Le omelie di Papa Bergoglio (forse!) – C’era una casa molto carina

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Erra una cassa molt’occarína
sansa sophito, sansa cuchína
non si poteba entrarchi déntro
porque non chera il pabiménto
e non si poteba fare ‘ppipí
porque non chera basíno allí.

 

Eco, questa historia rracònta de una familia muy triste porque non poteba fare la pipì dentro al basìno.
E sapete perché? Perché el basìno non chera. Non ci abébano neanque el basino per una cossa tan estúpida como la ‘ppipì. E pensare che oghi ci sono i nonni che sofrono de la próstata.
Eco, ora dobiamo ésere tuti pronti a richévere il maraviglioso dono de la próstata!

Che cosa è diventato Bonetti?

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Non avrete mancato, spero, di dare un’occhiata alla TV di Stato, nel mentre il portavoce nel bisogno atàvico di inciucio della Nazione, Fabio Fazio, intervistava il per nulla sorridente a oltranza Giovanni Floris a proposito dell’uscita del suo primo libro “Il confine di Bonetti“.

Buonasera, bravissimo, no, sei più bravo tu, eh, ma tu conduci Ballarò, ma no, beato te che fai coppia con la Littizzetto, ho visto che hai scritto un libro, sì, è vero, mi ci sono cimentato, accidenti, bravo, no, ti ho detto che sei più bravo tu, insomma fatti fare una domanda originale, quanto c’è di te nella figura del protagonista? Mah, guarda, ti dirò che in un certo senso questo romanzo è autobiografico, ma va’? Davvero?? Come mai, eh, sai, mi è uscito così, comunque ti dicevo che sei bravo, grazie, il tempo a disposizione è scaduto, un bell’applauso.

Si è ragionato di tutto, come lo hai scritto, come ti è venuto, quanto tempo ci hai messo, comm’è ‘o fatto, comm’è ‘gghiuto, Ciccio, ‘Ntuono, Peppe o Ciro, chillo ‘o fatto è niro niro, niro niro cumm’a ‘cche.

Meno che di Bonetti. Che, insomma, è normale ricollegarlo a quel Bonetti che era stato a Berlino (che era un po’ triste e molto grande) con Lucio Dalla in “Disperato erotico stomp”, lo storico pezzo che apriva il lato B di “Com’è profondo il mare” (l’ellepì, dico).

E’ un personaggio fantasmagorico di cui si è sempre saputo molto poco (come di Baluganti Ampelio, del resto). Le uniche cose che sappiamo di lui le ha dette Dalla in un’intervista del 2009: “Con Bonetti andai in Polonia a un Festival, era un mio amico completamente scemo che sbagliava sempre strada”.

Ma c’era anche un brano fantastico dello stesso Dalla che faceva da lato B al 45 giri “Hai una faccia nera nera” del ’68 (me lo ricordo ancora). Si intitolava “Che cos’è Bonetti”, dove il mistero doloroso veniva ampiamente elucubrato in un minuto e 45″ di assoluto genio, grammelot, organo elettrico, svisi anni sessanta, ricchi premi e cotillons.

E ora sappiamo anche da dove emana l’essenza del titolo del libro di Floris. Anche perché i debiti, in letteratura, si pagano.

Un inedito di Marco Malvaldi

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A Marco Malvaldi
con profonda invidia.

Saranno state, ora un esagero, ma le dieci-le diecemmezzo di mattina e c’era un caldo che levava il fumo alle schiacciàte.

Sergino, detto “Cèa” perché era secco rifinito, si decise a muovere le chiappe dal 124 color Giallo Mondadori del suo pòvero babbo Agènore, e a entrare nel Bar Collando già briào di strizzo, accolto dal coro delle voci bianche della Cappella Sistina:

– “Vòi un ovino?” tuonò subito nonno Ampelio. E tornò a sputarsi sulle dita per agguantare meglio le carte del tressette e compiacersi con se stesso per il Buon Gioco da accusare assieme a una napoletanina a picche appena servita. Che culo che ciaveva!

