Direi che Wikimedia Italia, la componente italiana di Wikimedia, che supporta il progetto della Wikipedia in lingua italiana, non se la passa poi tanto male.
630.860,71 euro nel 2020 (bilancio 2021), cui si sommano 39.676,65 euro nel 2020, con un aumento, dichiarato “lieve”, di 8000 euro nell’anno successivo.
Chi vi viene periodicamente a chiedere la donazione di due euro, l’equivalente di un caffè, per poter sopravvivere e offrire ancora gratuitamente i contenuti di Wikipedia, ha ricevuto, dal 1 luglio 2020 al 30 giugno 2021 un totale di oltre 168 milioni di dollari di introiti, di cui oltre 153 milioni di dollari in donazioni.
Pensateci, la prossima volta che consultate l’enciclopedia “libera”.
Una donna cinese, tale Zhemao, si è spacciata per anni come ricercatrice storica dell’Università di Mosca e per tutto questo tempo non ha fatto altro che riempire la sezione di Wikipedia dedicata alla storia russa di panzane, dati storici inventati e inesistenti, cartine farlocche, mappe improvvisate lì per lì, citazioni bibliografiche frutto di un lavoro certosino di falsificazione.
Le voci che scriveva (non so se nella sua lingua madre, il cinese, o direttamente in russo) venivano tradotte nelle versioni linguistiche più disparate dell’enciclopedia più inaffidabile del mondo. E la falsa ricercatrice riceveva anche degli elogi da parte degli amministratori che, pirloni come sono, hanno colto la palla al balzo e non se lo sono fatti ripetere due volte. Del resto, dove la trovi una che ti riempe centinaia di voci ogni giorno di sacrosante cazzate?
Fatto sta che un certo John Yip, un pezzo da 90 della Wikipedia cinese (dev’essere una soddisfazione immensa esselo) , all’inizio di quest’anno le ha conferito (non si sa con quali titoli accademici) un riconoscimento per l’opera altamente meritoria e abbondantissima, con cui aveva ingrassato l’ignoranza collettiva, oltre che la sua.
Una voce di Zhemao era talmente perfetta che è stata validata (chissà cosa vuol dire) e messa nella “Vetrina del giorno“. Sono cose che farebbero piangere dalla commozione anche un uomo grande, sapete?
Ma i solerti
“wikipediani, allertati da un articolo pubblicato da Yifan [scrittore cinese, ndt], hanno così avviato un lungo e laborioso processo di eliminazione e correzione dei falsi perpetrati da Zhemao.”
Perché loro sono dei draghi, mica si fanno bagnare il naso, sapete? Mentre Zhemao perpetra. Lei perpetra.
E comunque
“La presenza per ben dodici anni di queste informazioni false su Wikipedia, con tanto di encomio alla falsaria, ha minato in parte la credibilità dell’enciclopedia, secondo alcuni commentatori e autori di Wikipedia stessa.”
E vorrei anche vedere il contrario!
Sono decenni che Wikipedia, che a me non è mai servita a un benemerito, se non a far quattrini, si dà la zappa sui piedi. Qualcuno ricorderà certamente la presenza sulla versione francese di una voce dedicata a Léon Robert de l’Astran che non è mai esistito, la cui opera (chiaramente inventata) fece perdere le elezioni a Ségolène Royal.
Infine:
“viene da porsi una domanda di fondo: come facciamo a sapere che quello che sappiamo è vero e reale?”
Semplice. Basta non usare Wikipedia. Un carrozzone ingobrante e dedito al servizio dell’ignoranza, del pettegolezzo e dei dati giudiziari delle persone, messa sotto scacco per oltre un decennio da
“una casalinga cinese annoiata e sola.”
Un genio, Zhemao. Un genio assoluto. Altro che casalinga annoiata!
E indovinate da dove vengono i virgolettati di questo post.
E così è successo che 53.000 pagine di Wikipedia (in inglese, presumo) sono state hackerate.
In realtà l’intervento dei soliti buontemponi non è stato così massiccio, si sono solo limitati a modificare un template. Ma l’operazione ha comunque interessato voci di interesse generale. Tipo Madonna o Jennifer López, perché, sapete, Wikipedia è cultura.
Risultato grafico dell’operazione: una svastica enorme messa come sfondo al prezioso contenuto della Nostra.
Naturalmente i volontarissimi e amministratorissimi dell’iniziativa si sono prodigati per rimuovere immediatamente l’osceno contenuto e tutto è tornato alla normalità. Ma qualcuno aveva già catturato lo screenshot. I responsabili dello sfregio sono stati bannati da tutte le scuole del Regno e gettati nella Geenna, dov’è pianto e stridor di denti. Sì, mettigli il sale sulla coda a quelli!
Ora, vandalizzare un sito con una svastica è sempre e comunque un atto esecrabile e da stigmatizzare.
Ma sono chiare almeno due cose:
a) Wikipedia è un colabrodo
b) Wikipedia è un calderone troppo pesante e ingombrante da gestire e alla mercé di CHIUNQUE
Ma l’hanno voluta così e che se la tengano, cosa volete che gli dica.
Leggo, inoltre, sul sito di Punto Informatico, quanto segue:
“Nel mese di febbraio, Wikipedia ha approvato un nuovo codice di condotta applicato a livello globale, frutto del contributo di oltre 1.500 volontari. Linee guida definite con l’obiettivo di contrastare gli abusi e la disinformazione, garantendo al tempo stesso il necessario supporto a valori come inclusione e diversità.”
Ma se questi rifiutano AUTOMATICAMENTE e senza possibilità di appello una modifica che riguarda Selvaggia Lucarelli, volta a inserire l’aggettivo “pubblicista” a fianco del sostantivo “giornalista”, come possono essere credibili quando si parla di “diversità” e “inclusione” come valori? E poi la “disinformazione”? Dare una notizia VERA non è disinformazione, contribuire alla conoscenza, nel senso più vasto del termine, con correzioni puntuali e verificate non distorce il concetto di “informazione”, casomai l’esatto contrario.
In breve: una svastica è SEMPRE da condannare. Wikipedia NON E’ SEMPRE da assolvere.
Finora non avevo mai sentito parlare di una certa Signora Laura Cesaretti, giornalista.
Eppure seguo regolarmente “Prima Pagina”, la lettura dei giornali del giorno di Radio Tre, e a lei è toccata almeno una conduzione. Si vede che invecchio e che le sinapsi non funzionano più tanto bene.
Apprendo dal web che la Signora Cesaretti ha collaborato con “Radio Radicale”, è approdata al “Foglio” e infine sta lavorando per “il Giornale”, a Roma, Milano e Bruxelles. Insomma, una gavetta e una carriera brillanti e, immagino, non prive di soddisfazioni personali, se tanto mi dà tanto.
Ieri sera mi è capitato di rimbalzo su Twitter (io non la seguo) un suo cinguettìo che fa da contraltare a un messaggio dell’Huffington Post, in cui una certa Barbara Floridia ha scritto un articolo intitolato “No sanzioni, diamo altri ruoli ai prof. senza Green Pass” (“Green Pass” lo scrivo maiuscolo perché è imperativo categorico), in cui si ventilano proposte di impiego alternativo degli insegnanti privi del passaporto verde (e, quindi, di vaccinazione o di tampone negativo). In effetti “altri ruoli” detto così suona un po’ stonato. In quali ruoli vorrebbe collocarli la giornalista dell’Huffington Post? In qualche girone o bolgia dantesca? Non si sa. Egli è che gli insegnanti un loro ruolo ce l’hanno e farglielo cambiare è un po’ complicato, a meno che non siano loro a chiederlo. Ma, si sa, i giornalisti con il mondo della scuola pubblica non hanno molta dimestichezza, e l’articolo sarebbe stato destinato verso un più che onorevole diritto all’oblio, se non fosse per il fatto che la Cesaretti ha risposto con un lapidario “Licenziatela [si intende, immagino, la Floridia], assieme ai prof.”
Imbarazzante che una giornalista dotata del suo equilibrio invochi a gran voce il licenziamento per i docenti non vaccinati, quando nemmeno il più decreto dei decreti del Governo prevede questa extrema ratio.
Ma c’è una piccola cosa, un particolare che forse è sfuggito anche a voi. Il tweet lapidario della Cesaretti è stato cuoricinato (su Twitter un cuore corrisponde a un like) nientemeno che da Roberto Burioni. Proprio lui. Che è stato querelato presso la Procura della Repubblica di Reggio Calabria dal Codacons assieme ad altri due suoi illustri e stimatissimi colleghi. Cioè, Burioni ha espresso un plauso a una esternazione di una giornalista non esattamente del Manifesto che si adoperava per far conoscere ai suoi followers (tantini, complimenti!) la sua opinione favorevole al licenziare gli insegnanti.
Il bello della rete è che è impietosa, e che anche se li cancelli cerca di cancellarli in fretta certi commenti imbarazzanti, perché tutto si crea, tutto si conserva, niente o quasi niente si trasforma, tranne Wikipedia, probabilmente.
La Cesaretti ha al suo attivo qualcosa come quasi 94000 tweet. Complimenti di nuovo per la sua frenetica attività social. Che, però, non è stata sempre rose e fiori. Twitter le ha limitato l’uso del suo account per 12 ore per aver scritto a Di Maio “La prossima volta potreste per favore buttarvi da quel cazzo di balcone?”
Secondo il social si tratterebbe di incoraggiamento al suicidio. Ma dodici ore passano presto, e la Cesaretti è tornata al pubblico dei suoi followers più bella e pimpante che pria.
All’indomani della scomparsa di Stefano Rodotà scrisse dei commenti di pessimo gusto su Gustavo Zagrebelski e, più di recente, ha commentato in modo altrettanto discutibile la nascita di Andrea Di Battista, il figlio di Alessandro Di Battista e della sua compagna Sahra. “Ma hanno fatto l’amniocentesi?” scriveva. E ha liquidato il tutto (su Facebook, stavolta, non su Twitter) definendolo “solo una battutaccia, probabilmente di pessimo gusto“.
Gli avverbi di modo ci cambiano la vita.
Tuttavia, la Signora Cesaretti si è fermata a un filo dall’enciclopedismo. Qualcuno, un certo “Pamatt” ha provato a dedicarle nientemento che una pagina su Wikipedia, ma un amministratore piuttosto solerte l’ha subito cancellata. Peccato davvero.
Wikipedia ha censurato una voce a Giuseppe De Donno, il medico italiano deceduto il 27 luglio scorso.
Voilà, c’est l’unique question, come avrebbe detto Albert Camus. Tutto il resto sono semplicemente discorsi, come la difesa d’ufficio che fa dell’enciclopedia più discutibile del mondo il debunker David Puente dal titolo “Censurata la pagina Wikipedia di Giuseppe De Donno? No. Violate le regole dell’enciclopedia” pubblicata su “Open On Line” il 2 agosto scorso. Una difesa d’ufficio innecessaria e che si scontra con la realtà dei FATTI, senza addurre responsabilità ai complottisti o ai complottismi di qualsiasi sorta.
Vediamo cosa è successo:
– il 31 luglio scorso nasceva su Wikipedia la pagina relativa al Dott. De Donno. In precedenza era presente sull’enciclopedia una voce su un “Giuseppe De Donno”, omonimo della persona di nostro interesse.
– La discussione successiva tra gli esperti, gli utenti e i moderatori, rilevava una supposta violazione del copyright (cosa volete, ormai con le violazioni del Copyright ci vado a nozze!) da parte di un certo “Ceppicone”: 23:28, 31 lug 2021 Ceppicone (discussione | contributi) ha cancellato la pagina Giuseppe De Donno ((C13) Testo in violazione di copyright da: CopyViol da https://www.repubblica…)
Un altro utente ha segnalato la coincidenza di testi tratti da notizie dell’agenzia ANSA.
– Il testo dell’articolo 70 della Legge 633/41 e successive modifiche recita: “1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali.”
– Tale “Caulfield” rimuoveva (per la seconda volta? Guardate la strana disposizione degli orari, la cancellano a rate) la pagina. 19:51, 31 lug 2021 Caulfield (discussione | contributi) ha cancellato la pagina Giuseppe De Donno ((C13) Testo in violazione di copyright da: https://www.ansa…)
– Solo il 2 agosto la voce dedicata al Dr. De Donno viene ripristinata, creata ex novo, ma aperta alle modifiche dei soli utenti registrati, e questa pagina così modificata è attualmente raggiungibile dagli utenti finali del sito.
Ora:
– Non c’è stata alcuna violazione del copyright. I brani delle opere contestati sono stati riprodotti a norma di legge in quanto la riproduzione è stata effettuata “per finalità illustrative e per fini non commerciali.” Sarebbe bastato citare la fonte e mettere il tutto tra virgolette.
