Alla parata militare sputò negli occhi a un innocente

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Noi gente del web, noi che teniamo su i blog, che siamo sui Social Network, noi persone più abituate all’http che all’affabulazione da bar, ogni tanto abbiamo idee bislacche e decisamente fuori luogo.

Come quella di annullare la festa del 2 giugno e chiedere che il risparmio sia devoluto alle popolazioni del sisma dell’Emilia, che stanno soffrendo davvero, altro che hashtag di Twitter e “mi piace” di Facebook.

Ci illudiamo, poveri principini dei telecomandi e dell’inutile software di schienza di gucciniana memoria, che i terremotati dell’Emilia siano gli “altri” da aiutare. Come se noi ne fossimo sempre, solo, comunque e definitivamente fuori.
E ci autoconvinciamo di lavarci la coscienza mandando un SMS dal nostro iPhone (perché quello non ce lo facciamo mancare, la parata del 2 giugno la vogliamo annullare, ma guai se ci auto-annulliamo da soli un trespoletto marchiato Steve Jobs da 700 euro e andiamo in giro con un Nokia o un Samsung da 25-30, che funziona lo stesso e allora vaffanculo, e diamo il resto a chi ne ha bisogno) o rinunciando a una festa che regalerebbe ai senza tetto soltanto gli spiccioli, come se la solidarietà fosse dare gli avanzi delle nostre cene luculliane al poveraccio che mendica un po’ di cibo e di sostegno fuori da casa nostra.

Naturalmente, a noi, popolo del web, maniaci del “mi piace”, onanisti del clic forsennato e acritico, non viene neanche in mente che sperperiamo la nostra ricchezza nazionale in una cacchia di missione di guerra in Afghanistan o che, si veda il caso, stiamo per lanciarci nell’avventura più fantasmagorica e nella rivoluzione copernicata delle comunicazioni via terra, la realizzazione della TAV che permetterà a qualche pacchetto di malloreddus sardi, o a una mortadella bolognese, o a una forma di pecorino abruzzese, o a una bottiglia di rhum per ponci alla livornese (così non mi accusate di prendermela sempre con gli altri) di arrivare con mezz’ora di anticipo a Lione, che, notoriamente, è il capolinea del mondo, perché tutto quello che viene prodotto in Italia deve andare a Lione, non ci son santi che tengano.

Siamo noi che stiamo andando giù, inesorabilmente. Se il terremoto de L’Aquila è stato una metafora di quello che stava per accadere il terremoto dell’Emilia è la fotografia implacabile di quello che siamo diventati.

Perché siamo noi quelli lì. Siamo noi i capannoni di cartapesta che vanno giù. Siamo noi le tonnellate e tonnellate di forme di parmigiano reggiano che si accumulano alla sans façon fra tavolacci sgangherati. Siamo noi le torri con gli orologi spaccati a metà, noi che abbiamo perso il senso del tempo, per sempre, e di un’identità nazionale che ha voluto L’Aquila come città da dimenticare mentre il Nord viaggiava in canottiera, sigari, tricolori con cui pulirsi il culo, lavurà, i dané, le lauree comprate in Albania, quell’identità che si era dimenticata che mentre la gente e l’arte sparivano per sempre dai centri storici del paese si continuava ad andare avanti con tonnellate e tonnellate di nipotine di Mubarak.

Siamo noi che ci destiamo increduli da un sonno popolato per troppi decenni da tette e culi di meteorine, per scoprire che L’Aquila o Mirandola sono la stessa cosa, che ci siamo fumati l’impossibile, che abbiamo un territorio da difendere, e senza la sua difesa non esiste più nulla.

E così ci siamo svegliati davanti a tutta questa sofferenza, che è nostra, anche di quanti stasera andranno a dormire nel proprio letto, e pretendiamo di alleviarla con la moratoria della Festa della Repubblica.

Bella idea. Bella idea davvero. Bravi quelli del “popolo del web”! Quando qualcuno penserà di rinunciare al primo maggio per risolvere il problema dell’inflazione non fatemi nessuna anestesia: voglio soffrire fino in fondo.

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