– “O un vermuttino di rinforzo?” feci io a mo’ di controcanto. E già che c’ero sminciai anche un po’ le puppe della Tiziana, che son cose che fanno sempre bene allo spirito.

– “E la devi smette’ di rifinitti dalle seghe!!” chiosò Aldo, che in quanto a finezza bisognava ammettere che non glielo catapultava nello scodellaminestre nessuno.

– “No, io vi volev…” -s’inserì a voce fioca il Cèa- “…odire cheinz… omma ci sarebbe il vigile lì fuori… ma a quest’ora la multa ve l’ha già bell’e fatta a tutti quanti vu’ siete… e ciò anche piacere! Massimo fammi un bel poncino càrico, vai, così rinfresca!”

Al Bar Collando era solo metà mattinata.

Roma: la nevicata del 2012

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Com’è… com’è… com’è….
che ‘ce se va più manco co’ li tràmpoliiiii
Roma è già tutta fràcicaaa
inzaccherata e vìscidaaaa
nun va manco ‘r tramvàaaaai.

Com’è… com’è… com’èèèèèè…
che c’era posto solo p’a polìticaaaa
e un Alemanno intrèpidoooo
promette ‘r miràcolooooo
e chi l’ha visto mai…

(C) Valerio Di Stefano – 2012
(da cantare sull’aria del ritornello de “La nevicata del ’56” di Califano-Vistarini-Cantini-Lopez)

Un falso inedito di Andrea Camilleri: la rivincita di Catarella

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Montalbano s’arrisbigliò malamente. Era sudatizzo e scantàto, che dovevano essere le sei di matina e sacramentò picchì le persiane della verandina erano ristate arrapùte e il sole ci trasiva dintra come lui avrebbe fatto in gioventù con una bella fìmmina, ma ormai si sentiva catapultato nel pissimismo cosmico, come gli diceva Montalbano primo, anzi, nella decadenza dell’impero, come gli diceva Montalbano secondo, anzi, nell’inettitudine totale, come gli suggeriva Montalbano terzo, che alla fine si scassò i cogghiuna di tutti i Montalbani fino al ventiseièsimo e si susì.

Si vìppi una cuccuma di cafè e accumenzò a pensari a chi poteva scassare i cabbasisi ammatìno.

Il Dottor Pasquano no, non era cosa di arrisbigliarlo, che capace si era perso l’anima di sua zia Assuntina all’ultima mano a poker e stava di umore male assà’…. Mimì Augello non era certamente arrivato in commissariato a Vigàta e col picciriddro capace che aviva fatto nuttata. Con Livia c’era stata una sciarrata la sera avanti che lèvati, era meglio chiamarla tanticchia più tardi per dàrici il buongiorno e fare paci.

S’addecise a comporre il nùmmaro di Catarella, ché tanto quello in commissariato ci stava sicuro.

– “Pronto, Catarè’…”

– “Ah, è vossia pirsonalmente di pirsona, Dottori?? E che michia vuole a quest’ora da mìa?….”

– “Catarè’, ma come ti permetti…”

– “Dottori, ma come si permettesse vossìa, che io me stesso medesimo me ne sono stato tutta la notte in loco ove tròvomi or ora, mentre che vossia dormiva alla casa so’ senza fare una venerata minchia di nènti, che verrebbe a dire una fottutissima, Dottori…”

– “Catarè’, ma io non ti riconosco più, ma ti sei rimminchionito??”

– “Nònsi, Dottori, è vossia quello che si vippi il ciriveddro con l’ultimo whisky assieme alla svidisa ajeri a sera, che se la sua zita lo vèni a sapiri ci accunza la faccia come due arancini di Adelina!”