– La rimozione della pagine è indubbiamente avvenuta, sia pure per poche ore. La pagina è stata SOSTITUITA, non MODIFICATA in itinere. Non vi è traccia per gli utenti degli interventi correttivi e/o censori del suddetto “Ceppicone” o di chi per lui (a Livorno il termine “Ceppione”, toscanismo per “Ceppicone” significa “grossa testa” o anche, per traslato, “individuo dalla grossa testa), quelle modifiche sono recuperabili esclusivamente dagli amministratori.
– Si può parlare a buon diritto di una gestione arbitraria e addirittura censoria delle modifiche di Wikipedia. Che farebbe solo bene a scrivere “pubblichiamo solo quello che pare a noi”, anziché definirsi “Enciclopedia libera”. Ma “libera” di che cosa? Di censurare i contributi della gente? Di non pubblicare che Selvaggia Lucarelli è una giornalista pubblicista? Non è ben chiaro.
– Fidarsi di un “Ceppicone” qualunque sarà anche un bene, non dico di no. Ma non fidarsi dei vari “Patatina”, “Bamboletta”, “JackFrusciante”, “Paoletto”, “ScassaMinchia” e via pseudonomeggiando è assai meglio.
Quello che emerge da questi fatti, inoltre, è che l’articolo di David Puente presenta non poche incongruenze e contraddittorietà. Ma sono i debunker, è il loro mestiere. Ma gli conviene?
Avete mai provato, in una calda domenica d’estate, a dare il vostro contributo a Wikipedia? A contribuire con la vostra conoscenza a quella degli altri, a dare un po’ del vostro sapere al mondo e a non rimanere sempre i soliti stronzi che si tengono la cultura per sé, senza condividerne nemmeno un pezzettino?
Pronti, eccoci qui. Prendiamo la voce “Selvaggia Lucarelli” (tanto per fare un esempio) e proviamo a correggere la dicitura “giornalista” in “giornalista pubblicista”. Che, voglio dire, è la verità, e la verità non è vandalismo culturale. Voglio dire, se la Wikipedia francese ha convissuto per anni con la voce di un personaggio storico totalmente inventata di sana pianta, iconografia compresa, quella italiana potrà pur bene accettare un dato di fatto incontrovertibile. Selvaggia Lucarelli è una giornalista pubblicista, punto. Non è che si scappa di lì.
Il risultato è che ti bannano l’IP. Che, voglio dire, m’importa assai a me, di indirizzi IP ne trovo quanti ne voglio (mai sentito parlare di VPN??). Non ho più la possibilità di effettuare modifiche sulla loro preziosa enciclopedia (ah, che disdetta, dormirò stanotte? Ho anche la bolletta del gas che mi scade) perché sarei reo di “Revisionismo estemporaneo”. Che detta così pare una cazzata falsa, invece è una cazzata vera.
“Revisionismo estemporaneo” lo vanno a dire alle loro sorelle, prima di tutto. Certo, è “revisionismo”, nel senso che ho tentato di rivedere una loro voce correggendola e, guarda caso, migliorandola. “Estemporaneo” poi de che?? Non è che uno dice che la Lucarelli è una giornalista pubblicista solo perché in quel momento gli gira così, ha i suoi cinque minuti, gli piglia il bischero e decide di correggere Wikipedia. Uno si sarà pur documentato prima, voglio sperare.
Ma la cosa che fa più tremare i polsi in questa vicenda è che si tratta di una correzione automatica. Cioè, la mia correzione non è passata nemmeno al vaglio di un umano. Non c’è stato NESSUNO che abbia stabilito che si tratti di “revisionismo estemporaneo”. Lo ha deciso una macchina. Programmata appositamente per rifiutare l’aggettivo “pubblicista” riferito al sostantivo “giornalista”. E poi c’è Baluganti Ampelio che mi dice che la linguistica computazionale non serve a un belino! E qualcun altro che mi dice che Wikipedia è democratica. E poi mi vengono a chiedere i soldi di un caffè perché se no Wikipedia rischia di chiudere? Ma che chiudano pure. Il giorno in cui lo faranno io ballerò sul filo della mia connessione internet con un vestito rosso porpora, stile cardinalizio.
La riforma Cartabia sulla Giustizia prevede un emendamento molto interessante, proposto dall’on. Enrico Costa, che riporta sotto i riflettori l’annoso problema del diritto all’oblio.
In caso di sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere, infatti, sarà immediatamente possibile per l’indagato/imputato vedere deindicizzate dai motori di ricerca tutte le voci riguardanti il procedimento penale che lo riguarda o che lo ha riguardato. Saranno sufficienti:
– una sentenza di non luogo a procedere
– una sentenza di assoluzione
– un decreto di archiviazione
L’emendamento, che rientra tra le proposte di modifica apportate dalla maggioranza, ha trovato il parere favorevole della Commissione Giustizia della Camera, del Governo e del Relatore Vazio.
E’ una modifica importante, perché stabilisce il prevalere della presunzione di innocenza sul diritto di cronaca e di informazione e il diritto ad essere dimenticati, a fronte di una sentenza o di un provvedimento favorevoli.
Il decreto di archiviazione, oppure la sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione saranno trasmesse al Garante per la Protezione dei Dati Personali senza ritardo, e costituiranno titolo per richiedere l’immediata deindicizzazione dei dati giudiziari dai motori di ricerca a carico di un determinato soggetto.
Qualcuno grida all’attentato alla libertà di informazione e al diritto di cronaca, ma qui c’è da fare un distinguo: nessuno impedisce a un giornale o a una testata on line di pubblicare la notizia dell’assoluzione o dell’archiviazione di un procedimento a carico di Tizio. Semplicemente, quella notizia non sarà visibile su Google e le altre risorse analoghe a chi andrà a cercare notizie su quella persona. In breve, non sarà possibile cercare, non dare una notizia.
E c’è da chiedersi, a questo punto, che cosa farà Wikipedia, nella sua versione italiana, per adeguarsi alle nuove norme. Non c’è dubbio che Wikipedia costituisca attualmente il più impietoso tra i casellari giudiziari. Se andate in Tribunale a chiedere il certificato penale (la cosiddetta “fedina”) di un personaggio pubblico, ammesso e non concesso che ve lo diano, non vi troverete le sentenze di assoluzione che lo riguardano. Su Wikipedia sì. Così, il nulla (perché una sentenza di assoluzione costituisce proprio la determinazione del nulla in senso assoluto) assurge a enciclopedismo. Per cui, alla voce di Lelio Luttazzi, ad esempio, troverete ampi riferimenti alla sua vicenda giudiziaria da cui è uscito giudizialmente indenne, anche se distrutto sotto il profilo psicologico. Per non parlare del caso di Enzo Tortora, che dovrebbe essere monito e faro guida per chiunque abbia a cuore la libera informazione e il rispetto della dignità dell’essere umano.
Ci vorrebbe poco: Wikipedia è una risorsa estremamente versatile sotto il profilo delle possibili modifiche, non dovrebbe essere difficile per nessuno (tanto meno per gli amministratorissimi) cancellare quelle informazioni dalla visibilità on line e continuare a usufruire dell’indicizzazione sui motori di ricerca che a loro è sempre stata riservata da babbo Google, da Bing, da Yahoo e da chi più ne ha più ne metta.
Non lo faranno, naturalmente. Primo perché sono troppo attaccati ai loro contenuti e prima di prendere la mannaja ci pensano due volte. Secondo perché verranno a dirvi che loro non sono minimamente responsabili di nessun contenuto e che il responsabile, casomai, è l’utente che quelle informazioni le ha immesse. Terzo perché i loro server sono negli Stati Uniti e loro non sono tenuti a rispettare la legge italiana, anche se i loro contenuti vengono visualizzati per lo più nel nostro Paese.
Le prime due cose sono vere e comprensibili. La terza no. Perché i contenuti partono dall’Italia (gli indirizzi IP sono accuratamente e doverasamente registrati) e, quindi, un eventuale illecito si consumerebbe proprio nel nostro territorio e sarebbe sotto la nostra giurisdizione. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: nel caso il Tizio di cui sopra volesse chiedere a Wikipedia di cancellare dalle sue pagine la notizia di una sentenza di proscioglimento a suo favore, a chi deve rivolgersi? A Wikimedia Italia no di certo. Alla Wikimedia USA? Può darsi. A un signor IP qualunque? Certamente, ma vagli a mettere il sale sulla coda.
Così, Wikipedia non cambierà mai i propri contenuti (ma le conviene?) e aspetterà i tempi biblici della giustizia per vedersi deindicizzare dai motori di ricerca solo poche decine di pagine, quando e se gli interessati ne faranno domanda.
L’inerzia, in questi casi, è la migliore delle difese.
E’ andata che anche questa volta, la settimana scorsa, Wikipedia ha riempito le sue pagine di banneroni e bannerini per andare a bussar quattrini presso le tasche e le carte di credito dei suoi utenti.
Non c’è nulla di male in questo, ognuno campa di quello che ha e di quello che può. Non si campa di sola aria e anche il mio minimerrimo blog accetta volentieri le donazioni degli utenti. Abbiamo ricevuto ben 20 euro in tre anni. Meglio di un calcio nei denti.
La cosa che crea più imbarazzo, in questa campagna per le sottoscrizioni per mantenere l’enciclopedia più sconclusionata della storia, oltre alle solite lagne (“ti chiediamo in tutta umiltà di sostenere la cultura libera”, eh, ma dove esiste? Questa non è umiltà, è protervia!) sul fatto che se tutti donassero almeno l’equivalente di un caffè (2 euro, ma un caffè al bar costa molto meno), le cose andrebbero decisamente meglio (eh, già, lo so!), e che il 98% degli utenti e dei lettori non dona (e che è, colpa mia? Volete fare una risorsa gratuita e senza pubblicità, il minimo che vi possa accadere è di non ricevere quasi il becco di un quattrino), è il fatto che si richieda di dimostrare “ai volontari che ti forniscono informazioni affidabili e neutrali che il loro lavoro conta”.
Dico io: la gente che consulta Wikipedia in italiano viene accolta da un timido avvertimento che recita testualmente “Wikipedia non dà garanzie sulla validità dei contenuti”, e poi, chissà come e chissà perché, questi contenuti diventano “affidabili e neutrali” quando si parla dei volontarissimi che si firmano con uno pseudonimo e quando c’è solo da batter cassa.
La campagna è terminata, tutto è ricominciato secondo i soliti ritmi. Non vi preoccupate di tirar fuori il portafogli, sia pure per un semplice obolo simbolico, una voce wikipediana su Wanna Marchi non vi mancherà mai
Tutti a festeggiarla, celebrarla, lodarla, neanche fosse una sacra reliquia. Wikipedia è lì, col suo carico di arroganza e di potere. L’arroganza di chi concentra su se stesso il delicatissimo ruolo di revisore dei contenuti, e decide il bello e il cattivo tempo su quanto immettono in linea i wikipediani, e il potere di chi è sempre in testa alle ricerche di Google, diventando così il quinto sito più visitato al mondo.
Sono molti i giornali italiani che dedicano almeno un articolo al glorioso evento. Ci permettiamo il diritto di essere una voce fuori dal coro delle “alabanzas” che provengono dalla carta stampata e dal web.
Tra le molte e sperticate (e, in un certo qual modo, ingiustificate) lodi all’enciclopedia più caotica del mondo, figura un articolo di Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio Tre, su “Internazionale”. Ho sempre avuto molta stima di Sinibaldi, fa un lavoro egregio e rende un servizio insostituibile all’informazione pubblica e alla diffusione della cultura in Italia, ma stavolta ho qualcosa da dire su quello che scrive.
Dice Sinibaldi:
“(…) perché la usiamo? Ma qui la risposta può essere più semplice: è gratuita, amichevole, accessibile e comunque è sempre in cima alla pagina che ci appare se cerchiamo notizie su Lyndon B. Johnson o sulla battaglia di Teutoburgo (anzi, come corregge pedantemente Wikipedia, battaglia della foresta di Teutoburgo).”
Ci sarebbe da dire che anche la Treccani è gratuita, almeno nella sua versione web. Perché, dunque, si preferisce Wikipedia, che dice di se stessa di non poter dare garnzie sulla validità dei contenuti, a un’altra enciclopedia italiana che, invece, sulla validità dei contenuti, avrebbe molto da insegnare? Semplice, perché è meglio indicizzata (grazie ad un sistema certosino e perverso di rimandi interni, e al fatto che le voci vengono costantemente riviste e modificate) e perché la gente è maledettamente pigra. Ci sono utenti che pensano che Google sia un browser, quindi affidano le loro ricerche alla pagina più consultata nel web, guardano i primi elementi che ne escono fuori (e tra i primi elementi c’è sempre Wikipedia), e lì cliccano. Non si tratta, cioè, di un merito di Wikipedia. Si tratta, per lo più, di sfruttare l’ignoranza di chi naviga in modalità incerta sul web e si affida più volentieri ai motori di ricerca piuttosto che alla barra degli indirizzi del proprio browser preferito. Google è avido non solo di nuovi contenuti, ma anche e soprattutto di contenuti modificati, aggiunti, corretti. Cosa significa che Wikipedia è “accessibile”? Vuol dire forse che le altre enciclopedie più tradizionali non lo sarebbero?? E perfino quell’aggettivo “amichevole” mi suona male.
