’abbreviazione “App” di “Application”.

Al di là della banale dozzinalità dell’ortografia, c’è un’osservazione ulteriore da fare: questi errori rappresentano il maldestro desiderio di occuparsi di una parte della rete (i social network, in questo caso), di occuparsene in visione sociologica, di darne una spiegazione, di eviscerarne in chiave intellettuale le componenti, insomma, di improvvisarsi esperti delle cose umane e internettifere, ma se bevi whisky and soda poi te siente disturbà’ e poi si péstano certi svarioni che lèvati. Ma dicono che porti bene!

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