– “Catarè’ non mi scassare i cabbasisi…”

– “E se non vuole che ci scasso i cabbasisi a vossia di pirsona, pòsi il tilèfono e venga al commissariato che ci sarebbi il signori e quistori del Latte con la s in fondo che ci vuole spiari proprio immantinenti, e guardi che nun àvi bone intenzioni…”

Montalbano abbassò la cornetta mezzo scantato, con gli occhi che gli facevano pupi pupi.

Si vippi un’altra tazza di cafè prima di telefonare a Livia a Boccadasse.

– “Oh, Livia, che facevi, dormivi??”

– “No, mi stavo facendo la barba! Che razza di coglione che sei, ma secondo te cosa avrei dovuto fare a quest’ora??”

– “E ti ho svegliata??”

– “Salvo, ma che domande fai… stavo dormendo e ora parlo con te. Certo che mi hai svegliata, ma hai visto che ore sono…?”

– “Scusami Livia, sai, mi è successa una cosa strana…”

– “Un’altra? Sentiamo, che è successo stavolta??”

– “Nièèèèènte, figùrati… no, è solo che ho telefonato a Catarella e mi ha mandato a fare in culo…”

– “E ha fatto bene! Hai bisogno di altro, ora??”

Era accumenzata la jornata.

Una poesia inedita di Federico Garc

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¡Ay!

Que el niño llora
sobre la piedra gris
de la verde hierba
soñando un caballo blanco.

Y yo no sé
si era blanca la hierba
o gris el niño
o si el caballo lloraba…

¡Ay!

No, vamos a ver:
la piedra llora
sobre el caballo verde
y sueña un niño gris…

No, otra vez:
el caballo negro
come la hierba que llora…
¡Tampoco!

El caballo sueña una piedra
que llora un niño verde y blanc…

¡Qué coño!

Un frammento inedito di William Shakespeare

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“…varda, Romeo, no xé ‘a lodoéta che canta, xé l’usignol che vien  spacàrme i maroni quando mi son drio a far i mestieri, renega un po’ to’ pare e to’ mare, mona che ti xé, si no mi no sarìa più una Capuléti e xé anca massa se ti me vedi al balcon…”

(ovvero: come Shakespeare avrebbe scritto “Romeo e Giuletta” se si fosse ricordato che lei era di Verona)

 

Un (altro) testo inedito di Paolo Conte

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Brìllano,
lo vedi, baby, che scintìllano
come lampi che lùccicano
anzi no, rispléndono
oscurati
anzi no, ovattati
dall’abat-jour.
(bu-bu tàz, vu-vu scràz).

Férmati
(sì, baby, sài, amo le sdrùcciole
che son parole un po’ ridìcole
ma fanno jazz
…fanno jazz…)
ho qui un languore sullo stòmaco
chissà se mangeremo una bontà
o il gelato di limon, ch’è sempre il sòlito
(vu-vu-vù… rata-tà).

E allora sàlvati
da questo cielo che piovìggina
Accappatoi o impermeàbili??
Ti offro il sole dei metalmeccànici
e il plenilunio dei polìtici
oppure vieni, abbiamo un tàvolo
a uno spettàcolo
del tabarin.

Ed è così che in questa notte fùlgida
– non insistere, Max, ti prego, smèttila,
che tutto questo non semplifica,
si modifica
si lubrifica… –
facciamo un bagno nell’oscurità.
Chissà se ami ancora gli oleandri
o se resti attaccata al baobàb
(bubu-cchiù… bubu-cchiù…).

Che sarà mai la nostra vita diàvola?
Una Giulietta che rimbomba e che accèlera
sull’asfalto che dalla pioggia scorre vìscido
corre lontana e poi si spiàccica
come un lampo ascètico
sul guarde-rail
(razazàz… razazàz… vuvuvù…)

Foto da: http://it.wikipedia.org/wiki/File:PaoloconteBerlin.jpg
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Una canzone inedita di Ivano Fossati

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(dedicato a mia moglie che è riuscita a trascinarmi a uno dei suoi ultimi concerti -di Fossati, non di mia moglie!)