Wikipedia è tutt’altro che “amichevole”. E’, al contrario, presuntuosa e di parte. La “parte” di cui sopra, ovviamente, sono le regole che fissa perché gli utenti possano accedere a casa loro.
Nel 1996 decisi di dare il mio modesto e insignificante contributo a Wikipedia, correggendo la data di pubblicazione di un’opera dell’autore oggetto della mia tesi di laurea. Sapevo benissimo che quell’opera era stata pubblicata un anno dopo la data indicata da Wikipedia, era il mio oggetto di studi. Ho quindi modificato la voce, correggendola. Dopo due ore uno studentello liceale di letteratura spagnola, brufoloso e supponente mi scrive dicendomi che io non avevo dato giustificativi sufficienti per la mia variazione, we sì, insomma, ci vuole la bibliografia, e, nel dubbio, siccome era uno scemo, che oltretutto si firmava anche con uno pseudonimo, ha ripristinato la versione precedente (sbagliata). Bravo, così si fa!
E’ facile fare un’enciclopedia da più di un milione di voci. In primo luogo basta ritenere enciclopedico quello che enciclopedico non è (“Wanna Marchi”, per esempio), e poi basta gonfiare i contenuti fino all’inverosimile: se, per esempio, un’enciclopedia tradizionale dedicherebbe soltanto una voce ai Beatles, magari con tanto di discografia, Wikipedia ne crea a decine. Una dedicata ai Betles, altre quattro dedicate a ciascun componente, un’altra per ogni disco pubblicato, e un’altra ancora per ogni traccia contenuta su ogni disco pubblicato, magari di poche righe. Basta che “Beatles” rimandi a George Harrison, Ringo Starr, Paul McCartney e John Lennon. Poi ci saranno diversi rimandi del dipo “Discografia con i Beatles” per ciascuno di questi quattro interpreti, successivamente ciascuna voce della discografia sarà collegata a un album, e di quell’album verranno recensite le singole canzoni, tutto grazie ai volontarissimi. E’ come se una massaia che ha fatto troppo arrosto e se lo vede avanzato, lo riscaldi in giorno dopo, e, se ne avanza ancora, ci faccia il suo bel vitel tonné, che, se avanza ancora, tornerà buono per fare le polpette. Wikipedia non butta via niente.
E quindi, in questi giorni, ci ritroviamo a festeggiare questo poderoso popo’ di informazioni inesatte, equivoche, non certificate, al limite del gossip (Wikipedia è peggio del casellario giudiziale). Ce lo dobbiamo tenere così e non è una bella cosa, no, no davvero.
Et voilà. Wikipedia l’a de nouveau pris en tasque!!
Son grato e divoto al caro lettore Barontini Rutelio, per la segnalazione di un tweet di Federico Castiglioni, il quale rivela che Wikipedia ha “inventato la carriera del fantomatico centrocampista argentino Gustavo Pandora, inserito nella rosa del Milan ininterrottamente dal ’91 al 2005 con tanto di conteggio presenze nelle sottovoci sulle singole stagioni.”
Insomma, un fake, una notizia falsa, un tranello per pomposi enciclopedisti improvvisati, una boccata d’ossigeno per i lettori più diffidenti da Wikipedia, che si sono fatti quattro risate o per quelli più creduloni che ci sono cascati con tutte le scarpe.
Non mi intendo molto di calcio, lo seguo con disinteresse e gli preferisco la nobile arte di dar noja collo steccolo al prossimo. Ma sono andato ad approfondire la wikipediana novella, e nella risposta di un altro twittatore ho trovato questo:
Non male come fake. Che si tratta di un fake lo si capisce dal fatto che tutti i giocatori elencati hanno una pagina personale su Wikipedia. Il povero Pandora, invece no. E invece concordo che sarebbe stato veramente un colpo da maestro dedicargli una voce. Così sarebbe passato tranquillamente nella storia dell’inesistente, eppure reale, come tutto ciò che viene riportato in rete, vero o falso che sia, come lo storico Louis Robert de l’Astran, tuttologo del ‘600, mai esistito, eppure rimasto nell’archivio wikipediano per anni con una pagina espresssamente dedicata, senza che nessuno si accorgesse di nulla, finché Segolène Royal non ci cascò pronunciando una sua citazione (falsa, ovviamente) in un suo discorso pubblico e rimediando una figura cacina.
Ma non mi sono fermato qui. Cercando “Gustavo Pandora” su Wikipedia, si scopre che il Nostro avrebbe fatto parte del Real Deportivo La Coruña e dell’Associazione Calcio Fioentina dall’87 al ’91.
Insomma, l’ignoto burlone ha inoculato il nome di Gustavo Pandora in varie voci di Wikipedia, senza che i solerti volontarissimi, espertissimi, attivissimi (che non è soltanto un nome proprio di persona, ma anche un aggettivo suscettibile di essere superlativizzato, i debunker di stato se ne stiano seduti al proprio posto, per favore) e amministratorissimi se ne siano minimamente accorti. L’enciclopedia più sconquassata del mondo, quella che dà un’attenzione spasmodica alle fonti, è di nuovo caduta nelle sabbie mobili del rischio che qualche buontempone si prendesse gioco di loro. E ha fatto solo bene.
Il nome di Gustavo Pandora abbia gloria imperituta nel mondo del calcio e in quello della conoscenza universale (io lo scherzo non gleilo segnalo davvero, è troppo divertente vederli insistere).
A me non interessa una verza difendere Wikipedia. E’ l’ultima cosa che farei al mondo e chi mi segue lo sa (chi non mi segue peggio per lui).
A me interessa denunciare un pessimo giornalismo fatto di copia e incolla (pazienza se qualcun altro lo ha fatto prima di me, non siamo qui a fare le corse, ma a condividere opinioni), un giornalismo fatto alla carlona, alla bene e meglio, segnalare i furbetti del giornalettismo, che scopiazzando qua e là, cambiando solo qualche parola ogni 40/45, riescono a confezionare, con il lavoro degli altri, articoli che appaiono a prima vista originalissimi e con tanto di dicitura “RIPRODUZIONE VIETATA” (majuscolo perchè è imperativo categorico), ma che poi procedono da fonti internet che, come in questo caso, hanno ben altra politica sul copyright.
E non è solo l’avversione per questo giornalismo-collage a muovermi a scrivere e a denunciare, ma, per quanto riguarda questo caso specifico, anche la devozione, l’ammirazione, il ringraziamento personale e il cordoglio per la scomparsa di un gigante della musica come Ennio Morricone, che ci ha lasciati soli ieri mattina.
Questa volta c’è cascato (e con tutte le scarpe) “Il Messaggero”. Non starò qui a sottolineare le frasi, le piccole modifiche, gli artifizi retorici con cui il giornalista ha raccolto a piene mani il contenuto della pagina di Wikipedia dedicata al Sommo Maestro, vi posto soltanto l’articolo originale (poi successivamente modificato -se avete difficoltà a leggere cliccate sull’immagine per ingrandirla-)
e l’originale di Wikipedia
Ma come, muore un gigante della musica e della cultura italiana e per ricordarlo certi giornalismi si mettono a copiare dall’enciclopedia più sgangherata e inaffidabile del mondo? Cosa ci voleva a scrivere un cappello come “Scrive Wikipedia” e mettere tanto di virgolette sui brani citati? E poi perché la riproduzione dovrebbe essere riservata su un testo rilasciato sotto una licenza Creative Commons? Carlo Daffara, su Twitter, riferisce che le parole testualmente riportate sarebbero addirittura 420. Troppe per giustificare una semplice citazione.
Come vi ho detto, quelli del Messaggero, secondo quanto riferisce Maurizio Codogno, ci avrebbero messo una toppa.
Quella di scopiazzare da Internet e spacciare come proprio, con tanto di dicitura “Riproduzione riservata”, il lavoro altrui, è un vezzo giornalistico piuttosto diffuso che non risparmia nessuno, nemmeno le firme più prestigiose ed autorevoli dei nostri quotidiani. L’ultima volta che è successo (nientemento che a Federica Angeli), ne ho parlato qui:
Adesso un dettagliato e documentatissimo articolo dell’ottimo Maurizio Codogno, wikipediano (e ciò un po’ mi dispiace) ma intellettualmente onesto e molto preciso nelle sue affermazioni, individua l’ennesima sommaria scopiazzatura, stavolta a carico del vaticanista di Repubblica Paolo Rodari. Non ci sono dubbi, i due passaggi sulla Fabbrica di San Pietro (che io, da sommo ignorante quale sono, non sapevo nemmeno che esistesse fino a due ore fa) sono identici.
Codogno nel suo articolo ha anche linkato un mio post del quale mi ero completamente dimenticato, ma che, evidentemente, gli è stato utile, era questo:
Non mi resta ora che rimandarvi all’articolo di Codogno, che, gentile com’è, definisce questi pasticci delle “dimenticanze”, articolo che non riporto integralmente perché è giusto che tutti i clic vadano al suo (bel) blog. Ma come sempre statev’accuot’!
AGGIORNAMENTO DI MAURIZIO CODOGNO (ore 19): Paolo Rodari ha modificato l’articolo, indicando che il testo è stato ripreso da Wikipedia. Tutto è bene ciò che finisce bene!
Vi offro quest’altra pregevole imago, perché proprio stamattina ho ritrovato in ottimo stato questa maglietta che ho indossato subito, e ci sono anche andato in giro. E’ bello ritrovare il proprio passato ancora in sintonia coi principî del presente.
Allora, ho fatto una modifica su una voce di Wikipedia.
Alla sezione “Testi” sulla pagina dedicata allo scrittore americano Edgar Rice Burroughs era riportato un link alle opere originali pubblicate dal Project Gutenberg Australia (che non ha nulla a che vedere con il Project Gutenberg oscurato in Italia, ma che ne segue la filosofia, e che, al contrario della consorella USA è regolarmente raggiungibile anche dall’Italia). Il punto è che le opere di Edgar Rice Burroughs sono ancora sotto copyright. Ecco come appariva la voce prima della modifica:
Ho eliminato il link, motivando la mia azione.
La “sorpresa”, se così vogliamo chiamarla, è che la mia modifica è stata accettata. Nessuno si è preoccupato di ripristinare la versione originale, come invece era accaduto quando modificai la data di pubblicazione di un’opera dell’autore su cui avevo fatto la tesi di laurea. Ci sono rimasto male. Mi aspettavo un trattamento più sommario e sbrigativo, trattandosi, oltretutto, di una modifica fatta da un utente non registrato. Invece la mia modifica è rimasta.
Mi ha scritto solo un utente, un tale ValterVB, che mi fa notare che Burroughs è morto 70 anni fa e mi chiede perché le sue opere non dovrebbero essere in pubblico dominio.
Ma è molto semplice. Il pubblico dominio scatta, in realtà, il 1 gennaio dell’anno solare SUCCESSIVO a quello del compimento del 70.o anno dalla data della morte dell’autore. Quindi Edgar Rice Bourroghs è ancora sotto copyright. E in Italia dare un link a opere poste sotto copyright, secondo l’attuale giurisprudenza, è reato. E’ vero che Wikipedia non dipende dalla legge italiana, ma solo da quella statunitense (come il Project Gutenberg, del resto), però le immissioni dei link di riferimento provengono dall’Italia e l’eventuale “reato” (se di reato si vuol parlare) si consumerebbe nel nostro territorio.
Restano indicate, tuttavia, le disponibilità di audiobook dello stesso Burroughs disponibili sul Project Gutenberg e su librivox.org. Quelle non è stato possibile modificarle perché guardate qui il codice sorgente:
Mi aspettavo dai wikipediani una polemica in punta di fioretto, invece non c’è stata. Peccato, peccato davvero.
Wikipedia, in queste ore, incurante del fatto che l’Italia e gli italiani hanno cose più gravi a cui pensare, è tornata a bussar quattrini alle porte delle tasche dei suoi lettori e sostenitori.
Nulla di male in sé, chiedono solo soldi. Poi ognuno di noi è libero di darglieli o di non darglieli. Quello che fa pensare, anche quest’anno, è la motivazione con cui questi denari vengono richiesti: esistono
“volontari che si impegnano con passione per fornirti informazioni affidabili e neutrali”.
Ora, per carità, chiunque di noi vorrebbe poter accedere a una informazione “affidabile e neutrale”, ma si dà il caso che questa chimera sia irraggiungibile tanto nella forma come nella sostanza. Al punto che la Wikipedia italiana segnala doviziosamente nei footer della propria pagina principale che “Wikipedia non dà garanzie sulla validità dei contenuti“.
E allora dove sarebbero queste “affidabilità e neutralità” dell’informazione? Non ci sono. Non esistono. Tutto questo è un sogno, una pura illusione. In un sistema scricchiolante quale quello di Wikipedia, in cui chiunque può modificare (in buona o in cattiva fede) una voce e tramite essa veicolare dei contenuti errati, l”affidabilità e la neutralità vanno a farsi benedire. Magari solo per pochi minuti, o per pochi secondi, ficheé qualcuno non si accorge dello svarione. Ma intanto queste due tanto decantate doti messe a punto dai volontari non ci sono. E, per carità, non venitemi a dire che il prezzo di un caffè non scomoda (quasi) a nessuno. E’ vero che la cifra richiesta da Wikipedia è risibile e alla portata di quasi tutte le tasche. Non è offrire un caffè che mi crea problemi, ma foraggiare una macchina così inutilmente arzigogolata e fondamentalmente inutile. Con 2 euro il caffè lo posso offrire a qualche extracomunitario di passaggio, che magari ne ha anche più bisogno.
Ora, io sono molto addolorato e incazzato insieme.
Addolorato perché fino a pochi minuti fa (circa una mezz’oretta) ero un estimatore incondizionato di Federica Angeli, una giornalista che ho sempre considerato onestissima, coraggiosa, che è costretta a vivere, assieme alla sua famiglia, in una sorta di prigione sotto scorta, che ha realizzato inchieste e scritto libri sul suo impegno contro la mafia di Ostia, che si è battuta per far riconoscere l’aggravante dello stampo mafioso nell’associazione a delinquere per le famiglie condannate almeno in primo grado nella malavita organizzata romana, che ha resistito a 112 processi per diffamazione e li ha vinti tutti, quando io con un procedimento in embrione faccio fatica a tirare avanti la baracca materiale e psicologica dell’esistenza. Sembra un personaggio di “Cent’anni di solitudine” da quanto è bello e, nello stesso tempo, incredibile.
Incazzato perché ho scoperto, grazie alla tempestiva segnalazione di Fabio Montale su Twitter (@FabioMontale) che un brano tratto da uno dei suoi ultimi articoli intitolato “La resistenza della periferia dove la criminalità è un affare d’altri tempi” è ripreso pari pari da Wikipedia. E questo non mi sta bene. Sia perché è stata Federica Angeli a riprendere quel brano (e da lei mi aspetto, anzi, pretendo contenuti originali proprio perché so quale cura e devozione ha nel fare il suo lavoro) sia perché quel brano l’ha ripreso da Wikipedia, di cui, invece, non ho nessuna stima.
Ecco l’articolo (che non è -ancora- reperibile sul web) di “Repubblica”:
Cortesia di @christianraimo
Ed ecco il brano di cui si tratta:
Iniziò sin da giovanissimo a commettere piccoli reati assieme ad altri suoi coetanei abitanti dello stesso quartiere, anch’essi per la maggior parte figli di immigrati del sud.
E’ tratto dalla voce di Wikipedia dedicata a Giuseppe Albano, detto “il Gobbo del Quarticciolo”, protagonista della Resistenza. Ho scaricato la versione PDF della voce che fotografa in modo inequivocabile l’ultima versione disponibile della voce. Ve lo inserisco in coda a questo articolo.
E ora vediamo in sinossi i due brani riportati (il primo è Wikipedia, il secondo è l’articolo della Angeli):
Cortesia di @FabioMontale
Indovinate quali sono le differenze?
Ora, intendiamoci, non è che sia propriamente un reato da ergastolo, quello della Angeli. Non è nemmeno un peccato veniale, per carità, ma interpolare un brano tratto dal web in un contenuto originale proprio senza citare la fonte mi pare, almeno almeno, una caduta di stile. E cadute di stile Federica Angeli, fino ad ora, non ne ha mai fatte.
Dopo aver disposto l’archiviazione la Procura regionale della Corte dei Conti del Lazio ha trasmesso gli atti sui voli di Stato del segretario della Lega Matteo Salvini ai colleghi della sezione penale. Secondo i magistrati contabili il segretario della Lega ed ex Ministro degli Interni avrebbe usato i voli di stato non solo per attività istituzionali, ma anche per attività di partito. L’ex ministro non avrebbe comunque arrecato alcun danno erariale.
Questo è quanto riferisce l’ineffabile Wikipedia sulla recente notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati del nome di Matteo Salvini in ordine all’indagine dei magistrati di Roma, successivamente trasmessa al Tribunale dei Ministri. Singolarmente quanto virgolettato non è correlato dall’indicazione di alcuna fonte (eppure Wikipedia si vanta di essere autorevole proprio perché cita fonti a loro volta ritenute “autorevoli”). Offro di seguito la versione PDF della voce dedicata a Matteo Salvini così come l’ho salvata poco prima di mettere le mani a questo intervento.
Corte di Cassazione
sez. V Penale, sentenza 15 aprile – 20 settembre 2019, n. 38896
Presidente Vessichelli – Relatore Brancaccio
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento impugnato, datato 10.5.2018, la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, ha confermato la sentenza emessa il 11.10.2016 dal Tribunale di Bolzano con la quale L.R. , esponente del partito (omissis) , è stato condannato alla pena di 1.400 Euro di multa, concedendogli il beneficio della sospensione, ed al risarcimento del danno alla parte civile da liquidarsi in sede civile in relazione al reato di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p., commi 2 e 3, commesso nei confronti di F.R. mediante la pubblicazione di uno scritto online dal titolo, tradotto, “(omissis) ” sulla pagina web (omissis) , in cui alla persona offesa veniva attribuito, nell’ambito della sua appartenenza a gruppi di ideologia neofascista e ricostruendo le sue vicende giudiziarie, un collegamento con la strage alla stazione di Bologna in cui morirono 85 persone e vi furono più di 200 feriti.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, avv. Nicola Canestrini, deducendo un motivo di ordine preliminare, legato all’impugnazione dell’ordinanza di ammissione della costituzione di parte civile, e due motivi di merito.
2.1. Quanto all’eccezione sulla costituzione di parte civile, già proposta in appello, si deduce vizio di manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 78, 102 e 122 c.p.p..
La costituzione di parte civile è avvenuta all’udienza del 5.4.2016, in assenza della persona offesa, tramite sostituto processuale al quale non era stata conferita espressa procura speciale per il deposito dell’atto di costituzione, contraddicendo le affermazioni delle Sezioni Unite che, con la pronuncia n. 12213 del 2018, hanno chiarito come il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato soltanto procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura o che il danneggiato sia presente all’udienza di costituzione.
La procura speciale in atti contempla solo la facoltà di “nominare sostituti nella rappresentanza e nella difesa e comunque compiere ogni atto utile” ma non consente espressamente al difensore di nominare sostituti processuali per il deposito dell’atto di costituzione di parte civile, come avvenuto nel caso di specie.
2.2. Un primo motivo di ricorso avverso le ragioni di merito della sentenza deduce manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in riferimento alla interpretazione delle scriminanti del diritto di critica e del diritto di cronaca, ricostruendo la giurisprudenza di legittimità e della Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia.
L’analisi porta il difensore a concludere nel senso che la motivazione impugnata abbia applicato alla fattispecie i parametri di giudizio del diritto di cronaca piuttosto che quelli del diritto di critica, soprattutto in relazione al presupposto della verità dei fatti, valutato in modo ancor più rigoroso di quanto richiesto nell’esercizio del diritto di cronaca, per la parziale incompletezza della notizia che ha messo in relazione F.R. con l’attentato alla stazione di Bologna, omettendo di precisare che è stato escluso qualsiasi suo coinvolgimento nella vicenda.
La motivazione non spiega perché aver messo in relazione F.R. con la strage alla stazione di Bologna equivarrebbe a dire che lo stesso è stato coinvolto e condannato per tale delitto.
Dal contenuto complessivo dello scritto pubblicato online si comprende, invece, che quando l’imputato ha voluto riferire espressamente dell’imputazione del F. per qualche delitto lo ha fatto, mentre l’aver messo in relazione la parte offesa con la strage di Bologna risponde alla logica del diritto di critica ed è frutto di una opinione legittima dell’autore, e non oggetto di un fatto di cronaca, sottoposto alla regola stringente della verità e della sua completezza: su tale aspetto egualmente la motivazione della sentenza impugnata è carente.
2.3. Il secondo motivo di ricorso nel merito deduce manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione nonché violazione di legge in relazione alla sussistenza della scriminante del diritto di critica o di cronaca putativa.
L’imputato non è un giornalista sicché a lui non si applicano gli standard di accuratezza nel verificare i fatti alla base delle affermazioni proposte nè le regole di deontologia professionale tipiche del giornalismo.
La Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente responsabile di diffamazione il ricorrente, nonostante la sua qualità di comune cittadino, per la condotta omissiva di non aver chiarito che la relazione tra la persona offesa e la strage di Bologna era stata definitivamente risolta nel senso dell’esclusione di qualsiasi coinvolgimento di quest’ultima nella grave vicenda delittuosa, valutando apoditticamente insufficiente che l’imputato si fosse documentato svolgendo ricerche su internet, mediante motori di ricerca noti e la fonte Wikipedia.
3. In data 30 marzo 2019 la parte civile ha depositato memoria difensiva con cui risponde alle eccezioni dell’imputato.
Sulla costituzione di parte civile si sottolinea che essa è avvenuta secondo le formalità previste dall’art. 78 c.p.p., comma 1, n. 2, fuori dell’udienza dibattimentale, con atto notificato sia all’imputato che al pm a mezzo di raccomandata con ricevute di consegna agli atti del fascicolo processuale e che si allegano anche alla memoria difensiva.
In udienza, quindi, è stato depositato solo materialmente un atto già perfetto e completo alla cui consegna è certamente autorizzabile il sostituto processuale non munito di procura speciale.
Nel merito, si argomenta che l’imputato avrebbe violato, nell’esercizio del diritto di critica, il presupposto necessario della verità dl fatto, mediante il collegamento della persona offesa alla strage di Bologna.
Il dovere di verificare le notizie prima di pubblicarle, poi, spetta a chiunque intenda pubblicare qualcosa a prescindere dalla professione di giornalista esercitata o meno. Inoltre, l’imputato è un esponente politico di livello di un partito sudtirolese ed ha anche ricoperto in passato cariche pubbliche sicché era avveduto del dovere di verifica di determinate notizie “a rischio diffamazione”, tanto più che ha attribuito alla persona offesa anche di essere ispiratore nel delitto di strage, oltre che il collegamento generico ascritto in imputazione ad essa.
La memoria cita, tra l’altro, la sentenza n. 42020 del 2012 di questa Sezione della Corte di cassazione in cui è stata riconosciuta nei confronti di alcuni giornalisti la responsabilità per il reato di diffamazione in relazione al medesimo collegamento operato dall’imputato tra la persona offesa e la strage di Bologna.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è nel complesso infondato e deve essere, pertanto, rigettato.
2. Quanto alla preliminare questione inerente alla costituzione di parte civile, il motivo prospetta una situazione di fatto che non corrisponde alla realtà processuale, come del resto – già era stato messo in luce dalla sentenza impugnata, con la cui motivazione il ricorrente non si confronta, riproponendo la medesima eccezione già sollevata nell’atto di impugnazione di merito ed incorrendo, per ciò solo, in un evidente difetto di ammissibilità per aspecificità e genericità del ricorso.
Invero, dal controllo degli atti svolto dal Collegio e consentito in ragione della natura processuale del vizio dedotto, risulta che l’atto di costituzione di parte civile è stato notificato a mezzo posta sia al pubblico ministero che all’imputato, confermandosi in tal modo la ricostruzione della Corte d’Appello, che aveva sottolineato come detta costituzione fosse avvenuta fuori udienza secondo il procedimento consentito dalle disposizioni del codice di rito (art. 78 c.p.p., commi 1 e 2) e nel rispetto della regola del conferimento di procura speciale al difensore nominato.
In udienza, pertanto, si è esercitata solo la facoltà, riconosciuta e conferita con la procura speciale già formalizzata, di depositare materialmente l’atto di costituzione, già autonomamente avvenuto e perfezionatosi fuori udienza con la notifica alle altre parti processuali.
Deve evidenziarsi che le Sezioni Unite di recente sono intervenute a far chiarezza circa le modalità legittime di attuare la procedura di costituzione di parte civile in giudizio. Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. 2018, Zucchi, Rv. 272169, infatti, ha chiarito che il sostituto processuale del difensore al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l’azione civile nel processo penale non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente.
A giudizio delle Sezioni Unite, affinché il potere di “sostituzione” sia legittimamente conferito, appare necessario e sufficiente che il danneggiato preveda una tale possibilità in capo al difensore-procuratore speciale all’interno della procura di cui agli artt. 76 e 122 c.p.p.: “necessario”, perché solo tale ambito formale garantisce che al sostituto venga delegato il diritto sostanziale di cui il mandante è titolare, e “sufficiente” perché non può pretendersi, all’estremo opposto, che il danneggiato conferisca una ulteriore apposita procura speciale direttamente in capo al sostituto.