Ho sessant’anni e un lavoro non lo cerco più
chè di canzoni ne ho già scritte tannnnnNNNte
ma proprio tannNNNNNNNteeeeh
lo so, invecchio, ma cosa vuoi, o mamasita,
son palànnnNNNNNNNcheeeeh…

E cosa vuoi che io ci sputi sopra (eh nnnnooooh!…)
se Jezahel non mi ha voluto amare,
allora sì mi han faccio cenno di firmare
un contratto per la caNNNnnNzone popolareeeeeh.
(Vvvvveeeeeeeeeedddiiiii???)

E non ci son più ombre da far scomparire
ho solo piedi stanchi da massaggiare
di tanto viaggiare
di tanto viaNNNNnnndare
degli altipiani barocchi
degli uomini stolti e sciocchi
che ho incontrato nel sempiterno camminare
di viaggiatore viaggiante
che ora son stanco, ma in fondo sai che c’è…?
Ha ben piccole doglie
Ha ben piccole doglie
Ha ben piccole doglie
la pianta del piè.

E in queste notti di maggio
nelle impressioni di setteMMMMMMmmmmbre
tra le idi di mmmmàrzo
o quello che è
tra Berlusconi e Mmmmonti, che credi?
è la notte in Italia che vedi
è il nostro porto di attracco che è arrivato
è la festa del vino bevuto.
Ma non l’abbiamo pagato.
(eh, nnnnnnno!)

Foto da: http://it.wikipedia.org/wiki/File:Ivano_Fossati.jpg
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(2011-02-03)

Un inedito di Gabriel Garcia Marquez

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Il giorno in cui il mio bisnonno Amaranto Buendia Babilonia uscì di casa alle sette del mattino, trovò Macondo ridotta a un vero troiaio.
Non ebbe il tempo di pensare "Bòia, si zìzzola dal freddo" per via del ghiaccio con cui mi piace tanto ricoprire i paesi quando scrivo, che subito il ricordo gli si fece dapprima sbiadito, poi sempre più denso e vìvivo, come l’odor di guayaba che coltivava la mia prozia Marianna Ursula detta "Boccadoro" nel giardino della sua casa di Cochabamba, e che mi era gradito quando la primavera veniva a irrompere i ricordi con il rimpianto delle altre stagioni perdute e del puzzo del tabacco da pipa che si respirava ancora sugli abiti del marito José Arcadio Buenasnoches, morto dopo aver combattuto cento battaglie, aver promosso sessanta sollevazioni popolari, aver fatto la guerra del 15-18, perso un braccio e una moneta da dieci centavos nella battaglia di Guaharracay, firmato seicendosessantadue cambiali in bianco, e avrei dovuto rammentarmi che quello era il tempo in cui mia cugina Babilonia Amaranta mi offrì il fiore dei suoi anni piu’ belli che olezzavano di  miele e di pepe, e fu cosi’ che quando mi affondai in quel ricordo, Macondo sparì come per magia, la stessa che avvolgeva la spirale dei miei sensi mentre il mio antenato Mariano Buenasnoches contemplava lo scorrere del suo sangue virginale sulla neve porca miseria ora non so più da che punto ero partito e mi tocca riscrivere il romanzo daccapo…


PS: Scusa, Gabo!

Un inedito di Edmondo De Amicis dal libro “Cuore”

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Oggi, dopo il compito d’ornato, in cui quell’animo buono del nostro Maestro paraplegico volle farci immortalare i prodi soldati del Bava Beccaris mentre sparavan sui rivoltosi infami e sulle loro madri, que’ tegami, lo stesso nostro buon Maestro colitico ebbe a dirci, coll’animo tutto contrito, che il nostro compagn… camerata ad honorem, il Distefanelli, giace malato per una tosse che lo costringe in casa a non fare una veneratissima dalla mattina alla sera, in quanto che il morbo non l’abbandona e non si sa quando ritornerà.