Nel caso di specie, la procura speciale è stata conferita sia con effetti di legitimatio ad causam che di legitimatio ad processum e già in un fase precedente all’udienza di prima trattazione, mentre lo stesso ricorrente ammette che tra i contenuti della suddetta procura speciale vi sia anche la facoltà di “nominare sostituti nella rappresentanza e nella difesa e comunque compiere ogni atto utile”. Risulta, pertanto, illogico e pretestuoso ritenere che, tra le prerogative riconnesse alla nomina di sostituti nella rappresentanza e nella difesa, nonché al compimento di ogni atto utile, non debba ricomprendersi il deposito – meramente ricognitivo nel caso di specie, in virtù della costituzione perfezionatasi fuori udienza – dell’atto di costituzione di parte civile.
Il motivo di ricorso proposto, pertanto, si rivela inammissibile anche in quanto manifestamente infondato.
2. La prima delle eccezioni difensive riferite al merito della vicenda ascritta all’imputato è infondata.
La parte civile è stata più volte coinvolta in processi per diffamazione, giunti sino al giudizio di questa Corte di legittimità e nei quali si è riconosciuto come, nei suoi riguardi, si fosse travalicato il limite consentito del diritto di cronaca o di critica in riferimento alla notizia del suo coinvolgimento nelle indagini sul drammatico attentato alla stazione ferroviaria di Bologna noto come “Strage di Bologna”, a seguito del quale molte decine di persone sono state uccise e centinaia ferite.
Nelle pronunce conseguenti a tali processi, la Corte di cassazione ha più volte ritenuto che l’accostamento tra F.R. , fondatore di “(OMISSIS) “, e la strage di Bologna – nelle molteplici forme in cui era stato realizzato in concreto – fosse diffamatorio, nonostante la appartenenza di costui alla cd. “destra eversiva” e la condanna per associazione sovversiva riportata, tuttavia, in un ambito diverso da quello riferibile al terribile delitto oramai entrato nella storia del Paese (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 25561 del 23/6/2008, Bonugli, non massimata; Sez. 5, n. 31610 del 29/7/2008, Pepi, non massimata; Sez. 5, n. 11897 del 26/3/2010, F. , Rv. 246355, in motivazione; Sez. 5, n. 42020 del 8/5/2012, Bevere, Rv. 254169).
Ripercorrendo tali pronunce si ricava una linea interpretativa senza dubbio valida anche per risolvere il ricorso oggi sottoposto all’attenzione del Collegio.
Deve, infatti, convenirsi con le sentenze richiamate su un punto-chiave della loro ricostruzione storico-giuridica: costituisce condotta diffamatoria descrivere la figura di F. – sia pur stato egli un terrorista appartenente alla destra eversiva, come accertato con sentenza passata in giudicato con la quale la Corte d’Appello di Roma lo ha condannato per il reato di associazione sovversiva – ponendola in relazione con un episodio delittuoso di eccezionale gravità e ferocia quale è stato la strage di Bologna, rispetto al quale egli è risultato del tutto estraneo sul piano storico ed investigativo (non essendo stato il ricorrente neppure mai imputato per quel gravissimo delitto, mentre si dà atto, nella pronuncia oggi impugnata, che egli è stato addirittura parte civile costituita nel processo per la strage di Bologna, ottenendo risarcimento del danno, in ragione della sua estraneità ai fatti).
E dunque, come è stato efficacemente sottolineato dalla sentenza n. 31610 del 2008, deve essere ritenuta lesiva della reputazione della persona offesa l’attribuzione di una notizia complessivamente non vera poiché formata da un dato rispondente alla realtà-quello della condanna di F. per il reato di associazione sovversiva in ambito territoriale diverso – e da un accostamento suggestivo a fatto non vero, e cioè il suo coinvolgimento nella strage di Bologna, innegabilmente evincibile dal contesto unitario dell’articolo pubblicato sul sito web giornalistico dal ricorrente, anche in considerazione del fatto che si è omesso di precisare – come sarebbe stato doveroso – l’epilogo della vicenda e l’esclusione di un qualsiasi suo effettivo collegamento con quel terribile reato.
Seguendo la logica comune, infatti, il lettore medio è portato a ricavare dall’accostamento incompleto dei due dati – uno dei quali gravemente omissivo – una notizia nuova e diversa da quella della mera condanna della parte offesa per associazione sovversiva: e cioè la notizia di un coinvolgimento del diffamato nell’efferato reato di strage, a ragione indicato da molti come uno degli eventi più cruenti e drammatici della storia repubblicana, senza che rilevi come nell’articolo non siano specificati i dettagli di detto coinvolgimento.
Deve rammentarsi, infatti, che – secondo uno dei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità in tema di diffamazione, che il Collegio intende ribadire – ai fini dell’applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, è necessario che l’articolista, nel selezionare fatti accaduti nel tempo reputati rilevanti per illustrare la personalità dei soggetti criticati, non manipoli le notizie o non le rappresenti in forma incompleta, in maniera tale che, per quanto il risultato complessivo contenga un nucleo di verità, l’operazione stravolga il fatto nella sua rappresentazione (Sez. 5, n. 57005 del 27/9/2018, Padellaro, Rv. 274625).
Ciò vale a maggior ragione anche in relazione al diritto di cronaca.
E difatti, l’esercizio del diritto di cronaca non può ritenersi fedele al requisito della veridicità dei fatti qualora la ricostruzione degli avvenimenti avvenga in modo da travisare la consecuzione degli stessi, omettendo il riferimento di fatti rilevanti nella proposizione delle notizie e, per contro, proponendone taluni in una luce artificiosamente emblematica, al di là della loro obiettiva rilevanza, in modo da tentare di indirizzare il giudizio del lettore (Sez. 5, n. 15176 del 15/3/2002, Di Giovacchino, Rv. 221864).
Nè vale a eliminare la valenza diffamatoria dei contenuti dell’articolo la finalità di critica politica dello scritto, funzionale – secondo la prospettazione difensiva – a stigmatizzare da parte del ricorrente, noto esponente del partito (OMISSIS) , l’avvento organizzato di una compagine politica considerata di estrema destra ((OMISSIS) ) nella città altoatesina di XXXXXX.
È evidente, infatti, che la pubblicazione ha avuto una doppia valenza nei suoi contenuti e, sebbene la finalità ultima dell’articolista potesse essere anche quella della critica politica già rappresentata, tuttavia una quota importante dello scritto è stata dedicata a ricostruire la figura storico-criminale di F.R. e, dunque, evidentemente improntata alla cronaca giudiziaria.
In ogni caso, il diritto di critica politica non eliderebbe la valenza diffamatoria dello scritto, non essendo tale diritto estensibile nel suo valore scriminante sino al punto da rendere irrilevante la suggestiva attribuzione di un collegamento tra il diffamato ed un delitto di strage così violento e drammatico nell’immaginario storico collettivo, sia pur fondata su omissioni ed equivoci narrativi.
3. Anche la seconda ragione difensiva che accede al merito della configurabilità del reato in capo al ricorrente si presenta priva di pregio.
La Corte d’Appello, ai fini della sussistenza della invocata scriminante putativa del diritto di critica o di cronaca, ha correttamente valutato come insufficientemente assolto dal ricorrente l’onere di verifica delle fonti dalle quali ha tratto la notizia diffamatoria.
Invero, nonostante l’opinione manifestata nel motivo di ricorso, secondo cui costituirebbe condotta idonea all’adempimento di detto onere svolgere, in ordine ai contenuti dei propri articoli giornalistici, accertamenti via internet, mediante noti motori di ricerca e utilizzando dati di conoscenza provenienti dalla enciclopedia web probabilmente più diffusa al mondo quale è Wikipedia, tale tesi non può invece essere condivisa, soprattutto in una materia così delicata quale la cronaca giudiziaria e in un contesto di evidente e notoria incertezza di accertamenti delle responsabilità quale è quello che ha caratterizzato le vicende della strage di Bologna.
Inoltre, la gravità delle condotte attribuite o ricollegate al soggetto diffamato individua la cifra anche del connesso onere di verifica delle fonti dalle quali si trae la notizia diffamatoria: è chiaro, pertanto, che se si organizza un racconto giornalistico in maniera tale da accettare il rischio che un determinato soggetto possa essere messo in relazione con un episodio delittuoso gravissimo e quasi senza pari nel panorama criminale del Paese, tanto più l’articolista narrante deve innalzare il livello delle verifiche “di verità” di quanto espone, non potendosi limitare a citare di essersi documentato via internet in qualsiasi modo là dove ometta, invece, una porzione determinante della vicenda quale è la totale esclusione – già come ipotesi investigativa – del coinvolgimento di tale soggetto in quel reato.
Le fonti citate dal ricorrente, infatti, non garantiscono la reale completezza informativa alla base di una eventuale operatività della scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca o di critica giornalistica.
Deve essere affermato, pertanto, il seguente principio di diritto: in tema di diffamazione a mezzo stampa o di pubblicazioni di tono giornalistico on line, al fine di configurare la scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca o critica, non costituisce condotta di per sé idonea all’adempimento del richiesto onere di svolgere, in ordine ai contenuti dei propri articoli giornalistici, i dovuti accertamenti sulla veridicità dei fatti e l’attendibilità delle fonti informarsi soltanto via internet, mediante noti motori di ricerca e utilizzando dati di conoscenza provenienti dalla enciclopedia web Wikipedia, poiché tali strumenti non garantiscono “tout court” la reale completezza informativa funzionale alla operatività della scriminante putativa dell’esercizio del diritto di cronaca o di critica giornalistica.
Sulla base della natura della notizia e delle circostanze del caso concreto, dunque, l’articolista dovrà, se del caso, integrare altrimenti i propri accertamenti su fonti e contenuti dello scritto.
3.1. Neppure rileva l’osservazione difensiva riferita alla circostanza che l’articolista non sia un giornalista vero e proprio, sicché a lui non potrebbero essere riferiti gli standard di accuratezza nel verificare le fonti e la completezza dei fatti riportati, tipici di chi svolge tale lavoro in via professionistica.
L’impegno nel controllare il fatto narrato, infatti, deve essere preteso nei confronti di chiunque intenda pubblicare una notizia nelle forme di diffusività idonee eventualmente a configurare il reato di diffamazione a mezzo stampa (anche via web), senza che sia possibile prevedere un onere di diligenza “attenuato” nella verifica delle fonti o dei contenuti dello scritto per il privato che svolga attività più o meno continuativa di articolista, rispetto al giornalista di professione.
Chi intenda comunque pubblicare una notizia non certa, infatti, accetta il rischio che essa non corrisponda al vero e che l’antigiuridicità della condotta diffamatoria rimanga senza giustificazione, ponendosi dinanzi a lui in tal caso solo l’alternativa di non pubblicare affatto la notizia (cfr. Sez. 5, n. 3132 del 8/11/2018, dep. 2019, Lippera, Rv. 275259; Sez. 5, n. 13708 del 17/12/2010, dep. 2011, Giurovich, Rv. 250203; Sez. 5, n. 15986 del 4/3/2005, Rv 232131; Sez. 5, n. 31957 del 22/6/2001).
Anche sotto il richiamato profilo, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.
4. In relazione agli esiti del ricorso, devono essere liquidate alla parte civile costituita e presente in udienza le spese sostenute nel giudizio, che si ritiene congruo determinare nella misura di Euro 1800 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile liquidate in Euro 1800 oltre accessori di legge.
Tommaso Ragno è un (bravo) attore italiano. Wikipedia gli ha dedicato una pagina in italiano e una in francese. In queste ore ha ricevuto svariate manifestazioni di affetti e di augurio per il suo compleanno. Non ci sarebbe nulla di male e di strano se solo si pensasse che oggi NON è il suo compleanno, come erroneamente riportato da Wikipedia. Ok, allora Tommaso Ragno cosa fa? Pensa che poco male, Wikipedia è un’enciclopedia libera, potrò ben correggere l’informazione, del resto è lì apposta per essere corretta e perfezionata dagli utenti, no? E corregge. Ci mette la data del compleanno, quella VERA e attende. Le informazioni così corrette vengono però rimbalzate dalla Torre di Guardia dell’enciclopedia più sgangherata dell’universo che le definisce provenienti da una “fonte non attendibile”. Ora, voglio dire, il compleanno è il suo, chi può essere più informato sulla data del proprio genetliaco se non chi quella data la festeggia ogni anno? Nessuno, evidentemente. Eppure, pur di non pubblicare un dato corretto, la Wikipedia italiana è disposta a mettere a testo che Ragno è genericamente nato nel 1967 (senza specificare la data):
L’edizione francese riporta, invece, ancora la data sbagliata:
Wikipedia è una fonte inesauribile e formidabile di autoumorismo involontario.
Oggi chi abbia visitato almeno una pagina in italiano di Wikipedia si sarà certamente visto rinviare su una pagina nera tipo quella che riproduciamo qui. Il 26 marzo (cioè domani) “il Parlamento europeo voterà su una nuova direttiva sul diritto d’autore. La direttiva darà agli editori il potere di limitare la diffusione di notizie e titoli in ogni sito altrui (articolo 11). Costringerà inoltre quasi tutti i siti ad analizzare preventivamente ogni contributo dei propri utenti per bloccarli automaticamente se non autorizzati dalle industrie del copyright (articolo 13).” La pagina invita, inoltre, a scrivere al proprio deputato al Parlamento Europeo, per pregarlo di non votare questa direttiva, o per rendergli noto che non è possibile appoggiare un qualsivoglia testo di legge che contenga i suddetti articoli 11 e 13.
C’è un “ma”, Questa normativa non si applica a Wikipedia. Con tutto il baccano che hanno fatto nelle passate occasioni in cui il Parlamento Europeo ha messo mano alla normativa sul diritto d’autore, Wikopedia se n’è completamente dimenticata. La norma salvacondotto per i wikipediani non sarà toccata dal voto di domani, Lo sanno benissimo, tant’è che scrivono “Nonostante Wikipedia possa non essere direttamente toccata da queste norme, il nostro progetto è parte dell’ecosistema di internet.”.Classico esempio di ambientalismo telematico. Siccome alcune specie animali rischiano l’estinzione (si legga: alcuni siti possono essere colpiti dalla nuova normativa) allora noi protestiamo per preservare la vita sulla terra, tanto viviamo tutti nello stesso ecosistema. Ma camperanno bene lo stesso, loro, ne sono consapevoli e fanno una protesta di una durata relativamente breve e limitata. Intanto, a rimandare alla pagina di cui sopra sono solo le versioni in italiano e in portoghese. Nulla appare nella Wikipedia francese, in quella inglese, in quella spagnola e in quella tedesca. Eppure mi risulta che anche Francia, Spagna, Irlanda, Austria, Germania (tanto per fare dei nomini) siano interessate dalla stessa normativa in discussione e in approvazione domani. Eppure se ne sbattono allegramente i coglioni. Perché? E, soprattutto, perché la protesta durerà solo fino a domattina, 26 marzo, alle ore 8.00 del mattino? E’ molto semplice, perché se si prolungasse oltre poi Google e gli altri motori di ricerca penalizzerebbero Wikipedia nelle loro indicizzazioni interne. Ed essere ai primi posti di Google è un privilegio troppo irrinunciabile, anche per una causa tutto sommato nobile. Quindi niente paura, da domattina tutti davanti al PC per vivere, visualizzare, navigare e usufruire di Wikipedia come è e come era prima (cioè sostanzialmente una schizofrenica rappresentazione della realta). Il Parlamento Europeo voterà (o respingerà) la legge, ma loro non faranno assolutamente nulla se le normative dovessero essere (definitivamente) approvate. Tutt’al più ricominceranno a mettere dei banneroni per chiedere un po’ di quattrini. Ma anche a quelli ci siamo, più che abituati, assuefatti.
Milioni di persone nel mondo leggono Wikipedia, ma solo l’1% di questi lettori dona.
Toh, guarda, ero qui che ci pensavo!
Abbiamo tantissimo lavoro da fare per proteggere il futuro di Wikipedia, ma questa è l’ultima occasione che ho per il 2019 di coinvolgerti. Te lo chiedo dal profondo del cuore: rinnova la tua donazione di 2 € a Wikipedia.
Ecco, ma per esempio, giusto per sapere, ci sono mai venuto io nella tua casella di posta elettronica a chiederti soldi? E allora te lo chiedo dal più profondo del cuore anch’io: levati di ‘ulo. E al più presto.
Siamo la fondazione non-profit che sostiene uno dei 10 siti più visitati al mondo.
Sì, io invece gestisco un blog che ha fra le 1000 e le 1500 visite al giorno. Guarda un po’ se è la stessa la differenza sì o no.
Non generiamo profitti vendendo al miglior offerente i dati dei nostri utenti.
E vorrei anche vedere!!
E non vendiamo spazi pubblicitari perché non vogliamo mettere a rischio l’integrità e la neutralità dei nostri contenuti.
Wikipedia non è neutrale. E’ faziosa e di parte. Se Wikipedia si può permettere un bannerone sulle sue pagine per chiedere contribuzioni ai suoi utenti può anche vendere quello stesso spazio a soggetti di sua fiducia (ce ne sarà qualcuno!!). Sono scelte etiche e di mercato. Ma non è che siccome hai fatto la scelta di non ospitare pubblicità sulle tue pagine puoi venire a rompere i coglioni alla gente ogni 3 x 2.
Ma non proviamo invidia per quei siti i cui ricavi dipendono da queste tattiche.
Più che altro sono quei siti i cui ricavi dipendono da queste tattiche che non provano invidia per voi.
Il nostro modello non-profit è sicuramente un ostacolo al profitto, ma è anche un privilegio. Ogni giorno possiamo andare a lavoro
Si dice “Andare AL lavoro”. Stai attentino a chi ti traduce le mail di spam la prossima volta.
con la consapevolezza che stiamo contribuendo a costruire un mondo migliore, più connesso e collaborativo, e che lo stiamo facendo insieme a migliaia di collaboratori volontari, milioni di piccoli donatori
Ecco quello che mi fa incazzare di te. “Milioni di piccoli donatori”. MA quanti saranno questi “milioni”?? Due? Tre?? A 2 euro ciascuno sono 4-6 milioncini di euro puliti puliti. E non dire che non ci state larghi.
e una parte ancora più piccola di persone che scelgono di donare di più.
Se tutti coloro che usano Wikipedia donassero, potremmo continuare a farla crescere nei prossimi anni.
Sì, e se la mi’ nonna ciaveva le ròte era un carretto.
Abbiamo deciso di rimanere una non-profit indipendente per conservare quel privilegio. Non vendiamo spazi pubblicitari o servizi ai nostri lettori. Sebbene le nostre dimensioni richiedano la manutenzione dei server e un lavoro di programmazione di altissimo livello, ci sosteniamo unicamente grazie al supporto dei nostri donatori, che in media donano 13 €. Quest’anno dedicherai solo un minuto per permetterci di continuare il nostro lavoro?
No. Il minuto lo dedico a fare unsubscribe dai vostri sistemi. Toh, o guarda un po’ qui:
Poi succede che ti arriva una e-mail. Mittente apparente jimmy@wikipedia.org. E già il mittente è inquietante. Più inquietante è il subject: “Valerio – Ne ho abbastanza“. “E vai“, ti dici “Jimmy Wales, il guru di Wikipedia in persona, si è arrabbiato di tutti gli interventi che faccio contro di loro e adesso promette vendetta.” Non potrei permettermi un contenzioso con Wikipedia, figuriamoci una causa legale, per cui apro la mail con un po’ di titubanza. Cazzo vuole Jimmy Wales da me? Semplice: soldi. La mail inviata apparentemente dall’indirizzo di Jimmy era in realtà intestata (indirizzo e-mail del mittente) alla casella di posta elettronica donate@wikipedia.org afferente alle donazioni. Siccome nel 2018 ho disgraziatamente effettuato per errore una donazione a Wikipedia (per vedere dove andassero a finire materialmente i nostri soldi), allora ecco di nuovo Jimmy Wales o chi per lui, in una mail scritta in perfetto italiano, a bussar quattrini e a chiedermi di effettuare una nuova donazione per il 2019.
Scrive: “La compravendita dei dati degli utenti, come se la nostra privacy fosse una merce qualsiasi, i siti a pagamento che bloccano l’accesso a chi non può permetterselo, la pubblicità che ci bombarda ogni volta che apriamo un browser: ne ho abbastanza!”
Ecco uno che si lamenta della gestione della privacy degli utenti e poi usa i dati in suo possesso per andare a chiedere donazioni. Non è che sia molto coerente, a dire il vero. Ho fatto una donazione a Wikipedia, questo è vero (anche se per mia sbadataggine e contro la mia volontà), se deciderò di farne un’altra lo farò senza che nessuno mi scriva usando il trucchetto dell’e-mail scambiata e farlocca per farmi credere, inizialmente, che sia proprio Jimmy Wales in persona (e anche con un subject assai incazzoso, per giunta) a scrivermi, perché se immediatamente vedo un indirizzo del tipo donate@qualcosa.qualcosaltro poi sono portato a pensare che si tratti di una scocciatura, che il mittente faccia solo spamming (come effettivamente è) e che Wikipedia mi chieda di aprire il portafoglio (come effettivametente è). Quindi sono portato a cestinare automaticamente la mail. Invece così mi prendo un bell’accidente e quanto meno la mail la apro. Fine psicologia wikipediana, non c’è che dire.
La pubblicità. Jimmy Wales ha ragione a dire che la pubblicità ci bombarda ogni volta che abbiamo un browser, ma la pubblicità, per molti siti, è l’unica fonte di sostentamento. Questo blog vive anche grazie alla pubblicità. Wales aggiunge: “Siamo una non-profit. Solo l’1% dei nostri lettori dona” ed ecco quello che mi fa più incazzare, una lagna costante e una lamentela sempiterna. Questo blog ha in media 1000 visualizzazioni al giorno. Non sono tante. Non sono poche. Sono 1000 visualizzazioni. Per 365 giorni all’anni fa 365000 visitatori. Mettiamone pure 300.000 per prudenza. Se io avessi l’1% dei miei visitatori che mi facesse una donazione di un euro (il prezzo di un caffè, come dico nella pagina di valeriodistefano.com) ricaverei 3000 euro. Che basterebbero e avanzerebbero per liberarsi dalle pubblicità di Google Adsense su valeriodistefano.com e su classicistranieri.com per almeno 9 anni. Per cui, hai l’1% dei tuoi lettori che ti fa una donazione? Ringrazia il tuo Dio, perché con i numeri che ha Wikipedia questo significa poter contare su tanti, ma tanti, ma tanti soldi. Che bisogno hai di venire a rompere i coglioni a me, povero blogger, che se voglio raccattare qualche centesimo (perché di centesimi si tratta) al giorno sono costretto a servirmi dei bannerini pubblicitari pregando che qualcuno ci clicchi sopra, perché se non ci clicca nessuno io non ricavo niente di niente??
Jimmy Wales ne ha abbastanza? E sapesse quanto ne abbiamo abbastanza noi del modello wikipediano. Di un’enciclopedia che usa i SeroBOT per censurare i contributi degli utenti, di tutte le volte in cui scrivono “qual è” con l’apostrofo, di quando la lobby si impunta e fa pressione sul Parlamento Europeo che fa una norma ad hoc per la Link Tax, quando pubblicizzano il Manifesto della Razza da Wikisource, quando scrivono che Vittorio Emanuele II era “superdotato” come se fosse un dato enciclopedico, quando dedicano parole e parole in una voce su Wanna Marchi, ma lo scrittore catalano Rafael Cansinos-Assens non ha nessuna voce e così via.
Quanto tempo sarà che non vi parlo più di Wikipedia? Eh, parecchio!
Oggi mi è venuto in mente di cercare sull’enciclopedia più sgangherata del mondo quante volte e in quali pagine ricorra l’espressione “qual’è”, con tanto di apostrofo (che, notoriamente, non ci va).
Ho cliccato su “cerca” e mi si è aperto il mondo. Guardiamo il caso più divertente:
Nella pagina dedicata al cognome “Russo” (origini, diffusione etc…), tra le note è riportato un articolo di Emanuela Mastrocinque, “Qual è l’origine del cognome Russo?”, pubblicato su un sito web. Nel trascriverne il titolo il wikipediano medio si è lasciato sfuggire un “Qual’è”, che ancora campeggia a bella vista nella pagina.
Uno può sempre dire: “Ma magari era sbagliata la dicitura della fonte citata da Wikipedia”. Macché, invece era giusta. Eccola:
Intellettuali d’oggi, wikipediani di domani.
E come sempre a corredo del tutto, ecco la pagina originale di Wikipedia in PDF
Anch’io uso Wikipedia. La uso nel senso che la sfrutto. Utilizzo, cioè, le sue risorse per informare i suoi utenti del materiale presente per il libero download su www.classicistranieri.com. Ogni tanto modifico qualche voce e ci metto un link. Non è “vandalismo”, come lo chiamano impunemente i wikipediatici, è informazione, è mettere in comune una risorsa, è dire “Guardate, c’è questa cosa, se volete la trovate qui”.
L’altro giorno ho modificato la voce “Don Quijote de la Mancha” della versione spagnola di Wikipedia. Ci ho messo il link alle mie concordanze dell’opera, disponibili, appunto su classicistranieri.com.