E poiche’ il nostro buon Maestro claudicante (sì, perché claudica, anche…) è nobil di cuore e debole di petto, per farci sorridere ebbe a raccontarci di quando quel buontempone del Distefanelli prese a pedate il piccolo ciechino storpio perché gli avea chiesto in prestito due pennini, chè la sua mamma è povera e non gliene può procurare affatto, e il Distefanelli, colla voce allor prorompente e oggi rotta dal continuo tossire, ebbe a dirgli “Posa que’ pennini, mezzasega, costì e bada a non più m’accasciare i sancta santorum sennò ti rifaccio nòvo dai nocchini!”, gesto pel quale ebbe a meritarsi una medaglia al valor civile dal nostro Osannato Direttore Sequipedale, che ebbe a motivarne l’attribuzione colle lagrime che gli grondavan giù per le gòte colle parole “Distefanelli, Ella è vanto e onore della nostra scuola!”, mentre il nostro maestro bronchitico plaudeva e piagneva zitto zitto rintanato in un cantuccio per non farsi vedere mentre si soffiava il naso colla pezzòla sùdicia.

S’alzò dunque quel rompicoglioni di Garrone, il quale è il capoclasse (e non so se sia rompicoglioni in quanto capoclasse o capoclasse in quanto rompicoglioni) in quanto è grande e grosso, mentre invece il nostro buon e nobil maestro claustrofobico è una mezza sega e Garrone gli tira certi cazzotti che nemmeno Moammetto Alì a Kinshasa nel ’74, insomma dov’ero rimasto, sì, ecco, si alza Garrone e chiede la parola, col suo vocione da flicorno.
“Parli pure Garrone!” echeggiò il nostro maestro cataplasmico, che sennò ne buscava anche, e fu allora che Garrone raccontò di quando il nostro caro Distefanelli ebbe a prendere a male parole la Vedova Baluganti, ch’era venuta infin sull’uscio a perorar la causa del figliuolo Ampelio, che non istudia mài e il nostro maestro epistrofèo se l’è presa tanto a cuore che gli s’è sciolto d’improvviso il corpo in aula. Non appena il Distefanelli vide la nera e lugubre sagoma della vedova Baluganti, gli si fece da presso e, consolatala che l’ebbe, s’assicurò che s’allontanasse dall’edifizio dicendole: “Fossi ne’ suoi piedi prima di tutto me li laverei perché senti lì che lezzo e poi andrei a prendere a ceffoni quello scansafatiche del su’ figliòlo, indi tornerei a lavorare sul Viale della Stazione chè tanto si sa il bel mestierino che fa, e invece vien qui a molestare quell’omo irreprensibile che è il nostro maestro dispeptico!!”

Qui Garrone, al ricordar l’opra meritoria del Distefanelli, ebbe un moto di commozione e più non poté riprender la parola, anche perché c’era il Panicchi che gli tagliava la cintola de’ pantaloni col temperino da retro, al che Garrone proruppe con quella sua voce possente da controfagotto: “Te t’aspetto fòri!!”

Oh, caro Distefanelli, quanto bene hai fatto per la nostra scuola e com’è duro sapere che devi giacer malato mentre fuori ci sono gli àlberi, i fiori, le api, il miele, i nèttari, i dàtteri, i ciùffoli, i pìfferi, gli strùffoli, i pènsili (occhio alla testa!), i còmpiti, difatti ora devo copiare in bella il racconto mensile della piccola baNbina raffreddata e poi vado dimolto a ruzzare al pallone e in tasca al Distefanelli colla tosse, m’importassai a me…

ENRICO

[Come non essere obbligato a Federico Maria Sardelli per l’ispirazione di questo esercizio di stile??]