Sono un’opera di consultazione che può essere utile a qualcuno, non esiste da nessun’altra parte ed è disponibile in più versioni (formati di testo).
Come era da prevedersi, la modifica è stata rifiutata. E chi può fargliene una colpa? Ognuno in casa propria agisce come meglio crede, se non vogliono il mio contributo non vedo perché dovrei incazzarmi (oltretutto quelli della versione italiana l’hanno accettato tranquillamente). Ma CHI è stato a rifiutare la mia modifica? Un certo SeroBOT, un robot, un computer, una macchina che è stata programmata “per sapere che tipo di modifiche sono dannose o realizzate in buona fede”.
Et voilà, ora la buona fede si calcola con un algoritmo, non esiste più nemmeno il wikipediota-tipo che una volta ti ripristinava la versione precedente ma almeno ti dava uno straccio di spiegazione (solitamente “Qui decidiamo noi, e se abbiamo deciso che il tuo è vandalismo è segno che è vero”). Adesso fa tutto un robot, e le sue decisioni, quali che siano, te le tieni.
E’ segno evidente che Wikipedia sta implodendo e che i volontarissimi non sono più in grado di gestire il sapere, le varie modifiche, i contributi esterni. E’ una questione di paura, nient’altro. Se ci fosse stato qualcuno che si fosse preso la briga di andare a vedere di che cosa si trattava, FORSE (e sottolineo FORSE) il contributo sarebbe passato. E FORSE l’argomento sarebbe stato migliorato. Ci chiamano “vandali”, noi contributori esterni. E non è che ci guadagno chissà che cosa. Il traffico proveniente da Wikipedia rappresenta sì e no il 2-3% delle visite del sito.
Ma è Wikipedia, e non bisogna più stupirsi di nulla.
Così tutto è finito a tarallucci e vino. Il Parlamento Europeo ha votato a larga maggioranza l’approvazione della Link Tax e delle altre norme di riforma del copyright ma ha lasciato fuori dall’applicabilità di questi articoli di legge i “progetti collaborativi”. In pratica Wikipedia.
Era già tutto largamente previsto, tant’è che nel mio post di ieri avevo già largamente profetizzato (scusate se me la tiro un po’) che Wikipedia sarebbe uscita perfettamente indenne dalla tenzone per cui aveva addirittura minacciato il pericolo di chiusura.
Google, Facebook, Yahoo e altri giganti del web dovranno pagare un giusto compenso ai rispettivi editori per gli estratti dai giornali on line che pubblicano. Wikipedia no. Wikipedia è al di là della stessa legge, non può essere toccata, non deve essere interrotta nella sua infinita produzione di informazioni (spesso anche senza senso logico, o con grammatica e ortografia incerte), non può sborsare nemmeno un centesimo delle copiose donazioni dei suoi utenti per pagare quello che utilizza. E’ incredibile ma è così.
E questa lobby ha messo le mani su qualcosa di molto più grande della cultura, ha messo le mani sulla conoscenza. Siamo arrivati all’assurdo di credere che tutto ciò che non è scritto su Wikipedia non esiste e questo è di una tristezza somma.
Scriveva Eduardo: “‘O tiempo d’e ‘llacreme è fernuto. Mo’ è tiempo ‘e core mosso e faccia tosta“.
A luglio pubblicai un post sul blog intitolato “Wikipedia rimandata a settembre”. In quell’occasione Wikipedia aveva oscurato tutte le sue pagine in italiano per protestare contro l’approvazione degli articoli 11 e 13 della nuova direttiva sul copyright in discussione presso il Parlamento Europeo dichiarando di essere addirittura nelle condizioni di dover chiudere se i testi dell’articolato fossero stati approvati così com’erano. Il risultato finale fu che la discussione fu rimandata a settembre, come i ragazzini più discoli e meno studiosi, Wikipedia ha ripreso a pubblicare tutti i suoi contenuti e la gente che aveva protestato perché non aveva voglia di andare in biblioteca a consultare dei sani libri di carta ha tirato un sospiro di sollievo.
Ora siamo di nuovo a settembre. Impressioni di settembre, settembre poi verrà ma non ti troverà, september morn. Oggi è in discussione quello che è stato semplicemente rimandato a luglio. Wikipedia cosa decide di fare? Oscura TUTTE le sue immagini per chiedere l’approvazione della Libertà di panorama (sul banner wikipediano è scritto con tanto di hashtag). La libertà di panorama? Ma come, a luglio c’era il rischio chiusura e oggi si preoccupano delle foto di palazzi e monumenti?? Eppure è così:
Invitano anche a scrivere una mail al proprio deputato europeo (che dev’essere un po’ come l’angelo custode, io il mio non so nemmeno chi sia) in cui, con un modello precostituito, si invita a votare a favore della protezione del pubblico dominio (che dovrebbe essere già protetto di per sé, proprio in quanto pubblico dominio, e nessuno dovrebbe poter dubitare che un’opera sia liberamente fruibile da tutti se sono passati i termini di legge), le eccezioni per i contenuti generati dagli utenti (ma ogni contenuto che abbia un minimo di creatività ed originalità è di per sé e per diritto naturale coperto dal diritto d’autore, e l’autore decide anche che cosa possano fare gli altri dei propri contenuti, spiacente ma in Italia funziona così), le eccezioni per l’estrazione di testo e di dati (che è il punto su cui Wikipedia potrebbe avere dei seri problemi, ma non lo dicono).
La protesta di Wikipedia, dunque, appare incredibilmente debole e blanda (anche se, prevista inizialmente per la sola giornata di martedì, continua anche in quella di mercoledì, giorno di votazione) rispetto all’allarme minacciato e paventato dalle iniziali premesse.
Come sempre la montagna ha partorito un topolino, e l’unico effetto di questa iniziativa saranno poche e-mail che intaseranno le pazienti caselle di posta elettronica dei deputati europei italiani. Perché se andate a vedere sulle altre versioni linguistiche, NON troverete tutta questa pappardella di cui vi ho parlato. Eppure il Parlamento Europeo legifera anche per paesi di lingua inglese (non credo che l’Irlanda sia esclusa), spagnola, portoghese, tedesca (su cui campeggia un semplice avviso che spiega che oggi i wiki saranno disponibili in sola lettura per massimo un’ora), francese e così via. Anzi, paradossalmente, se andate sulla versione inglese di Wikipedia trovate questo:
cioè un invito a fotografare panorami e monumenti. E’ il massimo del ridicolo e della contraddizione. La Wikipedia italiana sta facendo una figura meschina davanti al mondo intero e ci sembra che sia una legittima protesta di una piazza virtuale che oggi si trova oscurate le immagini.
Se Wikipedia dovesse chiudere a seguito delle legislazioni votate oggi, non sarebbe un gran male. Ma noi sappiamo tutti benissimo che non chiuderà.
Hanno preso la palla al balzo di una discussione in sede di Parlamento Europeo sulla riforma del Copyright e hanno pensato bene di lanciare l’allarme in rete di una imminente repressione di alcuni diritti fondamentali del Web che, a loro dire, coinvolgerebbe anche la versione italiana di Wikipedia. Non si capisce come coinvolgerebbe SOLTANTO la versione italiana, visto che il progetto legislativo riguarderebbe TUTTI i Paesi dell’Unione Europea, e quella italiana è la versione linguistica che per prima è andata a gridare “Al lupo! Al lupo!”, seguita, nel tempo, soltanto da quella spagnola, estone e lituana. Dunque, dicevamo, per protestare contro l’imminente scempio dei diritti che oltretutto NON riguardavano Wikipedia (ed è stato messo addirittura nero su bianco), la sezione italiana di Wikimedia ha pensato di inibire l’accesso ai contenuti, creando un vero e proprio putiferio tra gli addicted (che, evidentemente, non sanno sopperire alla mancanza di una informazione di Wikipedia con l’apertura di un sano libro o la consultazione di una buona enciclopedia cartacea).
Hanno piazzato davanati agli occhi di tutti un proclama in cui si affermava addirittura che, se la normativa fosse stata recepita (e il termine per farlo era il 5 luglio), Wikipedia avrebbe anche potuto chiudere. “Dio lo volesse!!”, mi sono detto subito “a cosa devo l’onore di tanta manna??” A nulla, alla sola volontà di creare scompiglio e generare confusione nell’opinione pubblica. Perché quali sarebbero queste modifiche così micidiali per la libertà di espressione?? Non si sa. O, almeno, il papello funebre di Wikipedia non lo dice. Premesso ma non concessso che Wikipedia è in pericolo, da che cosa sarebbe rappresentato questo pericolo?? Silenzio tombale sul tema.
Hanno fatto durare la loro protesta un paio di giorni. Sono un tempo accettabile per farsi notare e per evitare penalizzazioni da parte dei motori di ricerca che, andando a cercare pagine diverse, avrebbero trovato lo stesso identico contenuto e avrebbero penalizzato la posizione delle pagine in italiano.
Nel frattempo hanno proposto di scrivere al proprio parlamentare europeo una mail, o un tweet o addirittura di telefonargli per indurlo a votare contro le norme che Wikipedia ha individuato come fonti di nocumento (senti lì, dé, “nocumento”, o come so’ ganzo quando parlo forbito…). Non so quanti Wikipediani abbiano aderito all’invito, ma sapendo quanto siano stizzosi, presuntuosi e tenaci nella vendetta i wikipediani, posso immaginare che più di un parlamentare europeo italiano non abbia dormito sonni tranquilli, bombardato com’era da stormi di zanzare telematiche pronte a punzecchiarlo di pungiglione e veleno se per caso avesse votato “Sì” alla approvazione.
Il 5 luglio il Parlamento Europeo ha rinviato a settembre la discussione sulla materia del contendere. Dopo pochi secondi Wikipedia era ancora perfettamente navigabile, i nostri eroi, dopo essersi autonomamente autosospesi e autorimessi in linea erano soddisfatti che la loro potenziale fine non fosse annullata ma solo eventualmente posticipata, sì, sì, siamo stati bravi, abbiamo sensibilizzato l’opinione pubblica, viva la cultura libera e ciucciatevi la nostra compilation di svarioni di grammatica e di ortografia.
In breve, se solo con questo quelli di Wikipedia sono riusciti a far desistere un parlamento dalla discussione su una delibera comunitaria, vuol dire che Wikipedia ha molto potere. Se, invece, si è trattato solo di una semplice coincidenza, e la protesta non ha inciso per nulla sulla decisione parlamentare, allora vuol dire che Wikipedia non vale un fico secco. In ciascuno dei due casi, credetemi, c’è di che avere paura.
Oggi ho deciso di spezzare una lancia a favore di Wikipedia. Strano ma vero.
Dimostrare che qualcuno ha copiato da Wikipedia è fin troppo facile. Il web è pieno di pagine che riportano brani, frammenti, frasi, e voci intere tratte dall’enciclopedia libera più eclettica e singolare del mondo. Più difficile è andare a vedere da dove ha copiato Wikipedia (perché non è possibile che ogni voce sia il frutto di un contributo originale da parte degli utenti).
Fatta questa premessa, oggi ho deciso di giocare sul facile. Proprio ieri ho consultato il sito La Tecnica della Scuola (qui) che ha pubblicato un articolo intitolato “A capo del MIUR potrebbe finire il pentastellato Vincenzo Spadafora”. Nulla di male, è solo l’approfondimento di una ipotesi (infatti nel titolo si usa il condizionale). L’articolo riporta una sorta di biografia dell’aspirante ministro a cinque stelle, che riporta luogo di nascita, curriculum, titolo di studi, titolo di una pubblicazione e quant’altro. Ecco lo screenshot del brano citato:
Dove sta l’inghippo? Semplice. Sta nel fatto che quel brano che ho evidenziato dal sito de La Tecnica della Scuola è stato ripreso pari pari da Wikipedia, senza citare la fonte e con una operazione di copia-incolla tratta dalla sezione “Biografia” della voce (piuttosto smilza, a dire il vero) dedicata a Vincenzo Spadafora. Ecco lo screenshot tratto da Wikipedia:
Allora, la perfetta rispondenza dei due brani è dimostrata. Di ulteriore c’è da chiedersi se siano buon giornalismo e buona informazione quelli che attingono a piene mani da articoli e voci scritti da altri “appiccicando” brani e facendo di quelli che appaiono come articoli originali dei collages improponibili, ma, soprattutto, tanto facilmente sgamabili. Perché la cosa buffa di tutto questo, è che chi copia da Wikipedia lo fa tranquillamente e alla luce del sole. Io credo che copiare da Wikipedia sia una bruttissima abitudine, soprattutto per la scarsissima affidabilità della risorsa. Quindi personalmente preferisco non farlo. Ma se proprio uno vuole e deve farlo, obtorto collo, e perché proprio non resiste alla succulenta tentazione, allora che lo faccia alle condizioni imposte da Wikipedia. Solitamente è facile, basta citare, basta dire da dove è stato tratto quel brano, riportare un link, non avere scopi di lucro o di commercio sul contenuto veicolato, insomma, nulla di che. E’ giusto che sia così perché i contenuti di Wikipedia, buoni o cattivi che siano, sono di proprietà di Wikipedia ed è lei che decide che cosa gli altri possano farci o non possano farci.
Così si va avanti, con contenuti sempre più reduplicati e ridiffusi, a scapito di quelli originali. Un’informazione che potrebbe essere usata come un semplice “dato” e rielaborata in un contenuto successivo viene riportata tale e quale. La funzione di una enciclopedia (anche di una enciclopedia sgangherata e approssimativa come Wikipedia) è quella di fornire informazioni che costituiscono gli “ingredienti” per qualsiasi successiva rielaborazione, non dei contenuti precotti da riportare tali e quali in qualunque ulteriore ricetta culinario-giornalistica.
Ma è il giornalismo di oggi, bellezze, e che vi vada bene o no funziona così.
Mi ci sono messo di buzzo buono e ho cominciato a spulciare Wikipedia alla ricerca di svarioni, errori di ortografia, sintassi, grammatica, morfologia, logica e quant’altro faccia spettacolo. A dire il vero non ho intenzione di rompervi le scatole più di tanto con queste cose (mi sono un po’ stufato di scrivere su questi argomenti che alla lunga vengono a noja in primo luogo a chi scrive e per traslato a chi legge), però questa ve la racconto: alla voce riguardante la cucina siracusana (cui si deve il massimo rispetto, anche ortografico, evidentemente) si legge:
lo squalo palombo, che è innoquo per l’uomo, detto pisci palummu in dialetto siracusano
e devo dire che “innoquo” con la q da Wikipedia proprio non me lo aspettavo. Però c’è. Qui sotto la voce intera (errore compreso) così come rilasciata oggi dall’enciclopedia libera più malandata che ci sia:
Scrivere “un’altro” con l’apostrofo è uno degli errori più frequenti che si facciano in italiano quando si è dinnanzi a una tastiera. E’ praticamente impossibile non trovarlo in un corpus più o meno esteso di pagine web, perché quella di mettere un apostrofo tra “un” e “altro” è una tentazione troppo grande e ci cascano più o meno tutti. Ci casca anche Wikipedia, nella pagina dedicata a Love by Chance (serie televisiva), quando mette a testo
accorre subito in soccorso un’altro ragazzo
Non è il solo errore di Wikipedia in questa parte di “trama” della serie televisiva. Vi si trova anche un delizioso: “un’incidente” nel passo che recita:
Quando Pete, un ragazzo popolare tra le ragazze ma segretamente gay e ricattato dal suo ex ragazzo, incorre in un’incidente stradale
E’ questo il rispetto che i compilatori di Wikipedia e i suoi revisori riservano ai lettori esterni. E’ questa l’affidabilità che molti wikipediani vantano per la propria improponibile creatura. Sciatteria diffusa e pressapochismo spicciolo a profusione. Non resta che ricavare la versione PDF della paginaccia mal scritta e consegnare ai posteri l’ignobile porcata.
Che, voglio dire, dopo aver regalato qualcosa come due euro a Wikipedia (non so se vi ho già scritto che ho fatto una donazione involontaria di due euro a Wikipedia) uno dovrebbe avere a maggior ragione il diritto di consultarla, se non altro per vedere le inesattezze e le macroinutilità che pubblica e denunciarle sul suo blogghino striminzito. Davide contro Golia, ma anche le frombolate sortiscono qualche effetto, talvolta.
Insomma, si va a vedere la pagina principale della versione in italiano di Wikipedia (con il proprio smartphone, che fa assai più figo –cosa volete, ormai il PC da tavolo non lo usa più nessuno-) e ci si trova il collegamento (“link” per i più fighetti) a Wikisource, progetto gemello di Wikipedia, la biblioteca che ripubblica testi di pubblico dominio scannerizzandoli da libri o riprendendoli da altre biblioteche sparse per il mondo (una ideona originalissima, bisogna riconoscerla, non ci aveva ancora pensato nessuno). Dico, si va a vedere quel link e si scopre che è uno “Speciale: Giorno della Memoria”, che se non mi sbaglio, era il 27 gennaio, va beh, è un po’ passata come data, ma lasciamo correre, vediamo qual è la “Rilettura del mese”: nientemento che “Il manifesto della razza” di vari autori, tutti squisitamente scienziati e intellettuali di matrice fascista e di netta appartenenza al regime di Mussolini (Guido Landra, Lidio Cipriani, Leone Franzi, Marcello Ricci, Lino Businco) che hanno stilato una sorta di decalogo delirante, ponendo al punto 7° il titolo “ E’ TEMPO CHE GLI ITALIANI SI PROCLAMINO FRANCAMENTE RAZZISTI”, decalogo che ha condotto il regime a stilare le leggi razziali del 1938 e a portare il paese nella più totale devastazione sociale, mentre ci si avviava alla follia della guerra. Il “Manifesto della razza” come lettura consigliata, che sta per oltre un mese sulla pagina principale di Wikipedia non ha nulla a che vedere con il giorno della memoria, è un documento che dovrebbe soltanto essere dimenticato, invece questi professionisti dello scanner e dell’OCR lo hanno digitalizzato e immortalato a futura e imperitura memoria, ponendo un testo che esalta il razzismo come valore, a base per la celebrazione del giorno della memoria. E ci saranno sicuramente molti che hanno applaudito o che hanno apprezzato l’operazione, magari richiamando a difesa dell’indifendibile il valore di “cultura generale” che assume il testo in una biblioteca, che non deve guardare ai contenuti, ma solo a conservare, conservare e conservare. E allora perché i colleghi tedeschi di Wikisource non mettono in linea il “Mein Kampf” di Hitler?? E’ di pubblico dominio, possono farlo, non c’è alcuna limitazione legale. Ma se non lo fanno ci sarà un motivo. E il motivo è che quel testo nuoce gravemente alla società, riporta in ballo un regime, è stato scritto dal male assoluto. Ma perché, questi simpaticoni che hanno vergato il “Manifesto della razza” erano il bene incarnato e sceso sulla terra a miracol mostrare? E non è uno schiaffatone alla religione ebraica l’accostare l’originale grafica di regime del “Manifesto” alla stella di Davide? Macché, non c’è risposta. Di più, non se ne sono neanche accorti. Il massimo che ti possono dire è che Wikipedia è un’enciclopedia aperta a tutti e che se volevi potevi intervenire facendo valere le tue rimostranze e togliere quel contenuto. Che sarebbe stato puntualmente rimesso in linea pochi minuti dopo dai servetti del regime che hanno potere di vita o di morte su chiunque corregga qualunque cosa in Wikipedia. Perché Wikipedia è così: irreprensibile, impunibile, irresponsabile. E’ una sorta di zona franca dove tutto è possibile tanto non risponde mai nessuno del proprio operato.
Due euro frutto del mio lavoro per finanziare costoro. Se ci ripenso…
E’ successa una tragedia. Ho donato 2 euro a Wikipedia.
Ieri sera ho consultato una pagina e mi sono ritrovato tra i piedi questo banner pubblicitario della solita richiesta annuale di $oldini da parte dell’enciclopedia più inutile del mondo:
Poi ci sono tornato e ho trovato questo:
Poi, prima di uscire, è venuto fuori questo:
Ero curioso di vedere se il denaro donato va a Wikimedia Inc. (Stati Uniti) o alla sezione italiana. Purtroppo avevo PayPal aperto, con le credenziali già inserite, ho fatto clìcchete clìcchete e in un sol boccone mi hanno mangiato 2 euro.
Non vado certo fallito per 2 euro, ma ho comunque disperatamente cercato di far tornare indietro la transazione. Non c’è stato verso. Culo!
Immagino che con questa cifra faranno cose stratosferiche, oltre che prendersi un caffè. Pagheranno qualcuno per correggere gli errori degli utenti e bacchettarli, compreranno dei server nuovi, investiranno nell’educazione dei giovani alla informazione condivisa e questi ragazzi impareranno (anche a mie spese!) che sì, Wanna Marchi è enciclopedica, mentre lo scrittore spagnolo Rafael Cansinos-Assens no. Questa è Wikipedia (almeno quella in italiano).
NOTA PER BALUGANTI AMPELIO: 2 euro, ma vi rendete conto? Quelli neanche lo sanno quanta fatica bisogna fare per guadagnare 2 euro… e guarda lì, non me ne sono accorto… E ora come si fa??? E io li rivolevo, e invece non me li hanno ridati… e io di vì, e io di và…
Lo dico sempre che l’uso migliore che si può fare di Wikipedia è quello di leggerla. Così, come si leggerebbe un giornale. O un temino scolastico. Ci si trovano delle cose che hanno dell’incredibile, che sono lì, sul testo, scritte, affidate all’eternità (o, si veda il caso, alla provvisoria precarietà) del web e sembra addirittura che i wikipediani ne vadano orgogliosi.
Prendiamo, ad esempio, la voce su Vittorio Emanuele II. Sono andato a vederla l’altro giorno e pare proprio che ci sia tutto: infanzia e giovinezza, i primi anni di regno, la fine della prima guerra di indipendenza, i moti di Genova, una lunga dissertazzione sul concetto di re gentiluomo, e bravo il Savoia!
Ma nella sezione della vita privata, che è quella un po’ più pruriginosetta, alla fine, si legge:
Lo scrittore Carlo Dossi, nel diario “Note azzurre”, affermava che il re vivesse smodatamente le passioni sessuali e che fosse superdotato.
Una notizia stupefacente. Come potremmo vivere senza conoscere questo dettaglio fondamentale della vita e della personalità di Sua Maestà? Evidentemente ci deve essere stato un dibattito notevolissimo e lunghissimo sull’argomento. Immagino che i solerti wikipediani si siano presi a mazzate (verbali, si capisce) per disquisire se questa notizia (ripeto, essenziale per il sapere umano) sia o no da ritenersi “enciclopedica”. E alla fine, visto che la troviamo in bella mostra sulla voce, immagino che sì, devono proprio averla ritenuta enciclopedica. E ad andare a guardare pare proprio che non ci abbiano discusso sopra più di tanto. Vuoi mettere? Il Re era “superdotato” e questa è una nozione fondamentale in un’enciclopedia. Visto, si pubblichi.
Ma il wikipediano medio potrebbe fare un’obiezione all’obiezione: “Questa non è una notizia data da Wikipedia, è un dato riportato dall’opera dello scrittore Carlo Dossi. Abbiamo messo la fonte, dunque, di per sé, il dato è enciclopedico e di interesse generale.”
Intanto bisogna dire che non tutto ciò che ha una fonte (o che trovo da qualche parte -libri, giornali, web-) è utilizzabile, e poi bisogna vedere se quella notizia, quel dato, quell’informazione siano o no interessanti o possano ben definire l’argomento di cui si tratta. E nel caso di Vittorio Emanuele II la risposta è no, anche se quella notizia è stata riportata da Carlo Dossi. Che valore aggiunto ho alla figura del monarca se so che aveva una esuberanza sessuale notevole? Saranno ben stati affari suoi. E invece no, vince la pruderie, o, meglio, la sciatteria di voler dire tutto ciò di cui si è a conoscenza a tutti i costi, perché evidentemente, per i wikipediano una voce più notizie contiene e più vale.
Ne troveremo altre di perle simili. Questa è solo quella che Wikipedia mi ha fatto trovare sotto l’albero di Natale.
A leggere quel concentrato di umorismo involontario che è la versione in lingua italiana di Wikipedia c’è di che riflettere.
Wikipedia ha la lodevole abitudine di mettere in home page una rubrica che si chiama “Ricorrenze”. Vi sono elencati alcuni nati e morti del giorno, più una serie di eventi storici verificatisi proprio in quella data, e perfino, se a uno piace, che santo viene festeggiato dalla Chiesa Cattolica perché si sa, la cultura sarà anche laica, ma in Italia un po’ di ingerenze della Chiesa non se l’è mai fatte mancare nessuno.
Nella pagina di ieri (26/1/2017), tra i nati nel 1918, figura anche quello stinco di Santo che fu il dittatore romeno Nicolae Ceausescu. Così, tanto perché anche lì non dobbiamo farci mancare nulla. Ora io non so se nelle procedure informatiche -che immagino automatizzate- che scelgono i nati e i morti (Ceausescu non sarà l’unico nato il 26 gennaio!) ci sia anche il compleanno di Hitler da mettere in rilievo. Potrebbe essere un elemento decorativo di non poco pregio che indubbiamente porterà visitatori in più all’enciclopedia più pazzerella del mondo.
Resta una domanda semplice e banale: può la bramosia di un clic far ricordare i peggiori personaggi che hanno funestato la nostra storia recente? Per Wikipedia, evidentemente, la risposta è “sì”.